Non è certo un romanzo distonico L’Ultima foresta di Mauro Garofalo, edito nel 2023 da Aboca editore, anzi, descrive sapientemente ciò che sta già al suo accadere tutti i giorni in ogni angolo del pianeta con ricadute rovinose nel Sahel e tutta l’Africa subsahariana, nel Sud-est asiatico, in Australia, con precipitazioni sempre più scarse in Europa e Nord-America, siccità, tempeste e cicloni mai visti, smottamenti ed alluvioni bibliche, popoli costretti ad emigrare dal Bangladesh, dalla Siria, Iraq, Pakistan, da mezza Africa, a causa della violenza della natura imbelle o di guerre fratricide.
Garofalo non lo manda a dire. Lo esplicita nella storia di una famiglia dopotutto gioiosa, un padre, una madre, tre figli tutti adolescenti. Una famiglia in fila indiana sulla rotta balcanica, dopo aver attraversato catene montuose e deserto, visto l’impensabile orrore dei disperati in fuga privi di tutto. Inseguiti dalle bande paramilitari che pattugliano i confini di reticolati, con cani pastore addestrati alla caccia all’uomo e manganelli piombati, fiutati e pedinati da branchi di lupi famelici, ignorati dall’ignavia sostanziale degli autoctoni che li vede transitare assiderati e disperati nel ghiaccio e nel gelo. Esattamente la fotografia dello stato delle cose attuale, rimescolato dai media e dai social quasi con fastidio.
Garofalo ripercorre anche in questa opera una drammaturgia che rimanda ad Eschilo e a tutta la narrazione greco Minoica precedente, fulcro più tardi della teoria cristiana della Provvidenza, presente nel ciclo karmico buddista con una certa insorgenza ossia quella incentrata sul contrappasso segnato dall’intervento di una mano divina, Dike, dove ogni atto di sacrilegio compiuto riceverà il meritato castigo, si direbbe a ciascuno il suo si o al conflagrare possibile di una nemesi che può portare lontano coinvolgendo generazioni di discendenti o affini incolpevoli (vedi l’Edipo).
Qui la scena è ambientata nell’ultimo scorcio vivo di foresta così come sarebbe dovuta comparire millenni fa, una sorte di intrico vegetale alla Avatar, Bialowieza, tra Polonia e Bielorussia, qui magicamente ‘il tempo non esiste’, un’organismo unico al mondo ha resistito dall’ultima glaciazione, undicimila anni fa, qui regna il silenzio assoluto sotto le cattedrali dei tigli, abeti rossi, querce, farnie, alcuni alberi sono ultra centenari, il regno intatto per cervi, orsi, lupi. ora avamposto militare presidiato nella nebbia da cannoni ed obici in attesa di capire se l’intera zona sarà coinvolta in questa guerra fratricida.
Il filo conduttore passa dalle sorti di questa famiglia compatta alle vicende di un’orsa privata della cucciolata da cacciatori di frodo che poi sono gli stessi paramilitari oppure alle operazioni di caccia di un branco di lupi affamati guidati dal capobranco. L’uomo è ritratto qui come parigrado alle altre specie, la foresta induce all’uguaglianza.
Libro duro, scritto con uno stile ermetico fatto di folgorazioni narrative, flash che non intendono raccontare ma piuttosto concentrarsi su poche giornate cruciali in cui anche le più tenaci speranze saranno tradite o obliterate.
Marcello Chinca