Rosanna Rubino è nata a Napoli e vive a Milano. È architetto e specialista marketing. Ha esordito nel 2013 col romanzo Tony Tormenta (Fanucci Editore). Seguono Il sesto giorno (Fazi Editore, 2016) e 331 metri al secondo (HarperCollins, 2018). Il suo ultimo romanzo da poco approdato in libreria è: Mezzanotte (Castelvecchi, 2024).
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Sei una riconosciuta scrittrice, con una formazione da architetto alle spalle: quanto del guardare le forme urbane di questo mondo finisce nei mondi narrativi delle tue storie e cosa ne resta fuori?
La città fa da co-protagonista in tutti i romanzi che ho scritto. Sta lì sullo sfondo in ogni scena, attraverso le descrizioni dei luoghi e delle architetture. La Milano di Mezzanotte è strana, storta, onirica, sempre sospesa tra bene e male, centro e periferia, proteste incendiarie e party radical chic. Una Milano che ora frigge, ora trema, imprigionata tra il bollore di fuori e il gelo di dentro.
Con la tua scrittura hai ideato e scritto storie diverse fra loro, eppure universali. Lo hai fatto con un talento visivo in grado di produrre immagini intense che fermano su carta il vivere caotico di questo mondo. Nel leggerti sembra di guardare certe pellicole dei film d’azione, quelli di qualità intendo, degli anni ’80. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di genere letterario, qual è quello che da scrittrice preferisci quando narri una storia?
Quando mi metto al lavoro su un romanzo procedo per immagini traducendo in parole il film che vedo nella mia mente. È un lavoro di trascrizione minuzioso. Penso sempre alla storia in forma di film, con scene e atmosfere dettagliate, e solo alla fine, quando tutto è chiaro, il film si trasforma in romanzo. Sulla questione del genere, invece, m’interessano le storie con una dimensione di suspense, ovvero una tensione crescente. Quel qualcosa che non quadra, il colpo di scena finale. Nei miei romanzi le cose sono sempre un po’ diverse da come sembrano.
Quali sono i romanzieri del “passato” da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi che più rileggi?
Se guardo al passato, Steinbeck, un gigante, modernissimo e fichissimo. Oggi, i contemporanei che ri-leggo spesso sono Stephen King per la sua capacità di scrivere storie universali, Chuck Palahniuk per il suo modo di raccontare storie irraccontabili e Michel Houellebecq per la sua visione del mondo.
Come, quanto e dove hai lavorato all’idea del romanzo Mezzanotte (Castelvecchi Editore 2024) appena approdato in libreria?
Mezzanotte si è preso molto tempo della mia vita, fra tutti è il romanzo che ho impiegato più anni a scrivere. È la storia di un pilota di linea, Comandante Airbus 320, che lavora per una compagnia aerea francese. Il tema dell’aviazione civile ha richiesto un’attività di ricerca poderosa. Ogni fatto sugli aerei raccontato nel romanzo è il risultato di osservazione diretta, oppure dei racconti di addetti ai lavori, piloti e assistenti di volo. Ho scritto ovunque, nelle cabine di pilotaggio, negli aeroporti, nei bar, nelle camere degli hotel. Un romanzo on the road, nel senso che l’ho pensato e scritto mentre ero in viaggio, letteralmente. Per un po’ ho fatto anch’io la vita di Mezzanotte e devo dire che mi sono divertita un sacco.
Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?
Il mio desiderio è scrivere libri per tutti, impresa ardua, si sa. Scrivere libri per un tipo definito di lettore è più facile, perché si tratta di aderire a un genere, che appunto funziona secondo dinamiche note, e richiede più mestiere che talento. Nei libri per tutti non esistono regole, ci vuole più talento che mestiere. E quindi la sfida è maggiore.
Stai già lavorando alla scrittura del tuo prossimo romanzo? Se puoi farlo raccontaci qualcosa di questo tuo nuovo lavoro.
Fino a oggi ho scritto quattro romanzi, tutti con protagonisti maschili. È arrivato il momento di mettere una donna al centro della scena.
Quale tipo di storia non scriveresti mai?
Scriverei qualunque storia, purchè possa farlo a modo mio. In ogni storia c’è una sfumatura o un dettaglio che puoi mettere al centro della narrazione costruendoci intorno la trama. Se parliamo invece di temi che mi piace investigare, preferisco la vendetta al perdono, il rimpianto al rimorso, la lussuria all’amore, la furia all’accettazione. È sempre più interessante raccontare i chiaroscuri piuttosto che i chiari o gli scuri.
Ti andrebbe di raccontarci quanto ti sei allenata, in tutti questi anni, per arrivare ai romanzi, pur partendo – nel tuo apprendistato letterario – dalla forma racconto?
È stato – ed è tuttora – un allenamento semplice: leggere libri e vedere film. Lo faccio da sempre. È così che ho appreso, quasi senza rendermene conto, i fondamenti dello storytelling. A chi vuole scrivere consiglio questo, leggere due libri a settimana e vedere due film al giorno, tutti i giorni, tutte le settimane, tutti i mesi. Non esiste palestra più efficace.
In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché scrivi storie?
Perchè scrivere è ciò che mi riesce meglio. Per fortuna è anche quello che mi rimette ogni giorno in bolla con la vita, così il risultato è duplice, sia utile che dilettevole.
Questo è un mondo dove sembra – ad oggi – aver vinto l’immagine, a discapito della parola scritta. Eppure c’è chi resiste. Ti andrebbe di dirci perché leggi e scrivi libri?
Leggo per dimenticare e scrivo per ricordare. È un processo un po’ virtuoso, un po’ vizioso, che si rigenera all’infinito. Leggendo dimentico tutte le cose a cui non mi piace pensare, invece scrivendo sono costretta a rimetterle in fila una a una guardandole dritto in faccia, tanto quelle cose restano lì che io ci pensi o meno, quindi piuttosto che accettarle preferisco usarle per generare pensieri e idee.