Monica Rossi, personaggio social dal nome fittizio presente solo su fb, nella vita reale è un super consulente editoriale, che ha fatto la fortuna di molti grandi editori (e riconosciuti autori) italiani. Ha un nome da donna, ma in tanti sanno che è un uomo. Affetto da cancro, divide i suoi giorni tra la sua villa da sogno (con cani da compagnia e ampia piscina, campi da tennis da lui allestiti e un immenso prato curato e sempreverde) e le sale di degenza ospedaliera. Villa che, come da lui dichiarato in una delle rare interviste rilasciate alla rivista Pangea, poteva diventare un luogo di grandi eventi per persone facoltose e invece accoglie i familiari di persone malate che hanno bisogno di supporto per chemio e assistenza post-mortem. Ogni suo intervento su fb scatena furiose polemiche che spostano l’attenzione verso un libro, un autore, un fatto di cronaca o un problema di massima rilevanza sociale sfuggito alle agenzie di stampa. Nel tempo ha creato un caso di cronaca: rendendo noti, con le sue interviste a personalità vere ma anche a gente comune, gli scandali che hanno avuto luogo in alcune famose agenzie pubblicitarie italiane. Negli ultimi mesi ha risposto al bisogno concreto (per migliaia di persone malate) di far approvare una legge utile a rendere disponibile sul mercato italiano un farmaco salvavita. Chi è davvero Monica Rossi? Perché fa tutto questo e molto altro che non racconta sui social? Ecco dieci domande (forse) utili a carpire qualcosa su vita personale, gusti letterari e modo di stare al mondo (e pensare) di uno dei personaggi più chiacchierati della bolla letteraria.
#
Una volta, durante il mio master biennale alla Scuola Holden, nel lontano 2003, chiesi a Domenico Starnone: sei tu Elena Ferrante? Avevo 20 anni. Incoscienza pura. Con quello stesso spirito, e un po’ di vecchiaia accumulata ti domando: chi è Monica Rossi? Un super eroe? Il membro di un gruppo di hacker russi? Un uomo dal quoziente intellettivo fuori misura che fa del bene per rispondere a un impulso primario?
La verità è molto più banale di quello che uno si vuole immaginare. Monica Rossi è qualcuno che si è iscritto su Fb e ha iniziato a proporre sul proprio profilo il suo punto di vista sull’editoria, sulle relazioni, sulla vita, sulla malattia. Come tutti quelli che sono iscritti su Fb peraltro. Però Monica Rossi ha un modo di scrivere che evidentemente non lascia indifferenti. Tanto che a quel punto qualcuno si è sentito in dovere di entrare illegalmente nella vita di Monica Rossi prendendosi delle libertà poi sfociate in un’ossessione patologica che avrà delle conseguenze penali. A cominciare dal caro Giona passando per la no vax per arrivare alla mamma del figlio disoccupato esperto d’informatica che mi aveva chiesto un lavoro e altri. La verità è che a Monica Rossi è stato attribuito un potere da quelle stesse persone che volevano sfruttare quel potere per promuovere il proprio libro, blog o semplicemente per “avere like su Facebook”.
Questa faccenda – che ti vede al centro di polemiche e vendette – non mi toglie dalla testa le cose concrete che hai fatto negli ultimi tempi:
a) scoperchiare il vaso di pandora sulle molestie sessuali che hanno avuto luogo in alcune grandi agenzie pubblicitarie.
b) far approvare una legge utile a rendere disponibile un farmaco salvavita.
Sei consapevole di questi due gesti tanto coraggiosi, quanto efficaci, nei confronti della vita reale?
Un giorno ho aperto Fb e mi sono reso conto di una cosa: il 90% dei post sono prese di posizione scritte solo per cercare consenso/consolazione oppure, al peggio, provocare.
Trovo che sia un’immensa perdita di tempo che non porta a nulla di buono.
Allora mi sono inventato questo format d’interviste chiedendo alla fine, e solo alla fine, di fare una donazione a favore di qualche buona causa nel caso fossero piaciute.
Sempre e solo donazioni dirette, dai lettori ai beneficiari senza nessun altro passaggio, è bene precisarlo.
Molestie nelle agenzie pubblicitarie: Massimo Guastini erano anni che provava a denunciare questa condizione e con lui diverse ragazze a detta loro vittime di questo sistema.
La verità è che in tutti quegli anni nessuno li aveva mai ascoltati o presi sul serio.
Per assurdo avevano tutti un problema di comunicazione.
Poi un giorno mi è capitato per caso di leggere un post proprio di Massimo (che non avevo idea di chi fosse) quindi l’ho contattato, mi sono fatto spiegare tutto e l’ho trasformato in un’intervista scegliendo bene le parole, le domande, le pause e la punteggiatura.
Dal giorno dopo quell’intervista è diventata virale e ne hanno parlato tutti.
Che poi qualcuno si è voluto attribuire il merito è un altro discorso che non mi tocca minimamente se non per il fatto che non ne ho più parlato per lasciare volutamente spazio a loro.
Anche perché per me Facebook è un passatempo che mi distrae fra un ricovero e l’altro.
Però se non sbaglio il risultato è che oggi – dopo sei mesi – non è successo nulla di concreto se non che alcune di quelle stesse persone CHE CHIEDEVANO GIUSTIZIA sono state denunciate e hanno preferito patteggiare e pagare. Una su tutte che alla fine ha pagato quasi esclusivamente l’agenzia We Are Social che aveva molte meno colpe di quante l’opinione pubblica gliene ha erroneamente attribuite. Un’altra è che questa vicenda poteva e doveva essere gestita in tutt’altro modo. Sono invece contento per altri beneficiari di queste interviste. Su tutte Il Borgo Tutto È Vita per il quale sono stati raccolti 35.000 euro per la costruzione di un hospice, l’aiuto concreto che è arrivato a Fenia Astone per gli animali randagi e maltrattati che salva e cura in Sicilia e le proposte per diversi contratti editoriali che alcuni degli intervistati hanno firmato. Per quanto riguarda Melania Soriani invece nessuno ha interferito (tranne gli hater/stalker che sono stati denunciati anche da chi ha donato) e il risultato è stato davvero straordinario. Stesso copione: un’intervista curata nei minimi particolari che ha richiesto tempo e impegno. Sono stati raccolti quasi 100.000 euro in pochissimo tempo con cui Melania si è potuta curare ma soprattutto è stato approvato il farmaco Enhertu per migliaia di donne inoperabili e con metastasi. Mi hanno scritto centinaia di pazienti, famigliari di pazienti, amici di pazienti, medici, oncologi, politici e giornalisti. Mi hanno invitato ad andare in visita al Parlamento e mi hanno proposto di scrivere per quel quotidiano o quella rivista. Ma sopra ad ogni cosa so che dall’inizio del prossimo anno migliaia di donne non dovranno più pagare 17.000 euro per ogni seduta di chemioterapia a base di quel farmaco non a caso definito salvavita.
E tutto questo grazie ad un’intervista su Facebook fatta da un letto d’ospedale da un profilino anonimo con il simboletto della A di anarchia. Molto punk. Molto figo.
Friedrich Nietzsche in Umano Troppo Umano, al punto 128, scrive: “Promesse della scienza. – La scienza moderna ha, come scopo, il minor dolore possibile, la vita più lunga possibile – quindi una specie di eterna beatitudine, certo molto modesta in confronto a quel che promette la religione.” Ecco la domanda: Tu credi nella fede religiosa o nelle verità scientifiche?
Nel 2023 definirsi gay, etero, fluido o transgender non dovrebbe più essere motivo di scandalo. Almeno così mi auguro. Invece parlare di religione sembra sempre più un tabù.
Credi in Dio? Cioè… ma vai proprio a Messa? Magari conosci pure la Bibbia e i Vangeli? Reciti il Rosario? Studi i Veda? Ti fai domande sull’islam, il buddismo e la meccanica quantistica? Prima ti guardano con sospetto, poi ti danno dell’invasato e poi ti dicono che sei strano.
Credo nella scienza delle religioni, che è una disciplina. Io ho sempre creduto in una forma di energia (chiamala Dio se vuoi) infinitamente più intelligente di qualsiasi intuizione umana. Credo nel senso di tutto. Credo che nascere, soffrire per poi morire sia quanto più distante ci possa essere da quell’intelligenza. Credo che misurare l’aldilà (o il “dopo”) con i parametri dell’aldiquà sia sciocco e limitante; a cominciare dall’interpretazione dello spazio e del tempo. Se poi voglio angosciarmi tanto da farmi mancare il respiro non devo fare altro che pensarmi immortale e immune da tutte le malattie. Per me non esiste incubo peggiore. Io però non ho mai creduto per essere consolato. Anzi. Penso anche che da quando ho saputo che non mi rimane molto sono sempre meno triste e sempre più curioso. Gioiosamente curioso.
A quanti anni hai scoperto il tuo primo libro, che titolo era, quali suggestioni di quella lettura porti nel cuore?
Il primo libro che ho letto non me lo ricordo perché sarà stato sicuramente un libro che qualcuno mi ha imposto di leggere quindi un libro che ho preso in antipatia a prescindere. Il “mio” primo libro invece, ovvero un libro scelto e letto per il solo piacere di leggerlo, è stato Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba. Quel libro mi ha fatto sentire molto compreso e meno solo.
Quando (e come) hai deciso di occuparti professionalmente di editoria?
In verità non l’ho mai deciso. Ho aiutato uno scrittore a scrivere un libro che ha avuto un successo clamoroso che poi mi ha presentato altri autori e soprattutto alcune persone ai vertici dell’editoria con cui mi sono confrontato e da cui ho imparato molto. Ho la presunzione di capire al volo se una storia può interessare e come dovrebbe essere raccontata. Hai presente le mie interviste diventate virali? Ecco.
Ti andrebbe di raccontarci come si svolge la tua giornata?
In effetti no, ma lo faccio lo stesso. Ultimamente le mie giornate sono complicate perché tutti questi interventi chirurgici mi hanno lasciato un problema abbastanza invalidante chiamato “ricanalizzazione”. Questo vuol dire che ultimamente mi sono sottoposto a tutte le visite del caso per capire se c’era la possibilità di farmi impiantare un pacemaker intestinale che potesse alleviare questa condizione. La risposta non è stata positiva. Mi adatto, certo, ma non è la mia vita. E sono stanco.
Consiglieresti ai lettori di Satisfiction tre romanzi classici per te fondamentali?
“Tre romanzi classici” è un po’ limitante quindi ti rispondo sforando.
“Un borghese piccolo piccolo” di Cerami.
“Gita al faro” di Woolf.
“Uomo invisibile” di Ellison.
“Jacques il fatalista e il suo padrone” di Diderot.
“Se gioventù sapesse” di Lessing,
“L’elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam e ovviamente “La Bibbia” sono libri che trovo onesti perché sono un atto d’amore nei confronti del lettore e non una scorciatoia (del tutto illusoria tra l’altro) per autocompiacersi.
Sei un fruitore di serie tv, cinema e fumetti? Se sì, che rapporto hai con questi tre medium narrativi?
No. Mai stato. Non sono un appassionato di fumetti e neanche di serie tv. I film che mi prendono dall’inizio alla fine sono stati pochi e nessuno li ha mai sentiti nominare. Ti dirò che non mi piace neanche andare al cinema. Mille volte meglio starmene a casa mia, sdraiato, ricoperto di cani e immune da chiacchiericcio, rumori e odori molesti umani.
Lungo tutta la tua vita qual è stata per te la figura formativa più importante?
Quella che non ho mai avuto. Mia madre.
Paul Auster, come te, combatte una malattia feroce. Lo scrittore statunitense, nei suoi libri, rivela che le nostre esistenze sono affidate al caso più totale: come a dire, che siamo uomini quasi ciechi, e che vagoliamo nel caos del vivere contemporaneo senza poter prevedere o calcolare nulla. Credi anche tu in questa sua riflessione?
No, io non combatto nulla. Io ho affrontato e affronto -perché costretto- una condizione che chiunque nella mia situazione è obbligato ad affrontare. Credo anche che se ti droghi o ti ubriachi e ti metti al volante e ammazzi qualcuno la responsabilità non è del caso e neppure del caos ma solo tua.
Mario Schiavone