Tutto era acqua. Lo era il mare, ovviamente, l’Adriatico, che all’orizzonte esibiva i lembi frastagliati dei Balcani, ma lo era anche la terra: l’asfalto di piazza Mazzini, cinquanta metri più in basso, non esisteva, sostituito da una pozza grigia da cui fuoriuscivano appena le scocche arrugginite dei lampioni, l’acciaio striato porpora e arancio.
Una Milano ballardiana, proiettata nell’anno 2045, si apre allo sguardo del lettore in questo Prima della rivolta, romanzo di Michele Turazzi edito da Nottetempo. La città della Madonnina ha cambiato profondamente volto e forma a causa del riscaldamento globale, assediata dall’acqua e dal caldo insopportabile, ma ad aggravare la situazione si è aggiunto un sovrappopolamento che sfocia di frequente in scontri tra fazioni politiche, i Frontisti e gli Antagonisti, su cui incombe il controllo di una Digos diventata organismo autonomo. I Navigli sono tornati navigabili, e insormontabili barriere isolano il centro dalle periferie, e queste ultime dai territori esterni. In questo caos distopico si muove il commissario Alberto De Santa, che deve indagare sulla morte di Renato Valsecchi, imprenditore e membro della Chiesa dell’Apocalisse – a cui fa capo la nuova religione dominante – morto dopo aver mangiato del pesce palla. Intorno a queste premesse, e grazie a un’orchestrazione vertiginosa, Turazzi costruisce una narrazione in cui il primo elemento che colpisce è, nell’insieme, una straordinaria capacità perturbante. Il racconto minuzioso di una città come Milano, profondamente mutata – e in maniera catastrofica – nei suoi aspetti piccoli e grandi, colpisce in maniera violenta lo stomaco e l’immaginazione, trascinando chi legge a distanze sconvolgenti quanto verosimili. Il centro storico del capoluogo meneghino, così come le waste land di Pioltello, rivivono sulla pagina in maniera del tutto verosimile eppure sorprendente, mentre intorno l’intreccio tra indagini, scoperte, colpi di scena e sussulti di un collasso sociale in corso confluiscono in un crescendo imperdibile.