Nelle vene non sente soltanto il sangue, sente altro. Il battito cardiaco accelera, l’eccitazione sale, l’adrenalina scorre. Mentre il cuore pompa ferocemente, i suoi timpani distinguono gli alberi che bisbigliano, che raccontano storie di gente che sta cercando rifugio nelle proprie case, al riparo dal freddo e dalla notte. Ma non al riparo da lui.
L’incipit dell’ultimo romanzo di Matthias Graziani mette subito le cose in chiaro: già so che dopo la lettura, alcuni miei sogni verranno sfigurati nei giorni a venire.
La mia fronte si corrugherà in fastidio ed al risveglio non mancherò di biascicare un insulto bonario all’autore. È il prezzo da pagare quando ci si imbatte in un grande thriller.
Siamo in Alto Adige, alle pendici delle Dolomiti. La creatura, il cui risveglio è descritto sopra, è il gletschmann, l’uomo del crepaccio. Un essere selvaggio e spaventoso, figlio delle rocce ove la sua leggenda risiede, che trova il proprio senso di esistenza nell’uccidere.
Già. Perché a Feldberg le montagne non sempre sorridono, le caprette non fanno ciao. Nella migliore delle ipotesi ti guardano sospettose.
E ne hanno ben donde, visto che il gletschmann al risveglio dal suo personale letargo di sangue, ne scuoia una, ricavandone una maschera, giusto per sentirsi a suo agio.
Nel mentre della rinascita di questo essere maligno, c’è il dramma emergente di alcuni bambini scomparsi nel nulla, non partoriti dal territorio come la bestia, ma fagocitati al suo interno, senza una spiegazione plausibile.
La storia si colloca a fine anni 80. Non ci sono cellulari, niente social, né “virtualismi” moderni o crudeltà cybernetica. I rapporti sono in carne ed ossa, come l’amicizia salvifica, come la violenza serpeggiante di un luogo così nudo e crudo, chiuso nel suo microcosmo selvaggio.
Julian, ragazzo timido e introverso dal carattere docile, vive insieme ai suoi compari e convive con i suoi “nemici” in un ambiente meraviglioso ma isolato, ricco di fascino, leggende, ma anche di misteri e di troppi segreti domestici, non tutti rassicuranti.
Tra scazzottate e videogiochi, corse in bicicletta e bravate, non può ignorare “la voce” che sente dentro: la montagna gli parla, rivelandogli fatti incresciosi e mettendolo in guardia su quelli in arrivo da un futuro sempre più prossimo.
Uno Shine adolescente e dolomitico di “Kinghiana” memoria, che si sentirà in dovere di intraprendere un viaggio, sia fisico che mentale, insieme ai suoi compagni di storia, per placare le voci interiori, trovare quel coraggio che tanto ammira nel suo amico fraterno Pips. E per risolvere un dramma enormemente al di sopra della propria età: il mistero delle piccole anime scomparse.
Quindi non siamo di fronte ad un banale horror con il disadattato di turno, in stile Non aprite quella porta (… quella roccia, nella fattispecie), come una prima impressione potrebbe suggerire, ma più ad un thriller psicologico con venature di terrore, con all’interno una storia di formazione. Il buon Julian e non solo lui, si vedrà trasformare in breve tempo, un po’ per scelta un po’ per necessità, in un adulto dal corpo acerbo.
Già non sarebbe poco, ma finisce qui? Niente affatto. Perché la bellezza di questo romanzo sta nel creare la sorpresa che non ti aspetteresti, nel momento più opportuno possibile. Quando pensi di aver capito in quale direzione la storia sta andando, Graziani ti porta verso altri scenari, aggiungendo nuovi elementi, nessuno dei quali appare di troppo.
E così che la vicenda si contorna di una salsa Western. Speroni, selle, cavalli.
Un viaggio nel cuore delle Dolomiti, tra il freddo e il vento di un inverno che giunge impietoso, a complicare la missione.
Karl Kastner, la guardia forestale del posto, è il personaggio emblematico di questa angolatura originale, al quale il lettore è sottoposto.
È un’altra figura sospesa tra mito e realtà.
Duro, puro, moralmente inattaccabile, rappresenta la coscienza pulita della comunità.
Lo sceriffo dei boschi, una sorta di Wyatt Earp di montagna, che si pone a tutela di cose, fatti e persone. Che ama la sua terra a tal punto, da considerarla una madre.
E gli abitanti meritevoli che la popolano, tanti figli da salvaguardare.
La caratterizzazione dei personaggi che l’autore ci dona è degna di nota.
Sento sulla pelle le puncicate dei baffi di Kastner, nella testa i tormenti di Julian, tra le viscere l’ira del gletschmann, negli occhi la follia dei cattivi di turno.
Cattivi molto particolari. Sembrano quelli disegnati da Tetsuo Hara nel fumetto Ken il guerriero, che sicuramente Julian avrà guardato nella versione a cartone animato.
Figure grottesche, reduci da un’apocalisse atomica, dal ghigno feroce e dalla pazzia fuori controllo. Così, tanto per aggiungere qualche goccia di fantasy, caro Matthias Graziani.
A un certo punto della lettura non mi sarei sorpreso se fossero apparsi i draghi della Val Badia o se i protagonisti avessero scoperto una comunità di Puffi, al centro del bosco.
L’autore avrebbe comunque trovato il modo di trovargli la giusta collocazione. Un senso compiuto. Come un senso compiuto trovano anche le figure di seconda fila.
C’è il rapinatore poeta e Don Giovanni, la donna sinuosa dal passato turbolento, il buttafuori oscillante tra gli eccessi di machismo e la tenerezza del cuore.
Vecchiette semi mummificate, che hanno l’età delle rocce e si mimetizzano in esse.
Non mancano i momenti ironici, in discrasia con la drammaticità dei fatti raccontati. Immagini e scene a tratti surreali, atte ad allentare la tensione, che suscitano sorrisi bonari e che sottolineano anche la genialità dello scrittore.
Eppure, nonostante la pienezza e la densità della narrazione, è la montagna la vera protagonista del romanzo. È sempre presente, in chiunque. Qualsiasi fase della storia stia facendo brillare, Matthias Graziani conserva un lume acceso sull’ambientazione.
Un tramonto di fianco di cui fotografare il rossore, il silenzio delle rocce da ascoltare, il calpestio delle foglie al passaggio delle biciclette, la magia inospitale della neve notturna, l’eco del vento che spazza via e poi riporta in vita i miti e le leggende di un luogo stupendo. Le montagne, le valli, le grotte, sono il teatro dell’eterno conflitto tra Bene e Male, entità spaccate in due come una mela.
Il Bene con le sue ovvie ragioni, il Male in cerca di quella comprensione, che non potrà mai ricevere.
Cos’altro dire di questo romanzo, così anomalo e animale.
Nella sua mescolanza di generi, è un’opera bella, folle, coraggiosa, terribilmente nuova. Secondo me ha anche le caratteristiche giuste per essere filmata, qualora se ne innamorasse qualcuno che conta e non solo i lettori (Tarantino, batti un colpo!!).
Graziani è uno scrittore di talento, dal linguaggio pieno, ma non ridondante e merita di essere considerato dagli amanti di questo tipo di storie e non.
Ed ora che ho finito di leggere e il libro mi ha rapito, quando il gletschmann verrà di nuovo a trovarmi in sogno (e lo farà, ne sono certo), non lo scaccerò via. Gli offrirò una carbonara.
Per fargli capire che nella vita, nonostante il passato e il dolore sconsiderato, ci sono cose più gratificanti che uccidere.
Paolo Raimondi