Dimentichiamo, quelli che scrivono e, qualche volta, persino quelli che leggono, quanto sia importante e difficile scrivere una bella storia. Una storia che abbia dei personaggi, degli ingranaggi letterari, che funzionino insieme e da soli. Dimentichiamo la pazienza che ci vuole, l’estro. Dimentichiamo quanto sia complicato.
È chiaro che siamo pieni di storie, le storie sono ovunque e magari siamo un po’ stanchi di sentirle e vorremmo solo pagine belle, frasi belle, da ammirare, da citare. Ma architettare una storia è tremendamente difficile. Ci sono vari modi, per raccontare una storia, varie soggettive, tante strade che si possono percorrere per arrivare al centro del discorso che un autore decide di fare, quella cosa che lui, con tutte quelle parole, vuole dire.
Uno di questi, quello che ha scelto di usare Massimiliano Città in Agatino il guaritore, edito da Il ramo e la foglia edizioni, è per addizione.
Massimiliano Città, per raccontare il suo Agatino, usa le storie di tanti personaggi i quali, attraverso il loro vissuto, rivelano notizie spesso persino contraddittorie, tanto che il lettore sarà poi chiamato a farsi un’idea propria, a scegliere a quale versione credere.
Così, Marcella, Santina, l’altra Marcella, Cicco Milioto, Tommasino, sono tutti affluenti nella vita di quest’uomo così misterioso.
Agatino è inafferrabile, è santo e depravato, avaro e generoso, materiale e mistico, debolissimo e molto forte, scaltro, sopra ogni cosa.
Per anni, ragazzo, scompare. Delle sue peregrinazioni nessuno sa nulla e le leggende s’ingrassano, le dicerie, le curiosità e, per questo, quando torna, dopo la guerra, Agatino ha un vestito di stracci e un mantello di leggende a coprirlo. Assomiglia, con il suo passato oscuro, a il Poeta cieco di Bellatin, capace a sua volta di creare un culto personale fortissimo e, per questo, così odiato da alcuni e amato fino alla devozione da altri.
Ma il libro a cui ho pensato più spesso, leggendo Agatino il guaritore è Melancolia della resistenza di László Krasznahorkai perché, sebbene Città abbia uno stile suo, diverso dal celebre autore Ungherese, è stato ugualmente in grado di creare un piccolo mondo compiuto, che funziona e che si regge sul mistero che Agatino rappresenta, come il Circo della grande balena, era il cuore pulsante di macabra curiosità su cui Krasznahorkai aveva incentrato la propria storia.
Alla fine, Massimiliano Città ci ricorda che siamo divinità insicure che vivono nella rifrazione del pensiero altrui, dello sguardo altrui, e che attraversiamo la vita degli altri come una supernova, illuminandola, alcune volte, distruggendola altre o nella totale indifferenza di chi vive sotto quel cielo e, anche questa, è una possibilità.
Pierangelo Consoli
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Agatino il guaritore, Il ramo e la foglia edizioni 2024, Pp. 208, Euro 16