Walter Benjamin alza lo sguardo alla volta di ferro e di vetro del passage des Princes, e ancora una volta s’incanta. Quella strada coperta che per il suo lucore larvale gli ha sempre ricordato un acquario è insieme un esterno e un interno, un limbo fra la strada e la casa: e un mentito scintillio di vetrine in assenza di luce; una mostra di merci nella mostra dell’onta (abitano lí sopra, i negozianti, i cui bambini e i cui vecchi occhieggiano dalle lunule che sormontano le vetrine); un riparo dalla violenza della città, e l’intuizione più intima di cosa sia, la città, come vederla in sezione, come vederla sognare… E in quel sognante corridoio dove si vorrebbe sedere come in una camera, e in quella camera in cui vorrebbe andare avanti e indietro come in un corridoio, Walter Benjamin, il sognatore, si sente invadere da una pregnanza che lo giustifica com’è giustificato il pesce dall’acqua.
Michele Mari
Tutto il ferro della torre Eiffel
Einaudi