L’infausta estate 2023 è stata protagonista di una lunga sequenza di sciagure che si sono abbattute sulla nostra penisola: dalla prematura dipartita di alcune figure di spicco del panorama culturale, a una serie di catastrofi climatiche e fatti di cronaca che, sommati all’esodo dalla recente pandemia ancora gravante sulle nostre spalle, hanno portato all’inevitabile aumento di un sentimento di malcontento condiviso nella popolazione.
In questo clima di insoddisfazione diffusa e rabbia a stento repressa, non poteva che trovare terreno fertile l’uscita di un’autopubblicazione che avrebbe dovuto spacciarsi come una riflessione sui tempi ma che in realtà nasconde, neppure troppo velatamente o furbescamente, un’anima profondamente istigatoria, razzista e diffamante.
Di questo mondo al contrario e del suo militante autore già troppe parole (a parer di chi scrive) si sono spese e troppo tempo vi è già stato dedicato, lungi da me quindi contribuire a gettare altra benzina sul fuoco o imbastire un nuovo altarino di polemiche da bar ma, per poter parlare del libro in questione, la premessa era d’obbligo.
Ci troviamo infatti davanti a un pamphlet -quello proposto dallo scrittore anconetano Michele Monina- che si pone in diretta antitesi alla pubblicazione del Generale Vannacci: una riflessione acuta, lucida e estremamente fruibile che, in poco più di centocinquanta pagine edite da Moralia Edizioni (nuova costola dell’editore Fanucci) si pone l’obiettivo di smontare punto per punto, ogni teoria presente nel bestseller che ha scalato le classifiche di vendita Amazon (oggi distribuito anche in libreria dall’editore riminese Il Cerchio, occupatosi anche dell’editing/ripulitura dai numerosi refusi presenti nella versione originale).
Partendo dal concetto di Zeitgeist, ovvero lo spirito che contraddistingue una determinata epoca, nello specifico la nostra, e la moda imperante oggi di voler trovare spiegazioni e risposte adeguate a tutto quello che avviene nel mondo pur senza possederne le dovute conoscenze, il nostro pone l’attenzione in primis sulla biografia e i titoli di studio del decantato autore che, specchio e stereotipo dei tempi, si arrocca del diritto di formulare tesi semplicistiche e instabili sui più disparati argomenti etici, sociologici, scientifici ed economici pur senza preoccuparsi di verificarne le fonti, limitandosi spesso a far leva su slogan propagandistici da bar, modi di dire e convinzioni anacronistiche che strizzano l’occhio all’insoddisfazione imperante dei boomer più facilmente infiammabili.
Si potrebbe parlare di “vincere facile” rispetto al contenuto dell’opera di Monina che, capitolo dopo capitolo, ripercorre la parabola vannacciana prendendosi l’onere di analizzare e smontare tesi di una banalità a tratti imbarazzante ma l’abilità del nostro -con dati alla mano e un occhio decisamente più attuale sui vari punti in agenda- si evince anche dal tono generale dell’opera che, pur mantenendo costante un’umiltà di fondo che rinuncia a far leva sul flame facile, non fa sconti a nessuno scivolone reazionario, identificando con chirurgica precisione ogni singola falla dell’ipotetico, decantato/detestato, mondo al contrario.
Molina pone dunque una riflessione lucida ed estremamente calibrata sul concetto di libro e del suo utilizzo a fini politici e manipolatori, portando il lettore a ragionare su alcuni punti cardine della nostra costituzione italiana e più in generale del vivere civile che, nel libro di Vannacci, vengono citati e sbandierati troncando parti fondamentali, deformando il significato originale a solo uso e consumo delle tesi divulgate dallo stesso.
Se quindi possiamo lasciarci andare a un sorriso mentre ci gustiamo (nel vero senso della parola) il modo in cui Molina abbatte l’ideologia del generale sull’italianità degli spaghetti al pomodoro, tale leggerezza non ci è concessa quando ripercorriamo passaggi di una bassezza etica e sociale come quelli in cui si millanta il diritto alla “normalità” rispetto alle minoranze etniche o quando si ha la pretesa di definire il ruolo della donna all’interno di una società “civile e funzionale”.
Se è vero perciò che stando a quanto scritto nell’articolo 21 della Costituzione Italiana “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (frase utilizzata ciclicamente dal generale come ariete per introdurre le sue discutibili tesi), altrettanto vero è che “il nostro codice penale privilegia, ancorché non in modo assoluto, la tutela dell’onore rispetto alla tutela della libertà di manifestazione del pensiero”.
Ben venga dunque la libertà di pensiero ma solo fintanto questa non arriva a ledere i diritti e la sensibilità dei soggetti altrui. A maggior ragione quindi, un libro come quello di Monina si erge a contraltare indispensabile nel tentativo di restituire uno sguardo civilmente ed eticamente consapevole (il prezzo di vendita è l’ennesima conferma di quanto l’operazione sia distante dalla speculazione economica), pur senza rinunciare ad una fruibilità e una piacevolezza di fondo che lo rendono una lettura consigliabile anche a coloro che non hanno ancora incrociato la strada della sua nemesi ma semplicemente scelgono di appartenere a un mondo “razionale”.
«Il fatto è che credo, e lo credo fortemente, che le provocazioni vadano prese molto sul serio,
Io almeno le prendo molto sul serio, e quando decido di provocare non lo faccio mai per il mero gusto di stare per qualche ora al centro dell’attenzione – peraltro l’attenzione virtuale e fittizia che si manifesta in rete – ma più per la necessità di far cadere il velo di Maya e aprire la porta durante l’incendio, ben sapendo che l’ossigeno che incontrerà le fiamme darà vita a un’esplosione deflagrante, a costo di rimanerci io stesso sotto.»
Stefano Bonazzi
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Il mondo per il verso giusto
Michele Monina
Moralia Edizioni
10,00 euro — 176 pagine