Circa un anno fa, in aprile, stavo tornando prima del solito dal piccolo studio che avevo in centro. Nelle settimane precedenti avevo lavorato molte ore, alcuni giorni fino a notte fonda, e avevo bisogno di un po’ di tempo solo per me. Volevo aprirmi una birra, sedermi sul divano e leggere un libro.
Parcheggiai la mia utilitaria nel posto riservato davanti a casa, una minuscola villetta a schiera tra altre tutte uguali. Dovevano averla costruita tra la fine degli anni novanta e l’inizio dei duemila, alla fine dell’epoca in cui il mattone rappresentava ancora un investimento sicuro e le imprese edilizie cercavano di accaparrarsi terreni, occupandone con il cemento il più possibile. Il proprietario era un signore sui settant’anni, con un paio di baffetti bianchi e un vecchio cappello sempre in testa. Passava di rado, e quando lo faceva mi chiedeva se per caso avessi un lavoro per suo figlio, il cui più grande desiderio era fare l’attore in teatro. Anche se gli rispondevo che non lavoravo in un teatro, né conoscevo qualcuno che lo facesse, la volta successiva me lo chiedeva di nuovo.
Ero l’unico abitante, di tutte le villette a schiera, che aveva meno di quarant’anni. Gli altri superavano abbondantemente i sessanta. Tra vicini tenevamo un rapporto cordiale, anche se per via della differenza di abitudini e di interessi ci limitavamo a chiederci, quando ci incrociavamo, se le cose andavano per il meglio, e nei giorni più loquaci ci interrogavamo su che tempo avrebbe fatto l’indomani.
In una di quelle minuscole villette, sfitta da un po’ di tempo, qualche mese prima era venuta ad abitare una signora. Era arrivata con un furgone, accompagnata da un ragazzo che aveva stampato sulla tuta il nome di una ditta di traslochi. Il ragazzo aveva scaricato qualche valigia, diversi scatoloni e infine la signora aveva chiamato un piccolo cane bianco e nero, che aveva preferito stare lontano dal trambusto e schiacciare un pisolino sotto al portaoggetti. Prima di scomparire scodinzolando dietro al cancello d’entrata, guardò dubbioso i dintorni e si soffermò per un momento anche su di me, che stavo osservando la scena nascosto da una siepe di gelsomino.
In quei mesi non avevo mai scambiato più di qualche parola con la nuova vicina, che aveva l’abitudine, soprattutto la mattina, di stare seduta su una sedia nel giardinetto fuori casa, e che salutavo quando salivo in auto per andare al lavoro.
La prima volta che si intrattenne con me più del solito fu per farmi una domanda, proprio il giorno in cui ero tornato prima dal mio studio e avevo in programma di rilassarmi qualche ora sul divano.
“C’è un problema con la televisione,” mi disse.
“Ha un problema con la televisione?”
“Sì.”
“Posso cercare il numero di un tecnico, così verrà a riparargliela.”
“Non è della mia televisione che sto parlando, ma della sua.”
La mia televisione? In effetti la maggior parte dei canali non si prendeva, forse perché l’antenna era sistemata male, ma per me non aveva alcuna importanza, perché non la guardavo quasi mai. La cosa che mi lasciava sorpreso, è che lei potesse conoscere una cosa del genere.
“Mi scusi, come fa a sapere della mia televisione?”
“Mi sembra evidente,” disse. “Vorrei essere sicura che sistemerà il problema al più presto.”
“Farò il possibile,” la rassicurai.
Per una settimana la vicina continuò a salutarmi come al solito. Il suo cane mi guardava silenzioso dalle fessure del cancello mentre salivo in auto. Durante il tragitto, ancora assonnato, mi ero chiesto più volte come facesse a sapere che la mia televisione non funzionava bene. Forse lei, o qualcuno degli altri inquilini, aveva chiamato un tecnico e dal tetto aveva visto che la mia antenna era posizionata male? Non di rado i tecnici, per gentilezza, o per procurarsi un po’ di lavoro in più, quando notano qualcosa che non va si premurano di dirlo ai loro clienti, in modo che possano avvertire l’interessato. Eppure non capivo perchè era stata netta nel parlare con me. Magari per lei, che viveva da sola, una televisione non funzionante era davvero un grande problema, e non poteva immaginare che qualcuno riuscisse a vivere senza vedere alla perfezione tutti i canali. Doveva essere così, e in breve non ci pensai più.
Ma una sera, prima dell’ora di cena, appena parcheggiai la signora uscì insieme al suo cane.
“Mi scusi,” disse. “È appena tornato dal lavoro?”
“Sì, anche oggi ho fatto un po’ tardi.”
“È stanco, immagino.”
“Un po’.”
“Anche il mio cane è stanco. Non fa niente tutto il giorno, eppure alla sera è stanchissimo. Forse perché di notte fa fatica a dormire.”
“Non deve essere male la sua vita,” dissi avvicinandomi a lui per fargli una carezza.
“Insomma. Credo che sia così stanco per causa sua. Non ha ancora risolto quel problema della televisione.”
“Posso chiederle una cosa?”
“Certo.”
“Come fa a sapere del problema della mia televisione?”
“Be’, è evidente. Non ho parlato con gli altri vicini, ma sono sicura che se lei lo chiedesse anche a loro, glielo confermerebbero.”
“Vorrei che non si preoccupasse. Anche se non funziona bene, per me non è un problema.”
“Che funzioni bene o no, il mio cane non riesce a farsene una ragione, e se devo dirle la verità nemmeno io.”
Nonostante le sue parole, il tono della voce era calmo, lo stesso di quando mi salutava mentre andavo al lavoro. Non riuscivo a capire dove volesse andare a parare, così glielo chiesi.
“Il suo cane è preoccupato perché si vedono solo pochi canali?”
“A me non interessa se i suoi canali si vedono bene o male. Il problema è il volume,” disse.
“Il volume?”
“È troppo alto. Lei tiene il volume a un livello che lo disturba, e nemmeno io riesco a dormire.”
“Quando ha sentito la mia televisione a un volume troppo alto?”
“Almeno tre o quattro volte solo questa settimana, fino a notte fonda. Capisce che deve trovare una soluzione. Se lei soffre d’ìnsonnia lo posso capire, ma non può svegliare tutto il vicinato.”
Pensai all’ultima volta che avevo guardato un film. Era da prima che la signora venisse ad abitare lì.
“Forse è la televisione di qualcun altro?” chiesi, anche se non avevo mai sentito, di notte, dei suoni forti arrivare da altre case.
“È la sua, e lei lo sa. Senta, se non pone rimedio a questo problema, la prossima volta sarò costretta a chiamare la polizia.”
Le dissi che mi dispiaceva, ma se sentiva il rumore di una televisione nella notte non veniva dalla mia.
“Si ricordi della polizia,” concluse, mantendendo un’espressione gentile.
Quindici giorni dopo, alle quattro di mattina, suonò il citofono. Mi infilai i pantaloni della tuta e scesi le scale. Se qualcuno mi stava cercando a quell’ora, doveva essere successo qualcosa di grave.
Quando aprii la porta vidi due poliziotti, un uomo e una donna, e la loro auto parcheggiata con i lampeggianti accesi che illuminavano gran parte della la via. Diverse persone erano scese in strada per osservare la scena.
“Mi scusi per l’ora, ma dobbiamo farle qualche domanda,” disse l’uomo.
La donna stava scrivendo qualcosa su un taccuino.
“Entrate,” dissi, e pigiai il pulsante che apriva il cancello.
Il piano terra ospitava una sola stanza, dove c’erano un cucinotto, un tavolo, due librerie e un divano. Davanti al divano, appesa al muro, la mia televisione. Era un vecchio modello della Samsung acquistato in sconto dieci anni prima, che non aveva alcuna funzione smart. Per ovviare a questa mancanza, avevo ordinato online una chiavetta su cui erano installate Netflix, Youtube e poche altre applicazioni. Per un certo periodo ero stato un accanito consumatore di serie tv, per guardarle restavo sveglio anche tutta la notte, ma un giorno decisi di darmi una regola, concedendomi per la visione periodi di tempo ben definiti, circa due o tre volte all’anno, durante le vacanze.
Proposi ai due poliziotti di accomodarsi sul divano, ma la donna rifiutò, spiegandomi che erano in servizio e non potevano trattenersi per molto.
“È partito tutto da una telefonata che indicava il suo indirizzo e parlava confusamente di una televisione con un problema. Forse lei può aiutarci a far luce sulla questione,” disse l’uomo.
“Sta parlando della vicina con il cane, vero?”
“Bingo,” fece la donna rivolta al collega, “te l’avevo detto che dovevamo venire subito qua.”
“Ci ho parlato solo due volte,” spiegai. “Era convinta che la mia televisione avesse un problema.”
“Un problema con la televisione,” scandì la donna mentre annotava la frase nel suo taccuino.
“Ci può parlare di questo problema?” chiese l’uomo. “Forse la soluzione a questa bizzarra situazione può trovarsi proprio lì.”
Raccontai per sommi capi ciò che mi aveva detto la vicina di casa, spiegai loro che non guardavo la televisione da prima che venisse ad abitare lì e che non avevo mai sentito rumori provenire da altre case.
“Credo che dovremmo accenderla. Magari potremmo capirci qualcosa di più,” concluse la donna.
“Se è d’accordo possiamo accomodarci sul divano, ma solo per analizzare la situazione dalla migliore delle prospettive,” aggiunse l’uomo.
La donna annuì. Si sedettero entrambi sulla punta, mantenendo un atteggiamento professionale e attento.
Presi il telecomando, ma l’uomo mi fece il gesto di allungarglielo.
“È meglio non lasciare nulla al caso. Non voglio mancarle di fiducia, ma comprenderà che se la accende lei potrebbe inquinare possibili prove.”
“Capisco,” dissi.
L’uomo pigiò il tasto di accensione e il vecchio Samsung mostrò prima uno schermo nero, attraversato da alcune righe appena percettibili, poi si illuminò e diventò grigio, restituendo una multiformità di puntini.
“Effettivamente ha qualche problema di ricezione, provo a cambiare canale,” aggiunse.
La donna continuava ad annotare nel suo taccuino ciò che stava succedendo.
Dopo alcuni tentativi, la televisione si sintonizzò su un canale che restituiva un’immagine nitida. Stavano mandando in onda un film.
“Oh, è Harry ti presento Sally,” disse la donna, “Io e mia figlia lo adoriamo.”
“Annota che il volume è a un livello tra il medio e il basso,” le suggerì l’uomo.
“Tra il medio e il basso,” scandì lei mentre scriveva.
Rimasi in piedi circa una decina di minuti, osservando i due poliziotti seduti sul divano mentre guardavano Harry ti presento Sally profondamente concentrati.
“È tutto a posto?” chiesi dopo un po’.
Si girarono verso di me. L’uomo era pensieroso.
“In realtà no,” disse. “Stiamo conducendo un esperimento… Mi concede di usare questa parola?”
“Certo, vada avanti.”
“Stiamo conducendo un esperimento, ma lo stiamo facendo in condizioni innaturali. In una situazione normale, lei guarderebbe la televisione interagendo con alcuni oggetti della casa, e questi oggetti potrebbero provocare un rumore che la spingerebbe ad alzare il volume. Dovremmo simulare questo aspetto, credo sia fondamentale per poter giungere a una conclusione.”
“Cosa volete che faccia?”
“Ci prepari un caffé, e mentre lo fa sbatta un po’ le tazzine, in modo che ci possiamo rendere conto della rumorosità di questa casa,” suggerì la donna.
Andai nel cucinotto, sistemai la moka e la misi sul fuoco. Nel mentre presi due tazzine e feci un po’ di rumore con i piattini. Quando il caffé fu pronto, lo portai ai due poliziotti.
“È un buon caffé,” disse l’uomo, “ma chi beve solo un caffé a quest’ora? Ci vorrebbe una brioche. Ne ha? Non importa il tipo, è per comprendere l’impatto del rumore della confezione sull’ascolto del film. Tu ne vuoi una?” fece rivolto alla donna, che rispose di no con un cenno e continuò a tenere gli occhi fissi sul televisore.
Mi erano rimaste solo due briosche alla marmellata, dovevano essere nella dispensa da settimane. Ne porsi una al poliziotto, che la scartò e se la infilò in bocca. In quattro morsi la finì e si rivolse alla donna.
“Direi che siamo a posto. Abbiamo simulato una situazione reale, e se tu sei d’accordo direi di annotare che il rumore delle tazzine e della carta della briosche non spingono l’inquilino ad alzare il volume oltre la misura consentita.”
“Sono d’accordo con te,” disse lei. “Mi dispiace dover andare proprio adesso che sta arrivando la scena dell’orgasmo al ristorante, ma siamo in servizio e abbiamo ancora molto da fare per sbrogliare il caso. Lei è stato molto gentile,” proseguì rivolgendosi a me. “Adesso abbiamo abbastanza dati per confermare che lei non c’entra con la scomparsa della sua vicina.”
“La scomparsa della mia vicina?” chiesi, piuttosto stupito. “Ero convinto che vi avesse chiamati per il volume della mia televisione.”
“In effetti abbiamo ricevuto una telefonata di quel tipo verso l’una di notte. Quando siamo arrivati la sua vicina ci ha indicato la sua casa, ma subito dopo si è sentita male, ha avuto un mancamento o qualcosa del genere, e l’abbiamo accompagnata al pronto soccorso con il suo cane. Le abbiamo detto che il cane doveva restare qui, ma non c’è stato verso. Comunque… L’abbiamo fatta accomodare in sala d’aspetto e siamo andati a parlare con gli infermieri, ma quando siamo tornati lei era scomparsa.”
“E dove era finita?”
“Questo nessuno lo sa,” continuò l’uomo. “L’abbiamo cercata per oltre due ore nei corridoi e fuori dall’ospedale, ma niente. Era scomparsa nel nulla. Quando accadono fatti come questo, l’unico modo per sbrigliare la matassa è tornare al punto di partenza, e cioè alla telefonata della signora. L’unico indizio che avevamo era lei.”
“Mi dispiace di non avervi potuto aiutare.”
“Se scopre qualcosa chiami immediatamente il 113.”
“Lo farò,” assicurai all’uomo.
Fuori c’erano ancora delle persone, ma molte meno di prima. I due poliziotti salirono in macchina e ripartirono a tutta velocità. Rientrai proprio sulla scena in cui Sally simula l’orgasmo in un ristorante. Era una scena che amavo molto anch’io. Dopo averla guardata, spensi la televisione e tornai a letto.
Della mia vicina nessuno seppe più niente per diversi giorni. Ne parlarono anche alcuni giornali della città. Era sparita nel nulla insieme al suo cane. Verso la fine della settimana, una mattina mi svegliai come ogni giorno per andare al lavoro. Appena uscito dalla camera da letto sentii un parlare sommesso provenire dal piano di sotto.
La mia televisione era accesa su un canale locale, a volume molto basso. Dalle parole del conduttore, inframmezzate da numerosi fruscii, intuii che si trattava di una televendita. Strano, pensai, dalla notte insieme ai poliziotti non l’avevo più accesa. Forse si era trattato di un contatto elettrico. Visto che ero di fretta, la spensi e andai a farmi una doccia.
Quando uscii di casa, prima di salire in macchina vidi la mia vicina in giardino, seduta sulla sedia. Il suo cane mi guardava in silenzio dalle fessure del cancello, annusando l’aria della primavera.
“Buongiorno. Dove è stata tutto questo tempo?”
“Oh, in giro, avevo delle cose da sbrigare.”
“Ha fatto preoccupare un bel po’ di gente.”
“Posso chiederle una cosa?”
“Mi dica.”
“Era sua la televisione accesa fino a poco fa, vero?”
“Era la mia.”
“Vorrei essere sicura che sistemerà il suo problema al più presto.”
“Farò il possibile,” la rassicurai.