L’Antropocene è questione di Tempo, nel senso che al centro di tutto, del leggere, dello scrivere, del riflettere, dell’immaginare c’è il paradosso del Tempo: non è lo spazio terrestre che si sta fessurando o sbriciolando sotto l’attacco delle azioni distruttive umane, è il Tempo che sta cambiando regime, mettendoci di fronte a un vicolo cieco così palese da essere già invisibile. Lineare o circolare, fisico o psicologico, poco importa, il Tempo si è inceppato, e solo chi sa sbloccarlo ha qualcosa da dire sul presente. Un libro che lo fa è Pericoli di un viaggio nel tempo (2018) di Joyce Carol Oates. Adriane è una giovane dissidente che viene bandita dalla società moderna del 2039 e viene inviata nel 1959 per seguire un programma di rieducazione. Potrà innamorarsi, esplorerà il passato, ma soprattutto potrà riflettere da vicino e da lontano sul senso ambiguo del presente, riconoscendo gli spettri che lo abitano ben al di sotto del collasso sociale. I pericoli, nell’inglese è hazards, non sono quei dispositivi del paradosso temporale che la letteratura fantascientifica ha sperimentato già dall’Ottocento, cioè dei moltiplicatori di prospettiva per compiere un’esplorazione narrativa, filosofica, politica. Scrivere da adesso in poi di viaggi nel tempo, adesso che siamo nell’Antropocene, è qualcosa di completamente diverso, perché significa chiamare il lettore, le persone, l’umanità a riflettere su più urgenti possibilità dell’immaginario. Il romanzo di Oates, dietro fabula e intreccio che soddisfano il più puro intrattenimento letterario, sdogana un paradigma essenziale: il Tempo è un’aggressione per se. Che cosa significa? Forse che non si può aspettare il futuro per contenere il disastro, forse che il passato offre svariati modelli ma nessuna soluzione, forse significa che solo il presente ha in sé le chiavi, perché le chiavi le tengono proprio gli spettri che vogliono far inceppare la macchina. Bisogna allora saper viaggiare nel tempo per cogliere il momento in cui gli spettri stanno per trasformarsi in demoni, quando sono ancora progetti azzardati o vaghe idee di minaccia, quando non sono altro che segni da riconoscere e mostrare, nonostante la cecità collettiva. E solo se saprà essere una letteratura del Tempo la letteratura-consolazione diventerà quello che serve, cioè letteratura-azione. In caso contrario saremo semplici esiliati nel tempo, condannati a un mondo virtuale, “una credulità che si basa sul vostro – sul nostro – senso di colpa e di inadeguatezza”.
Matteo Meschiari