Ce ne accorgiamo quando leggiamo un romanzo, una storia. Come ogni cosa sia legata a un’altra; come ciò che noi siamo ora sia la conseguenza di quanto ci è accaduto precedentemente e delle scelte che abbiamo fatto per affrontare, superare, elaborare a nostro modo ciò che la vita ci ha riservato. Come in fondo tutta la nostra esistenza sia un lungo piano sequenza in presa diretta che il nostro sguardo non sa sostenere.
E così, per esempio, l’uomo che ora è in uno studio televisivo, davanti alle telecamere, pronto per essere intervistato da una bella e famosa conduttrice, ed entrare così nelle case di tutti gli italiani, fino a un po’ di tempo prima non lo avrebbe mai immaginato. Di essere colui il quale è adesso. Perché Marco Antonini è un produttore discografico di successo, ma l’intervista non riguarda il suo lavoro. No. Perché Marco ha smesso di fare il produttore discografico da quando ha perso la moglie in un incidente stradale e ha scoperto cose che non avrebbe mai voluto scoprire. Perché Marco aveva una vita ordinaria – magari anche straordinaria: una moglie, una casa con giardino, un lavoro, e invece un giorno si è accorto che tutto è come nella canzone No surprises dei Radiohead. Che la vita che la società vuole per noi è claustrofobica e insana. Un’illusione. Che siamo un po’ tutti come Thom Yorke nel video di No Surprises:
La testa rinchiusa in una boccia di vetro mentre l’acqua sale di livello, senza uno stacco, in un lungo piano sequenza della durata di tre minuti e quarantasei secondi (la durata del brano). E che tutto ciò che possiamo fare, che ci resta da fare, è affogare o imparare a camminare sull’acqua.
Perché se all’inizio del romanzo di Massimiliano Nuzzolo, L’agenzia della buona morte, pubblicato da Marlin Editore nella collana “Il portico”, è riportato il testo in inglese di No Surprises, una ragione ci dovrà pure essere. Una ragione che non ha a che fare soltanto con il fatto che la lettura si dimostrerà invece sorprendente. Sorprendente il piglio, ora drammatico ora grottesco, con il quale la storia è raccontata; sorprendente la commistione delle voci e il montaggio e le continue analessi e prolessi e gli stacchi che convergono tutti a dove eravamo rimasti: alla camera fissa della trasmissione televisiva, alla diretta della trasmissione televisiva Mattina Italia, a questo “tempo reale” dove Marco Antonini è invitato, non in quanto produttore discografico ma in quanto cofondatore insieme a tre amici dell’Agenzia della buona morte. Un nome rassicurante per un’agenzia rivolta a coloro i quali a un certo punto della loro vita hanno deciso di voler morire. Un’idea nata come provocazione, «una specie di scherzo, di autolesionismo/autoesorcismo che stiamo praticando su noi stessi, per liberarci dal male della nostra vita», e che invece in brevissimo tempo è presa sul serio, subissata di richieste, telefonate, per subito crescere, lievitare e, come ogni cosa in Italia, diventare di moda.
ll servizio, totalmente gratuito, che l’agenzia offre non è quello di dare la morte ma di aiutare le persone dicendo loro come, dove, quando suicidarsi. Anche per metterle alla prova. Soprattutto per metterle alla prova. Per verificare, cioè, se sono davvero convinte di volersi uccidere.
«Non trasgrediamo la Legge e non andiamo contro l’articolo 580 del codice penale: non invitiamo nessuno a suicidarsi, né rafforziamo i suoi propositi. E nemmeno l’aiutiamo fisicamente e tangibilmente a farlo. Chi ci chiama, vuole già farlo. Sia ben chiaro.»
Ma non tutti sono convinti che sia così e quando nello studio entrano due giornalisti, ecco che subito partono le accuse e sale la tensione. Sale la tensione e sale il livello dell’acqua nella boccia di vetro del televisore nel quale sono rinchiusi tutti, compreso Marco Antonini, perché neanche lui si è ancora del tutto liberato. E per salvarsi Marco dovrà allora aggrapparsi alla voce di una donna – la voce di una donna che lui deve già avere sentito –, ascoltarne la storia e farsi condurre su per una scala, in alto, sempre più in alto, fino a incontrare il volo di un un uccello che «dicono sia in grado di “camminare sull’acqua”.»
«Il telefono squilla.
“Pronto.”
Nessuno parla. Una musica, poi: “This is my final fit, my final bellyache with…”.
Mettono giù.
Ho riconosciuto la canzone.»
Massimiliano Nuzzolo è nato a Mestre (Venezia), dove vive e lavora. È autore dei romanzi L’ultimo disco dei Cure (Sironi, 2004), che sarà a breve tradotto in Albania, Fratture (italic, 2012) e della raccolta di racconti La felicità è facile (italic, 2015). Ha partecipato a numerose antologie tra cui I nuovi sentimenti (Marsilio, 2007) e Dizionario affettivo della Lingua Italiana (Fandango, 2008). Ha curato il volume La musica è il mio radar (Mursia, 2010) ed è produttore di alcuni video e dischi, tra cui L’esperienza segna dei Soluzione.