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Mauro Marcialis anteprima. Roma Calibro zero

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Con l’uscita il prossimo 3 marzo del romanzo “Roma Calibro zero”, edito dalla casa editrice milanese SEM, Mauro Marcialis continua ad indagare in profondità, tra sfarzo e “ricco lerciume”, la società contemporanea. Attraverso l’osservazione acuta ed il ritmo incalzante di uno dei più interessanti autori dei nostri giorni – sua  La strada della violenza (Mondadori, 2006), Io & Davide (Piemme, 2008) e Dove tutto brucia (Piemme, 2011) – i personaggi  conducono il lettore dove nulla è come appare.

A danzare “un balletto di guanti di lattice che passano di mano in mano” non sono i soliti sospetti e lo sanno bene il commissario Gianni Giunti e l’assistente Flavio Fiore. La trama che intesse Marcialis – esperto anche di romanzi storici di successo come Spartaco il gladiatore (Mondadori, 2010), Il sigillo dei Borgia (Rizzoli, 2012) e Il falco nero (Rizzoli, 2014) – parla chiaro, con voce scorticata, di indagini, di omicidi, di conflitti interiori e di macerie umane senza una speranza. Ma nulla è come sembra e per questo, forse, “Ci riproveremo ogni giorno. Un passo alla volta, letteralmente. Abbiamo solo questo: un po’ di tempo, un paio di scarpe da ginnastica nuove, e adesso, per fortuna, un mucchio di pessimi ricordi per poter finalmente credere che domani sarà un giorno migliore. Non so se basterà. Intanto, a differenza di mia moglie, fingo di ridere.”

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Abbiamo i pass dell’ex ministro De Franchetti.
Io sono il volto nuovo della scorta del ministro, mentre Gannico un addetto al catering. Alex, Riccio e Catone restano a trecento metri dall’ingresso.
Lenti a contatto, barbe finte, tatuaggi all’henné sul collo e un po’ di trucco ci rendono irriconoscibili. L’armamentario è stato testato: auricolari e rilevatori di posizionamento.

Prima panoramica: tantissime facce straviste in televisione e sui social. Politica, industria, spettacolo, istituzioni in tutte le salse.

Fuori un’orgia di Bentley, Ferrari e Rolls-Royce. Parcheggiatori in smoking e scarpe nere lucidissime trattengono le chiavi e i cellulari per evitare che qualcuno possa condividere pillole dei festeggiamenti.

Le istruzioni: dare un’occhiatina in giro senza attirare troppo l’attenzione. Pedinare Lord con discrezione, rimanendo ai lembi della festicciola. Alcune zone sono off limits, ma con tutto questo casino ci sono buoni margini di manovra, e comunque nessuno ostacolerà le curiosità di un ex ministro. Cerchiamo tutto. Cerchiamo tutto quello che può collegare Vanni Maniero a Lorena.

De Franchetti tiene a distanza le altre due guardie del corpo: «Andate pure a divertirvi».

La serata è ricca di suggestioni, soprattutto in uno spa- zio dall’arredo etnico adibito per l’occasione a sala da ballo. Vedo capigliature improbabili e parrucche con troppi colori. Si pavoneggiano, le contesse. Muovono le braccia come se avessero uno scettro in mano, sputtanano il vicino di yacht, si infilano unghie artefatte e scattano foto con aggeggi fluorescenti, tutto nello stesso istante. C’è spazio pure per le occhiate ai ragazzacci prestanti nei dintorni, i marchettari non si annoieranno.

C’è una pornostar coperta solo di pitoni, c’è il famoso trans che un decimo di Montecitorio e un quarto degli spogliatoi di Roma e Lazio si sono inculati. C’è l’uomo-bisturi che distribuisce ritocchini di botox e raccoglie le prenotazioni per maquillage e manutenzioni ordinarie occhi-zigomi-tette. Il profumo di sesso serpeggia, le voglie si irrigidiscono, gli scrupoli evaporano.

Ecco che entrano i culturisti! Starnazzi e cinguettii si sollevano di un ottavo, capezzoli s’inturgidiscono, dita affusolate scansano ciocche di capelli dagli angoli degli occhi.

La temperatura sale insieme ai decibel, i camerieri distribuiscono salviette, calici colmi di champagne e assaggini. L’occhio da sbirro va a tallonare spacciatori e papponi, che da queste parti chiamano impresari e agenti.

Luci a intermittenza su cinghie D&G e borsette Prada, su croci immense sopra ampie scollature, su bretelle Louis Vuitton, simboli fallici e massonici, stringhe Armani, lingue voraci con sotto pastine iniettate di GBL che si stanno sciogliendo, cover Dior, dentiere con la firma dell’odontotecnico di grido sull’ultimo molare.

Un appuntino: le luci sono mal posizionate, i tentativi di cromoterapia falliscono miseramente.

Ci sono uno in tanga che tiene due bulldog al guinzaglio e un altro del genere “obbedisco” a quattro zampe con una torta sulla schiena. Ci sono una chiromante che promette meno avvisi di garanzia per tutti e una nonnina in uno spigolo della sala che gestisce la bancarella delle grattachecche.

Riconosciamo la figlia di Vanni Maniero, Francesca. Il suo culo battaglierà con quello di Diletta per tutta la sera, sono entrambe delle collezioniste di occhiate pruriginose.

In un androne a parte c’è la Roma che fu, opportuna- mente riadattata. Allegorie da cocainomani: Nerone che dà fuoco alle “polveri” e i patrizi che sniffano impunemente. Metafore socio-politiche: possenti legionari coi manganelli tonfa che annientano gladiatori agghindati con esigui stracci di colore rosso. Parabole religiose: vergini vestali devota- mente a disposizione di divinità, qui rappresentate da teatranti in abiti cardinalizi. Esagerare, qui, è il minimo sindacale. Lo status quo, l’unica ideologia.

De Franchetti dice: «La grande bellezza è solo un documentario».

Poi succedono due cose.
Vanni Maniero fa la sua apparizione. E sua figlia sale sul cubo.

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