Gli altri continuano la loro danza esistenziale / Voi siete protetti da un vetro trasparente / L’inverno è tornato. La loro vita sembra reale. / Forse, da qualche parte, l’avvenire attende.
Il libro sacro per capire o almeno cercare di comprendere al meglio la personalità di Michel Houellebecq, poliedrico autore di romanzi, poesie e saggi (e incursioni nel cinema). Odiato e amato moltissimo, in Francia come nel resto del mondo. Scoprire come è arrivato a essere scrittore, quando nulla lo lasciava presagire: esplorare i suoi esordi. Osservare il grande autore nel suo vivere quotidiano tra gioie e grandi inquietudini. In “Michel Houellebecq – Cahier” (La Nave di Teseo), opera di enormi dimensioni (quasi un formato A4), si inanellano testi rarissimi, illustrazioni, testimonianze di parenti, amici, nemici e artisti come Bret Easton Ellis, Iggy Pop, Emmanuel Carrère, Julian Barnes, Yasmina Reza, Salman Rushdie e molti altri. Oltre a tanti testi di Houllebecq stesso.
Assistiamo a una serie di testimonianze che cominciano dai primi compagni di liceo e poi di università (“L’Agro” che sforna ingegneri agronomi) e in cui Michel Thomas (non ancora diventato Houellebecq, il cognome della nonna materna alle cui cure fu lasciato dagli sciagurati genitori) primeggia senza sforzo. E poi c’è il circolo di poesia dove legge i suoi primi componimenti di cui rimangono alcuni frammenti. Il circolo è uno spazio dove Michel si trova a suo agio, è sempre gentile, come a scuola, ed estremamente tranquillo.
Nella usa primissima raccolta si trova la dichiarazione poetica di Houllebecq alla fine del secolo:
Ogni società ha i suoi punti di minore resistenza, le sue piaghe. Mettete il dito sulla piaga e premete molto forte. Approfondite i soggetti di cui nessuno vuole sentire parlare […]. Siate abietti, sarete veri.
Si fa strada anche il rapporto tormentato di Houellebecq con le ragazze e poi le donne: “Perché, poi, il mio sguardo fa fuggire le donne? Questa è una delle infelicità della mia vita”.
Nel 1981 nasce suo figlio e a ciò si aggiunge lo stress del divorzio che lo porterà sul baratro di quella depressione che non lo abbandonerà mai più, salvo molti momenti di quiete, ma per esempio le sue poesie nascono tutte dalla sofferenza per cui i poeti sono “suicidi vivi”; tranne nell’amore iniziale in cui il mondo percepito in due ha un significato diverso “non so se si tratta di vero amore o di azione rivoluzionaria” (“Tutte le poesie”, Vol. I, p. 241, Bompiani). Ma di questo non si parla nel libro rosso, come è solo accennata l’infanzia dell’autore “Non ho mai avuto nulla che somigliasse all’infanzia”, mentre sul genitore dice: “Mio padre era un coglione solitario e barbaro”.
In “Cahier” viene riportato un testo teatrale inedito scritto a quattro mani con Pierre-Henri Don: una visione di grande sarcasmo domina dietro e davanti alle quinte con la voce di un narratore cinico ed esigente.
In seguito incontriamo i primi contatti di Houellebecq con la poesia, ma questa volta pubblicata. “Il ritmo della poesia di Michel (versi nuovi su ritmi antichi) ha la sua parte di perversità: perché gioca su una seduzione del linguaggio e dei versi, mentre con uno stesso movimento v’impone altro. Vi conduce là dove non avevate la minima idea di andare.” (Intervista di Agathe Novak-Lechevalier ad André Velter di France Culture e altro).
E poi interviene, nel lavoro come nella vita quotidiana, la sua poetica del fallimento o meglio del “quasi fallimento” (“Tutte le poesie”, Vol. I, p. 15, Bompiani), in cui non ci si chiede di batterci, ma di assumere l’eterna posizione del vinto. L’indifferenza di Houllebecq deriva da un’attenta osservazione del mondo naturale, vegetale. Il pessimismo di Houellebecq che esordisce come poeta, ma raggiunge il pubblico con i romanzi è un moto interiore risvegliato da molti fattori: “L’absence d’envie de vivre, hélas, ne suffit pas pour avoir envie de mourir.” (da “Piattaforma”, p. 329, 2001). D’altronde viviamo in un mondo dove è possibile vedere “l’orrore della nascita” in modo vivificante solo in potenza. (Il corsivo è mio).
Nel 1994 Houellebecq esordisce nel romanzo con “Estensione del dominio della lotta” ispirato ai suoi anni di lavoratore informatico presso l’Unilog dove fu impiegato dal 1983 al 1986 dopo il divorzio e gli anni di disoccupazione: “In una situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In una situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali. Ugualmente, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali.”
La rivista “Perpendiculaire” lo esclude dalla redazione in seguito all’uscita di “Le particelle elementari” (1998): seguirà un aspro scontro con lo scrittore Philippe Sollers.
Julian Barnes è chiamato nella giuria del premio Novembre che il suo finanziatore vuole che sia un rimedio alle storture dei premi letterari francesi come il Goncourt, tra le sue idiosincrasie: odia Houellbecq, e dopo la vittoria di quest’ultimo per un solo voto con “Le particelle elementari”, cancellerà il premio per un anno e lo chiamerà successivamente Dicembre; Barnes come anche il direttore di giuria hanno votato per Michel Houllebecq (il premio corrisponde circa a 30.000 dollari). In cinque fitte pagine Julian Barnes spiega in breve la poetica di Houellebcq come la massima espressione della letteratura francese dai tempi di Tournier.
All’uscita del romanzo “Piattaforma” (2001) è Salman Rushdie a scrivere un articolo per il Guardian e ripreso da Liberation il 3 ottobre 2002. Un libro diventato l’oggetto di un processo farsesco, intentato dalla Lega dei diritti dell’uomo e alcune associazioni musulmane, che vedrà vittorioso Houellebecq. Frédéric Beigbeder scrive un ampia analisi a proposito di “Piattaforma”, il cui il protagonista e io narrante dice: “Io non ero felice, però apprezzavo la felicità, e continuavo ad aspirarvi.” Naturalmente queste frasi sono oscurate dalla confusione tra personaggio e autore. E via di seguito molti intellettuali e scrittori che difendono a spada tratta – con solide argomentazioni – il mito, Michel Houellebecq.
Memorabile lo scambio di email tra Michel e Teresa Cremisi, dove oltre agli aspetti più letterari (Cremisi è Capo del consiglio d’amministrazione di Flammarion e le email vanno dal 2009 al 2015), emergono lati d’amicizia e dolcezza da parte di Houellebecq, a cui, nel fratempo, muore il fido cane Clement. Poi vince per “La carta e il territorio” (2010), che ha come protagonista Jed Martin, che diventa un artista famoso grazie alle sue fotografie delle carte Michelin, il premio Goncourt, con la più rapida seduta dei giurati nella storia del premio: 58 secondi.
Compare poi un’interessante analisi delle opere di Houllebecq di Sam Lypsite del 2003. L’opera di Houellebecq non è sempre costretta dai canoni del tempo anche se le sue visioni preveggenti in “Piattaforma” (2005) o in “Sottomissione” (2015) di cui annullò il tour promozionale, sono state sempre oggetto di attenzione da parte della stampa. Nel 2015 emerge chiaramente la sua immensa dedizione a Joris-Karl Huysmans, ovunque aleggiante nelle sue opere. Antonio Scurati scrisse un articolo su “Sottomissione” come potente romanzo satirico e, ovviamente nichilista.
In “A chiare lettere (alfabeto houellebecquiano)” l’autore stesso dipinge se stesso in uno stupendo ritratto autoironico in cui emergono la sua ispirazione a Balzac, il fatto che umorismo e lirismo devono sempre presenti, “ma il lirismo deve avere l’ultima parola”. Esprime la sua passione per Neil Young “un grande modello di assenza di rigore, per me. Segue la sua intuizione” […] “Forse è l’unico cantante che mi abbia veramente fatto piangere – ogni tanto: favoloso.”
Il romanticismo è un progetto di alleanza tra la scienza e l’arte e in questa chiave Huollebecq è uno scrittore romantico, soprattutto nelle sue poesie.
“Cahier” è un testo che fa spazio anche alle visioni critiche, c’è chi ha amato i primi romanzi e poi ha detestato “Sottomissione” (2015) o crede che l’autore consideri la poesia superiore al romanzo (cosa vera come scriverà Houellebecq anni dopo): un punto su cui diversi intellettuali ritornano. Uno di questi casi è il bellissimo e lungo articolo di Emmanuele Carrèrè, scritto quando è con la famiglia in vacanza a Phuket (luogo che associa, come l’Irlanda, alle opere di Michel Houellebecq che raramente ha scritto in Francia). Fama, denaro (ma si veste come nel 1989), convegni e tesi su di lui: Carrèrè non lascerebbe mai la sua vita circondata dall’amore famigliare per aver in cambio quella di Houellebecq che pronostica anche molto breve se non si darà una regolata. Una nota – a cui non dà molto rilievo – è il fatto che il suo figlio maggiore, Gabriel, conosce a memoria tutte le opere di Houellebecq (non le sue…).
Nelle illustrazioni a colori a centro volume troviamo un disegno di Houellebecq bambino del 1969 su una poesia di de Lamartine, poi varie foto di opere di artisti che hanno ritratto Houellebecq come Mathieu Malouf o l’opera in smalto su marmo dell’autore seduto con lo sguardo perso nel vuoto mentre fuma di Clément Mitéran o ancora i dipinti più sperimentali di Robert Combas (in uno di essi uno dei soggetti subito evidenti è il cane Clement).
“Imparare a diventare poeta è disimparare a vivere.” (da “Restare vivi”)
In “Cahier” si susseguono pezzi di traduttori, editori, giornalisti. Molti rilevano come il modo in cui si possono leggere i suoi personaggi siano simili ad auto-socio-analisi traslate (lui come clown, per esempio, nella “Possibilità di un isola”, 2005), autoritratti di una lucidità incredibile e di una precisione sociologica e letteraria che non erano mai state raggiunte prima. Houellebecq è uno dei pochi romanzieri a considerare la poesia superiore al romanzo, a tentare la follia di farla entrare nel romanzo, e ad esserci riuscito.
Stupì i lettori francesi con un epistolario dai toni amichevoli con Bernard-Henri Lévy: “Nemici pubblici” (2009), mentre nei dibattiti televisivi i due si azzuffavano verbalmente.
Nel contributo di Pierre Comary si legge: “Antimoderno, antireazionario, irreversibile e irrecuperabile, postapocalittico, è l’uomo ferito ideale. In lui suppurano le nostre stimmate di donne e di uomini del XXI secolo, stanchi di vivere. […] Se è malato, il suo punto di vista sulla malattia è sano. Ed ecco perché lo si ama. A dispetto di tutto, resta vivo. È l’ultimo dei viventi.”
Molto difficile enumerare tutti i contributi di questa antologia dall’omaggio inedito dello scrittore Maurice G. Dantec (autore de “Le radici del male”, ed. or. 1995), lo scritto di Michel Onfray sul nichilismo e Yasmina Reza che sembra concordare con quanto dice l’autore in una poesia (arte che ritiene superiore, come Houllebecq, al romanzo e riconosce nell’autore un grande poeta): “Sono difficile da collocare” (“Tutte le poesie”, p. 810, Bompiani). O la magnifica intervista doppia dello Der Spiegel a Bret Easton Ellis e Michel Houellebecq.
“Non conosco nessuno che viva in Occidente senza esservi obbligato.” M. Houellebecq.
Dopo l’uscita di “Sottomissione” (2015) fu messo sotto la scorta di due agenti, il risultato fu che Houellebecq non uscì quasi più di casa: “Mi piacciono molto, ho qualche scrupolo a scomodarli solo perché voglio andare al ristorante”.
Nel testo scritto per questa antologia-monstre, “Morire I e II”, Houllebecq definisce “La possibilità di un’isola” il suo testo più riuscito, almeno sul lato romanzesco. E parla di sé e della sua opera, ancora, ma da una diversa e, forse, più saggia prospettiva.
Si conclude con una parte dedicata a “Houllebecq e il cinema” con un’apertura dell’autore sull’elogio del cinema muto. Poi “Houellebecq e la musica” con uno straordinario e breve pezzo di Iggy Pop: “The Elephant in the room” (2016) e articoli di Houellebecq dedicati a Leonard Cohen, Neil Young e altri. E infine “Houellebecq e l’arte” come ad esempio la mostra delle sue foto (passione che ha coltivato fin dai sedici anni) al Palais de Tokyo, tra le altre.
L’ultima chiusa è il breve, ma intenso “Caleidoscopio houellebecquiano” che termina con l’intervento di Alain Vaillant: “Michel Houellebecq, genio del comico assoluto”.
Un’opera dalle mille e mille sfaccettature tenuta insieme con mano sicura dalla curatrice e amica dell’autore, Agathe Novak-Lechevalier, un testo molto complesso che lo esclude da ogni tipo di operazione commerciale: “Michel Houellebecq – Cahier” diventerà opera centrale per comprendere a fondo la storia dei testi, le interpretazioni, le analisi e la poliedricità di un artista che ha travolto gli ultimi anni del XX secolo e i primi venti o trenta del XXI.
Un’opera assolutamente immancabile per tutti coloro che hanno percorso una parte della loro esistenza insieme ai suoi volumi di poesie, romanzi e saggi.
Michel Houellebecq –Cahier a cura di Agathe Novak-Lechevalier (traduzione dal francese di Fabrizio Ascari), pp. 389, 30 €, La Nave di Teseo, 2019.
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