Checché se ne dica, e con tutto il deferente rispetto per chi di tali versi è l’autore, le risposte alle domande poste alla musica non le porta sempre e solo il vento. Sarà parecchio più semplicistico e molto meno romantico, ma si possono addirittura trovare in un libro. Certo, non tutte le risposte, anche perché di domande nuove da porgere se ne troveranno sempre, ma è senz’altro meglio che niente.
Utilizzando il rock quale sineddoche per identificare la musica in senso ampio, anzi pure l’Arte (e no, non ho scelto a caso l’iniziale maiuscola), Massimo Cotto, che qui dimostra di essere intervistatore non tanto di lavoro quanto per vocazione, ritma la nostra lettura e la sua scrittura con gli interventi di rocker “ufficiali” e non, personaggi del mondo della musica in senso diversamente particolareggiato come produttori discografici vari e poi Luciano Pavarotti e l’alfiere dell’elettronica (ma con un mai rinnegato passato punk) Moby; anche registi del calibro di Bernardo Bertolucci e Wim Wenders, che tanto spazio hanno dato alla musica all’interno dei loro lavori, trovano spazio.
Progenitori del rock e compositori di musica contemporanea si rimbalzano la parola in un set talmente avvincente che spesso ci si dimentica che si ha tra le mani un libro risultato della collazione di stralci di interviste effettuate dall’autore dall’inizio della propria carriera a praticamente l’altro ieri: io ho avuto l’impressione di un grande tendone, di quelli da sagra della bassa padana, con dentro tutti i protagonisti del libro in questione, anche quelli che non sono più tra noi, rimandati giù (o su) per l’occasione, con Cotto, seduto su di una seggiola sopra un palco da cui poco prima un’orchestra di liscio aveva smontato la propria attrezzatura, a cominciare una discussione su un dato tema e sotto tutti quanti, da John Cage a Courtney Love passando per Rita Marley e Bob Dylan a sbracciarsi per intervenire per primi. E tra Jimi Hendrix e i Joy Division provare a sistematizzare concetti ampi, felici e tristi, magari con l’aiuto di Deep Purple, Led Zeppelin e Metallica.
È chiaro, la presenza di così tanti personaggi in un singolo testo fa sì che per qualcuno si parteggi, per qualcun altro no: è umano venire confermati o smentiti nelle proprie simpatie o antipatie. Per esempio, l’autore, che non fa mistero di non essere mai stato fan dei Duran Duran per il loro essere band essenzialmente di sex-symbols costruita a tavolino per cavalcare le onde di un successo che già in partenza si sapeva essere momentaneo, ammette di essere rimasto piacevolmente sorpreso dalla gentilezza, dal savoir-faire di Simon LeBon; il sottoscritto – ovviamente parlando dal punto di vista del lettore, mentre Cotto può permettersi di farlo da quello dell’intervistatore/scrittore, avendo dunque molte più frecce al suo arco rispetto a me – si è trovato invece confermato nel considerare eccessiva la sovraesposizione mediatica della già citata consorte di Kurt Cobain. Confermato anche nell’adorazione per il Duca Bianco David Bowie: attore e cantante, musicista e pittore, quindi tra i più degni abitanti di queste pagine.
Capita che spesso, alla realizzazione di un’idea si dia un voto, non importa quanto richiesto; ebbene, pur essendo abbastanza restio ad un comportamento del genere, questa volta mi ci uniformo e per assegnare il voto massimo ad entrambe. Il libro è un vero e proprio prontuario musicale che svolge appieno quelli che dovrebbero essere i compiti primari di una lettura: accrescere le conoscenze, sviluppare un pensiero critico. Ecco perché ringrazio Massimo Cotto di avermi fatto riscoprire Doc Pomus, scoprire Jimmy Scott, capire che Ben E. King è sì “quello di Stand by Me” ma non solo e ammettere che i fratelli Gallagher, in fondo, sono pure simpatici.
La struttura del libro è una vera e propria architettura dove ogni cosa ha il suo senso, dalle fondamenta al soffitto: dodici capitoli, cioè uno per ogni mese, più un’Introduzione e un Tempi supplementari. Libero, ma a modo mio. E i capitoli sui dodici mesi più i tempi supplementari così si strutturano: introdotti da alcuni versi di una canzone con alcune righe di Cotto a fare da apripista a tutte le altre. Sì, perché nel profondo i detti capitoli sono costruiti in maniera calendariale: 28 o 29, 30 oppure 31 canzoni che pongono una questione e conseguente “risposta” da parte di uno o più artisti, risposta che può essere attinente nella totalità oppure in un solo, singolo punto. Chiude l’autore con qualche riga di riflessione, in corsivo.
Un testo un po’ enciclopedia e un po’ playlist, anche, chiudendosi con l’indice di tutti gli artisti intervistati e citati e con quello di tutte le canzoni scelte.
Attenzione: provare a leggerlo davvero giorno per giorno è più che impossibile. Io ho provato a fare il magnifico e a considerarlo davvero come un breviario rock, imponendomi di leggere ogni giorno titolo della canzone, pensieri degli artisti e riflessione di Cotto indicati per quello e quelli soltanto, ma ho resistito soltanto il primo; tra un “Ne leggo un altro, poi basta” e il seguente, in poco più di una settimana ho visto il libro scorrere pagina dopo pagina tra le mie mani, facile nella lettura, squisitamente complesso nei concetti esposti e proposti.
Chiudo con una richiesta, meglio, una preghiera all’autore: un libro modellato su questo, con le risposte della grande musica italiana alle questioni della vita. Anche “i nostri” credo abbiano parecchio da dire e insegnarci. O da cui metterci in guardia.
Alberto De Marchi
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Massimo Cotto, “Rock is the answer. Le risposte della musica alle questioni della vita”, Marsilio Editori, 2021, 446 pagine, 17 euro.