È un’opera che sfugge alla facile classificazione: Milano rapisce di Matteo Speroni, edito da Fratelli Frilli Editori nella collana “Super Noir”, è un giallo-noir che deve la sua compiutezza e la sua “profondità” alla dimensione del pensiero e della riflessione filosofica, più che a quella dell’omicidio e dell’investigazione.
Eppure si tratta di un’indagine del commissario Egidio Luponi, e il “caso” in questione è incentrato più che altro sul rapimento di alcune persone, tenute segregate in celle da uno sconosciuto rapitore. Rinchiusi in un palazzo, all’interno di una struttura trasformata in prigione, i rapiti possono parlare tra di loro senza vedersi l’un l’altro, grazie a un interfono, solo due per volta, e sembra che siano rinchiusi per espiare qualche oscura colpa. I rapiti sono un ex militare e una ex insegnante, uno spacciatore, un manager, un giornalista, un assicuratore, un procacciatore di investimenti, un imprenditore e uno strozzino. Persone e personalità diverse, con storie e prerogative (nel bene e nel male) diverse. Nello spazio ristretto della loro prigionia sembrano destinate a conoscersi, sfruttando l’assurda contiguità forzata. Ed Egidio Luponi indaga, lui che è prossimo alla pensione, e con lui si scopre – insieme al resto – anche la Milano dei nostri giorni. La Milano di Gorla dove abita il commissario, ma anche la Milano di piazza Cordusio, di Porta Romana, di Turro, di Lambrate, di Porta Genova.
Ed affascina questa costruzione di Matteo Speroni, questa “invenzione” di una sorta di scena teatrale quella della prigionia, in cui il tempo sembra essere sospeso, mentre introno, alla luce del sole, la vita scorre con la consueta fretta tutta milanese. L’ambientazione del giallo urbano e con esso la “scoperta” della città si intreccia con il lavoro di introspezione psicologica, giocata intorno e grazie ai nove reclusi. L’espediente risulta quantomai efficace nella creazione di un’atmosfera claustrofobica di controllo e di manipolazione, che porta al centro dell’attenzione la storia e sulla psicologia dei personaggi, spingendo ai margini la parte più dinamica e classicamente gialla. E si comprende che, forse, l’intento dell’autore è (anche) quello di spingere chi legge a identificarsi di volta in volta – con rapitore e rapiti, spingendone lo sguardo a pochi centimetri di distanza.
Dire di più della trama non è il caso, basti conoscere la forma del meccanismo creato da Speroni. Un meccanismo che gli consente di dire molto ma molto di più di quanto un “normale” giallo possa dire.