«Capisco mio padre, urlo per coprire il rumore. Se questo è il futuro, neanche io voglio vivere qui».
Già soltanto la copertina: una valigia rossa sullo sfondo azzurro. Una valigia rossa legata con del filo nero che poi si perde oltre il disegno. E certo che ci viene voglia di aprirlo, un libro così – di aprire la valigia, anche – e di seguire il filo della storia che dentro si dipana. E con un titolo così, poi, volutamente lungo e un po’ strambo, ma che subito ci attrae perché è come se non fosse soltanto un titolo ma già la voce di qualcuno che dal libro si affaccia e ci chiama. «In cortile cammina un bambino, le sue scarpe lampeggiano a ogni passo. Mette lentamente un piede davanti all’altro finché si ferma di fronte a me. Mi guarda, il moccio gli cola dal naso, e mi dice: ieri ho sognato che offendevo tutti. Svolto sul vialetto di ghiaia senza girarmi, il bambino mi strilla dietro una raffica di insulti. Un uccello se ne sta sul filo del bucato, cinguetta e fa rotolare nel becco un seme di canapa. Il sole di primavera mi splende dritto in faccia. La porta di casa è aperta».
Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena (Mein Vater war ein Mann an Land und im Wasser ein Walfisch, 2016) di Michelle Steinbeck, uscito oggi per Tunué (112 pagine, euro 17), con la traduzione di Hilary Basso e nella collana “Romanzi” diretta, per ciò che riguarda la letteratura straniera, da Giuseppe Girimonti Greco, è stupore pieno ed ha già il sapore di un classico. È appena uscito in Italia, appunto, eppure è una di quelle letture che resteranno per sempre. Perché è la storia di una bambina/ragazza che va in cerca del proprio padre che ha tagliato la corda e per farlo sconfina nello spazio e nel tempo e non si ferma mai, né lei né la valigia che si porta dietro per restituirla al genitore. Una valigia nella quale è racchiuso il passato (e il presente) e qualcosa – o qualcuno? – di vivo che da dentro fa toc toc come fa il passato quando non l’abbiamo del tutto risolto e bussa alla nostra coscienza. Perché è la storia di un passaggio, l’attraversamento della linea d’ombra tra l’adolescenza e l’età adulta, anche se sarebbe meglio dire che è una riflessione sulle responsabilità che dovremmo assumerci e come fare affinché il nostro essere più profondo non ne sia però soffocato, dalle responsabilità che la vita ci chiede di assumere. Loribeth è il nome della protagonista: è lei che ci parla nel libro, è la sua voce che seguiamo, è lei che all’inizio torna a casa dove deve essere mancata da un po’ e si mette a trafficare con la macchina da scrivere del padre – che è uno scrittore – e batte sui tasti il titolo di ciò che vorrebbe scrivere e al quale ha pensato strada facendo. E il titolo naturalmente è: “Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena”. Poi però subito si alza dalla sedia perché è irrequieta e ha fame e va in cucina e poi nella sala dove il fratello sta con una dozzina di altri ragazzini a fumare e a trangugiare cucchiaiate di muesli e il fratello la prende in giro, la sfida e lei torna in camera e si butta sul letto e si addormenta. Quando si sveglia ha la sensazione di avere un ferro da stiro sopra il petto e in effetti il ferro da stiro c’è, perché lei lo afferra e lo lancia dalla finestra e si sente un colpo sordo e allora si alza e guarda giù e vede che il ferro da stiro ha fatto secco un bambino che era giù in cortile e. E senza qui voler raccontare tutta la trama, va però detto che ciò che in questa storia accade, accada a rotta di collo. Accade come se Loribeth non si sia mai schiodata dalla macchina da scrivere, con il rullo che scorre, i tasti che battono e lei che al contempo scrive e si ritrova a fare ciò di cui scrive ed esce di casa con la valigia rossa e si ritrova in un cimitero dove incontra una cartomante che le dice come debba raggiungere una città rossa e una casa rossa e come incontrerà un uomo chiaro e quando infine si mette in cammino, ecco che incontra tre alani, tre cani in tutto e per tutto, se non fosse che invece di abbaiare, parlano, ridono, sghignazzano. Ma potrebbe anche darsi che Loribeth giaccia addormentata e che Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena sia solo il frutto di un sogno. Una proiezione del suo inconscio. Ed è questa la cosa mirabile e straordinaria del libro. La capacità di costruire una narrazione svincolandosi da qualsiasi condizionamento rigidamente logico. Tu chiamale se vuoi libere associazioni. Esattamente come succede nel mondo onirico dove il tempo e lo spazio si comprimono e si dilatano e perdono le coordinate e le nostre paure e angosce e incertezze e dubbi si camuffano e travestono e travasano e si mettono altri panni e tutto apparentemente si scombina. Non per celarsi o nascondersi ma, al contrario, per rendersi ancora più evidente. Diciamo “evidente”, pensando, per libere associazioni, agli evidenziatori, ai colori degli evidenziatori. Perché in questa storia è stato fatto un lavoro sulla scrittura e sulle ambientazioni come se Michelle Steinbeck ci avesse passato sopra un evidenziatore colorato. Qui tutto sembra un quadro, un film – immagini – e invece è “soltanto” scrittura. Dal ritmo incalzante, mai banale, mai scontato. Una scrittura che condensa stati d’animo diversi, perché Loribeth, o semplicemente Lori, è una ragazza segnata da una perdita, tenera e irresoluta, ma testarda, un po’ svitata, sagace, intrisa di umorismo macabro e decisa questa volta ad andare fino in fondo per trovare il luogo preciso dove ha inizio l’arcobaleno e il ponte per raggiungere l’isola della propria identità. Un po’ come fosse Dorothy de Il meraviglioso mago di Oz e Alice nel paese delle meraviglie: Lori(beth) in the sky with diamonds.
«Sono come una platessa al mercato del pesce. So di essere nel posto sbagliato; la mia vita, il mio mare è solo a pochi metri, ma non ho le energie né le gambe per tornare indietro. Tanto qui è anche più piacevole starsene sdraiati, trattenere il respiro e aspettare la redenzione. Sì, posso fare come hai fatto tu, posso restare e aspettare fino a esplodere o spegnermi. Oppure faccio diversamente e divento più simile a come mi voglio io. Sai cos’ho pensato un bel giorno? Quando sarò grande, ho pensato… e poi mi è venuto in mente: io sono grande.»
Michelle Steinbeck è scrittrice, curatrice e caporedattrice della Fabrikzeitung. Scrive storie, poesie e opere teatrali, rubriche e reportage. Il suo romanzo d’esordio, Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena (Tunuè, 2019), tradotto in inglese e in italiano, è stato finalista al Deutscher Buchpreis e allo Schweizer Buchpreis. Nel 2018 è seguita la raccolta di poesie Eingesperrte Vögel singen mehr. L’autrice sta ultimando la trilogia Die Chroniken von Dornach per il Neues Theater di Dornach. È stata borsista al Literarisches Colloquium Berlin, all’Istituto Svizzero di Roma e alla Cité des Arts di Parigi.
Gianluca Minotti