“Mi chiamo Massimo… vivo di ciò che gli altri ignorano di me”, scrive Massimo.
Non posso che immaginarlo a scrivere queste parole con una penna stilografica e inchiostro color seppia, anche se le ha scritte invece alla tastiera di un computer. Ma esistono persone dalle cui dita scivola inchiostro anche mentre battono su dei tasti.
Massimo è una di queste. È con lentezza e cura, che ci porta a passeggiare nel suo mondo. Un mondo lento, che cerca di mantenersi intatto di fronte alla frenesia.Un mondo fatto di cose di un tempo, di vento e salsedine e lana. Sembra ruvido, questo mondo, eppure è fragile. Sembra disincantato. E invece è coraggioso e ostinato. Sembra rassegnato. E invece è fatto di resistenza. Purissima. Facile confondere il ritiro consapevole per sconfitta. Spesso anche colui che lo pratica lo vive come tale. E sbaglia. Perché il ritiro è non sconfitta ma difesa. È anzi l’atto di guerra più estremo. È la scelta di chi sceglie di non farsi contaminare da ciò che crede non gli appartenga. Questo sono i pensieri di Massimo. Scritti con penna assieme dura e morbida. Sono il grido e il sussurro di chi chiude la porta del proprio giardino, decidendo di non voler veder crescere al suo interno delle erbe che non sono sue. Sconfitto è chi il giardino ha smesso di curarlo, non chi ha chiuso il suo cancello per non veder germogliare semi sgraditi. Ed ecco che la penna di Massimo ci insegna questo.
Ci racconta l’anima di un uomo che trova conforto in mondi passati e in gesti che lui chiama “bianchi”. Ci racconta di come ha scelto di salvarsi. “Il mondo ha perso il desiderio di scattare una vera fotografia”. Scrive Massimo. Quella foto, però, per noi, l’ha scattata lui. In seppia. Un po’ sciupata. Come una foto a lungo guardata e a lungo accarezzata. Ma l’ha scattata lui.
Anna Bonacina
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Una giornata novembrina.
Seduto davanti a una finestra.
Una giornata novembrina.
Osservo la pioggia scorrere sulle vetrate delle finestre.
Le gocce di pioggia sulle vetrate delle finestre
Interessante metafora della vita.
La goccia cade da un cielo grigio come il piombo e impatta la superficie trasparente senza alcuna certezza, colpendo un punto casuale.
Nasciamo senza certezze, in un punto casuale. L’impatto determina un movimento che la fisica vorrebbe rivolgere verso il basso
Il vento è la variabile che determina la casualità della direzione delle scie.
Il vento determina il destino della goccia caduta dal cielo.
Il vento è il destino.
Le scie piovane spesso si incrociano, creando scie più consistenti che divengono piccoli rigagnoli.
I rigagnoli che scorrono più velocemente, sono dotati di una portata maggiore.
Appaiono più forti delle singole gocce.
In realtà si sfaldano precocemente.
Le masse che si uniscono per caso o convenzione hanno vita breve.
Vengono sostituite rapidamente da altre masse, altrettanto desiderose di imporsi.
Ci sono gocce che si uniscono e creano rigagnoli più piccoli, discreti, meno appariscenti.
Sono i rigagnoli che hanno vita lunga.
In un mondo determinato da masse dominate dal conformismo, esistono piccole realtà che si uniscono con umiltà e senza l’aspettativa di divenire fiumi.
Ci sono le gocce che si uniscono in coppia. Compiono il loro percorso senza unirsi a altre gocce.
Dalla loro unione, talvolta fuoriesce un piccolo rigagnolo che prende la sua strada.
È la metafora della famiglia, di una unione che determina nuove continuità.
Non è detto che ciò valga per tutte le coppie di gocce.
Ci sono le gocce che impattano la superficie con forza e presunzione.
Fanno rumore e si sfaldano subito.
Ci sono le mie gocce preferite.
Sono quasi invisibili e spesso si dirigono verso gli angoli delle finestre.
Si appoggiano con delicatezza.
Sono cadute dal cielo per dovere, non per scelta.
Il loro imbarazzo si nota.
Non sono pesanti, non ingombrano.
Non destano interesse.
I grandi rigagnoli non le impattano, il vento non le aggredisce.
Cominciano a scorrere lentamente e hanno vita lunga.
Sono le gocce fuori dal tempo.
Sono le gocce che non disturbano, che non inzuppano, destinate a compiere il loro percorso in solitudine.
Talvolta si accostano a rigagnoli più o meno consistenti.
Talvolta ambiscono a unirsi a un flusso, a una corrente.
Prive di coraggio, si ritraggono per continuare il loro percorso solitario.
Sono le gocce che amo osservare.
Gocce solitarie che percorrono strade solitarie.
Gocce solitarie che, improvvisamente, spariscono, troppo debolì per affrontare percorsi lunghi e tortuosi.
Sono le gocce che nessuno nota.
Sono le gocce che nessuno rimpiange.
Massimo Plaino