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Materia Prima. Intervista a Sergio Oricci

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Materia Prima è un romanzo-installazione di Sergio Oricci prodotto da Transeuropa nel 2024 che organizza in un meccanismo narrativo rizomatico e sperimentale la ricerca interiore del protagonista, Sergio, in un viaggio che lo porta a fuggire la vuota insensatezza della vita borghese. Processo e prodotto si baciano, struttura e narrazione si riflettono: una «parabola di ricerca […] portata avanti in modo che forma e contenuto comunicassero tra loro costantemente». Leggere Materia Prima, attraversando ambienti in prima e in terza persona, slacci teatrali, biografia finzionale, tranci di saggio che riportano alla memoria nomi eventi e luoghi apparentemente lontani dalla ricerca spirituale di Sergio, ci regala un caleidoscopio di assestamenti del corpomente: riflessioni, emozioni, istintualità e ragionamenti, si fondono, siamo a «attraversare una serie di sentimenti e di sensazioni che passano dalla frustrazione al godimento e che esplorano più o meno tutto quello che c’è in mezzo». Sergio Oricci riesce a trattare lo stesso tema adoperando, di volta in volta uno sguardo differente, come affidandosi a voci sovrapposte, a un canone, o, per dirla con le parole dell’autore, un «video su tre schermi, in cui su ognuno degli schermi viene proiettata una sequenza che dialoga con le altre.» La scrittura di Oricci rinuncia a quel narcisismo che vuole un romanzo pensato come prodotto da piazzare per essere venduto e di conseguenza collocato del calcolo predittivo del commercio editoriale: «scrivo sempre quello che voglio ed evito chi dimostra di non avere il testo come primo e unico pensiero». Materia Prima si colloca in quel filone di scrittura (desiderante) che lascia andare il corposcrittura alla propria deriva finzionale e simbolica, tralasciando l’immaginario egocentrico facendo prevalere il frattalico reale, installando nello spazio della percezione del lettore l’apertura all’altro del proprio desiderio, non omologato, non omologabile. Per questo l’arte della scrittura, intesa come suicidale, come spostamento del limite «è sempre un atto teso a spostare ciò che viene percepito come il limite ultimo, la soglia». Materia Prima ipnotizza e sveglia, disturba e allevia, ha il sapore di un ricordo futuro e di una ancora probabilità di esistenza autentica…

Qual è stata la genesi e il desiderio a scrivere il tuo libro?

Ho iniziato a cercare una lingua con cui scrivere Materia prima nel 2020, ma già molti anni prima, più o meno intorno al 2014, avevo scritto diecimila caratteri in cui apparivano alcuni dei personaggi (la dea bambina, Io, uno degli arcangeli) e un luogo (una delle comunità spirituali) che poi avrei usato nel romanzo. Il desiderio era quello di scrivere un testo in cui si parlasse, tra le altre cose, di ricerca del sé e del concetto di identità o di frammentazione, di dispersione, dell’identità. E questa parabola di ricerca doveva, nelle mie intenzioni, essere portata avanti in modo che forma e contenuto comunicassero tra loro costantemente, quindi attraverso una forma che fosse a sua volta in un certo modo frammentata, dispersa, eppure almeno in parte costretta in una gabbia in cui i vari blocchi fossero installati, o meglio organizzati, in una struttura simmetrica, grazie alla quale fosse chiaro quel meccanismo di ripetizione da cui il protagonista cerca di liberarsi.

Quando scrivi, godi?

Il processo di creazione si fonda su scelte consapevoli solo fino a un certo punto; capita che alcune delle intuizioni avvengano in modo irrazionale, e in quei casi solo in un secondo momento penso a quello che ho fatto e alle possibili motivazioni. Quando succede, quando avviene lo scarto tra razionale e irrazionale, ma direi anche più in generale durante la scrittura di un testo, mi trovo ad attraversare una serie di sentimenti e di sensazioni che passano dalla frustrazione al godimento e che esplorano più o meno tutto quello che c’è in mezzo.

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?

Il capitolo più difficile da scrivere, per me, è quasi sempre il primo, e il romanzo ha molte variazioni di forma e tono, quindi trovare qualcosa che di per sé sia rappresentativo del tutto non è semplice, ma un estratto che ritengo importante e significativo riguarda un momento in cui, durante un rituale in una delle comunità spirituali, l’uomo si sente per la prima volta in connessione con tutto quello che, vivente e non vivente, lo circonda, concetto che poi sarà sviluppato ulteriormente nella terza parte del romanzo, narrata in prima persona plurale. Qui però siamo ancora nel punto in cui c’è un individuo che si accorge, forse per la prima volta, del luogo, o della condizione, esistenziale in cui è immerso.

L’uomo è attraversato dalle traiettorie dei pianeti, dalla luce delle costellazioni, dal materiale ereditario di ogni creatura. Vede davanti a sé la struttura molecolare delle cose, così come sono adesso e come erano un tempo. Guarda la tazza tra le mani della dea e vede la tazza e i materiali di cui è costituita, e allo stesso tempo il codice genetico di chi l’ha realizzata e la polvere che sarà nel futuro e poi la polvere più sottile e le particelle infinitesimali che si disperderanno nel vento per raggiungere infine l’acqua, una distesa di acqua, acqua a perdita d’occhio. Vede le persone di fronte a sé ballare e a poco a poco ne individua le cellule, gli enzimi. Ballano scatenandosi, e da sistemi complessissimi di nervi, vene e arterie, ossa ricoperte di tendini, muscoli, grasso e pelle, si risolvono in unità più piccole, microscopiche, collegate tra loro e con tutto quello che esiste fuori da loro. I corpi sono nane bianche e giganti rosse, supernove e buchi neri. L’uomo è una roccia: pesante, solida, immobile. L’uomo è una pianta: radici gli escono dalle dita dei piedi e si aggrappano alla terra alla ricerca di nutrimento. L’uomo è un uomo: il suo respiro è un vento fortissimo che copre la musica e ogni altro rumore.”

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Un video con una composizione a tre canali. Si tratta di video su tre schermi, in cui su ognuno degli schermi viene proiettata una sequenza che dialoga con le altre. Sono opere che costringono lo spettatore a spostare lo sguardo, o perfino a muoversi fisicamente, per cercare di seguire ora uno dei segmenti video ora un altro o gli altri due, alla ricerca del senso complessivo, se mai ce ne dovesse essere davvero uno solo.

Che rapporto hai con la censura?

La censura e l’autocensura sono meccanismi che riguardano chi pensa di potersi posizionare nella società e nei salotti pubblicando libri e pubblicandoli in un certo modo. A me queste cazzate non interessano, quindi scrivo sempre quello che voglio ed evito chi dimostra di non avere il testo come primo e unico pensiero. Oggi qualcuno scrive pensando che si debba necessariamente parlare di certi temi per pubblicare “bene” (qualsiasi cosa significhi); ecco, adesso mi sembra questa la forma di censura più preoccupante, quella che avviene nella testa di chi inizia a pensare a quale romanzo scriverà, immaginando cosa possa o non possa funzionare nel mercato editoriale con cui ci troviamo a fare i conti in Italia. Detto questo, oggi un romanzo per certi versi controverso (o con dei passaggi controversi) come Materia prima può avere delle difficoltà a trovare una collocazione, e per questo motivo ringrazio Transeuropa non solo per aver scelto di pubblicarlo, ma anche per aver rispettato il testo di partenza e le mie scelte artistiche.

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Scrivere è uno dei modi in cui mi manifesto nel mondo ma certamente non si tratta, per me, di un mestiere. Non credo nel professionismo nell’arte e non credo neanche negli hobby. Credo invece nella possibilità di ridefinire l’arte e la letteratura attraverso l’arte e la letteratura, e in questo senso scrivere è sempre un atto teso a spostare ciò che viene percepito come il limite ultimo, la soglia.

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