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Meta. L’artigianato che tarda a morire

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Qualche giorno fa sono stato a Meta di Sorrento per presentare il mio libro-dvd “Mater Matera” a “Geografia nascosta”, una rassegna culturale ideata e coordinata da Eugenio Lorenzano, un intellettuale vulcanico e generoso. Tornare a Meta di Sorrento – terra di grandi navigatori e di armatori, nonché di un importante meridionalista quale Salvatore Cafiero, direttore della Svimez dal 1982 al 1998 – per me significa incontrare nuovamente Vincenzo Aiello, un critico letterario di grande sensibilità, che conosco da quasi vent’anni, ovvero da quando pubblicai la mia tesi di laurea su Domenico Rea. Vincenzo ha portato me e i miei figli sulla passeggiata di Alimuri, e mi ha spiegato molte cose di questa cittadina il cui destino è segnato dal mare fino nel midollo. A un certo punto Vincenzo mi ha voluto far conoscere Michele Cafiero – Cafiero è il cognome più importante di Meta – uno degli ultimi maestri d’ascia del posto, e così siamo entrati nella sua officina-grotta, dove da generazioni la sua famiglia costruisce barche artigianalmente. Michele mi piace subito: è segnato dal lavoro, fuma molto, è di poche parole, sembra duro ma in verità è dolcissimo. In testa ha un berretto di lana. Mi spiega come si disegna una barca, come la si concepisce, il tipo di legname che si usa per fabbricarla, e come vanno tagliati i pezzi – con l’ascia, appunto, ma al millesimo: un lavoro difficilissimo, quasi impossibile. Anche suo padre era maestro d’ascia, e anche suo nonno – e così a ritroso, per generazioni. Ora, mi dice Michele, questo lavoro sta andando a morire, perché quasi più nessuno acquista barche fatte artigianalmente. Le sue due figlie studiano, e la più grande, mi dice con malcelato orgoglio, si è appena laureata, e ora andrà a lavorare in Olanda. Non c’è amarezza nelle parole di Michele, ma la saggia consapevolezza che le cose cambiano sempre – e poi, a un certo punto, finiscono. In un angolo però vedo un ragazzo taciturno dal volto rinascimentale. Ha poco più di vent’anni e ci ascolta con grande attenzione. Gli chiedo chi è. Mi dice che è il nipote di Michele, e che sta cercando di diventare maestro d’ascia pure lui. “Ti piace fare questo lavoro?” gli domando. Fa “sì” con la testa; e lo fa fiero, orgoglioso, con finta timidezza. E allora capisco che è vero sì che anche le cose preziose sono destinate a morire, ma più lentamente delle cose poco preziose, molto più lentamente: a volte ci vogliono secoli.

 

Leggi anche la striscia di ieri, qui.

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