“Medusa” di Martine Desjardins, traduzione di Ornella Tajani (Alter Ego Edizioni, 2021 pp. 224 € 17.00) è un libro impetuoso, ispirato dalla rapida e appassionata attrazione dell’autrice per una diffusa immaginazione, mostra la caratteristica straordinaria e mirabile del fenomeno deturpante nell’universo parallelo, possiede la lusinga romanzesca dirompente e distruttiva di ogni sovrumano parametro di combinazione visionaria, rivela una fantasmagoria stregata, risvegliando una tensione enfatica e grottesca dei sentimenti. La storia si nutre dell’elemento romantico e orrorifico, lega la sensibilità sociale alle conseguenze culturali e ambientali dell’approccio straordinario agli eventi della vita, dona, nel destino spaventoso, la creazione di una femminilità devastata e ripudiata, indaga la congiunzione antropologica e psicologica con la deformità e l’anomalia, accentua la voragine del conflitto individuale, facendo precipitare il primitivo contatto tra la protagonista e con tutto ciò che la circonda nella dimensione negativa e inconscia dell’ossessione e della mortificazione. La memoria dell’architettura narrativa, connotata alla particolarità stilistica della malvagità, confessa alla ignominia del corpo il pudore del danno, alla protezione ambigua e perversa di una finta umanità altruistica l’identità nascosta del disprezzo. “Medusa” rivolge il suo sguardo pietrificante sul ribaltamento inquietante dei rapporti umani, cristallizzando il tempo e aggiungendo il coraggio e la tenacia con la luce intensa di una vista che manifesta la sua vendicativa esecuzione. Martine Desjardins crea con una astrazione contemplativa l’impressionabile e tenebrosa incrinatura estetica, evidenziando con l’atmosfera allegorica del racconto la caricatura ottocentesca della protagonista, rivelando la libertà di una rivoluzione contro la crudeltà degli inganni. Il libro ricostruisce la storia affranta, domina la decadenza inesorabile degli impulsi umani e segue la caduta nell’abisso, nell’oscurità della paura, oltraggia la gravità dell’ingiuria funesta e contaminata nei pensieri alterati dei personaggi. Il riferimento alla tematica misteriosa e fantastica della stranezza introduce il legame superstizioso tra l’uomo e la natura, l’emarginazione annientata dall’energia soprannaturale, trasmette la tentazione della scaramanzia etica oltre la reliquia introspettiva del dolore, persegue l’autonomia del riscatto. “Medusa” affronta la direzione di ogni azione visiva nel sentimento denigrante del cinismo, nell’espressione profetica e sublime dell’egoismo, dell’emotività. Martine Desjardins cattura una distensione della scrittura cupa e malinconica, illustra l’irrazionale enigma dell’anima, tratteggia l’indefinito tormento dell’impassibilità, imprigiona il carattere inesplicabile della freddezza e della spietatezza nella dicotomia tra le emozioni indesiderate e la corruzione della solitudine, segrega la custodia ingannevole della dimostrazione oscura dei comportamenti umani nel suggerimento falsato e disturbante, nelle pulsioni di vita e morte, nella cesura netta dell’estremità degli occhi che osservano. “Medusa” attraversa l’umiliazione incontrata sul proprio imperfetto cammino, immobilizza al declino etico la percezione e il conseguente rinnovamento dei paradigmi mentali demoliti in virtù della propria cruda consapevolezza.
Rita Bompadre