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Monica Acito. Uvaspina

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Fatta eccezione per i classici di un tempo, leggendo un libro contemporaneo, è raro che io mi ritrovi commosso e rapito dalla prima all’ultima pagina di quel testo in prosa: in quanto libraio, tra le mura di carta e inchiostro di una libreria, ne vedo e leggo di tutti i colori. Parlo della ricerca spasmodica di quelle storie capaci di puntare (e colpire) al cuore. E quando da lettore appassionato, voltando l’ultima pagina della storia, piango per un romanzo in cui ritrovo morte e amore, dolore e vita (appunto il mistero dell’esistenza) per me la magia ha avuto luogo: nulla mi separerà mai più da quel meraviglioso libro, scovato tra le tante novità apparse sugli scaffali. Lo scrivo senza retorica: io non voglio più separarmi da questo romanzo, a dir poco travolgente ed emozionante per trama (ad alto tasso di coinvolgimento emotivo) e stile (di indiscutibile forza e valore). Provo a raccontarvi, in questa recensione, il motivo del mio profondo affezionamento alla vita del mitico Uvaspina, protagonista di una incredibile e avvincente storia ambientata a Napoli, storia che ho divorato, senza riuscire mai a interrompere la lettura, nel giro di pochi giorni.

Uvaspina, romanzo d’esordio della cilentana Monica Acito, è un libro che mette in campo – ad arte – una storia dotata di una maestria affabulatoria dalla forza dirompente. Con pagine sincere e vive, che ospitano una scrittura composta di parole che donano alla mente e al cuore del lettore, un piacere estatico. Monica Acito, nello scrivere questa storia, diventa così una abilissima direttrice d’orchestra, perché è capace di riportare su carta una partitura musicale composta di un’armonia che incanta per contenuto e stile, tono e forma. Uvaspina, soprannome del protagonista che dà anche il titolo al romanzo, è un ragazzo dolce e sensibile esposto alle intemperie di una famiglia composta da personaggi tanto invidiati (socialmente) quanto bizzarri (esistenzialmente). Tutti i familiari di Uvaspina sono portatori di conflitti antichi che danno forma a un cattivo vivere, perché diventano – nell’avvicendarsi della narrazione – creature umane artefici di eventi tragici ai fini della narrazione, eppure illuminanti per chi legge. Se vita deve essere, sembra suggerirci questa bellissima storia mentre mostra i personaggi che la popolano, che sia una vita colma di caos e amore: carne pulsante che si fa corpo, prima ferito e poi malato, nel presepe di una Napoli bella e s-perduta. Il padre del protagonista, il notaio Pasquale Riccio, aspira ad essere un uomo tutto d’un pezzo, eppure al suo fianco ha una donna (sua moglie, chiamata la Spaiata) capace di “morire” – in nome di una persa e non più vitale vanità estetica – ogni giorno, più volte al giorno. Nel suo tragico avanzare, la Spaiata, intralcia la sua vita e quella dei suoi familiari, rendendoli tutti vittime delle sue paturnie quotidiane. Come se non bastasse, a rendere ancora più complicata la vita di Uvaspina, (che vorrebbe sentirsi amato, pur non sapendo ancora che forma ha l’amore vero) c’è sua sorella Minuccia: ragazza intemperante fin dai primi passi di bambina, che cresce nel tempo (e si muove nello spazio) di quell’esistenza che non le riconosce la bellezza e la dignità da lei ricercata in quanto femmina desiderosa di piacere a un futuro sposo. Minuccia vive con la sola intenzione di attuare (in un moto perpetuo e travolgente, pari a quello del giocattolo chiamato strummolo) una serie di attacchi feroci al fratello, che ha come unica colpa quella di essere – nel suo solitario stare al mondo – un “femminiello”. Questa rievocazione di una figura mitologica della tradizione letteraria napoletana, (basta pensare alla fiaba antica e universale de La Gatta Cenerentola dell’immortale Giambattista Basile, riadattata magnificamente per il teatro, dal Maestro Roberto De Simone che ne ha fatto una favola in musica in tre atti) permette di scorgere tra le pagine di questo romanzo un gesto narrativo che si fa respiro narratologico traendo spunto dai classici di un tempo, pur restituendoci la pregnante essenza del vivere contemporaneo. Il rapporto tra i fratelli Minuccia e Uvaspina viene affrontato magistralmente, in quanto ha una sua efficacia svelata per mezzo di una scrittura che per profondità fa propria la lezione tematica di un riconosciuto maestro di narrazioni ambientate tra le mura domestiche, quale è Domenico Starnone. Tutte le dinamiche travolgenti di questa famiglia napoletana, in rovina esistenziale, hanno come perno centrale il rapporto perturbante tra fratello e sorella, un con-teso intreccio narrativo che fa pensare alla violenza emotiva e fisica dei due protagonisti (i fratelli Lucas e Klaus) del romanzo Trilogia di K della scrittrice Ágota Kristóf. Ovviamente, lungo tutto il libro, è possibile ritrovare spunti e suggestioni provenienti da tanti autori: svelarne solo alcuni è necessario per rendere l’idea della forza di questo libro, un testo ricco di omaggi ai più grandi narratori di tutti i tempi.

Tornando ai fatti narrati: ancora un personaggio, il pescatore Antonio dagli occhi affetti da eterocromia, concede alla musica orchestrata dalla talentuosa Monica Acito degli sbalzi narrativi che mettono fuoco alla narrazione di pagina in pagina: la sua figura alimenta il mito della bellezza e del caos, e lo fa in un modo che appare del tutto incidentale ai fini della storia, ma che porta con sé ragioni narrative degne di una metafora profonda riguardante il destino ultimo degli umani. Alla fine del romanzo, in un finale commovente, viene voglia di restare a vivere in compagnia di tutti i personaggi che prendono vita tra queste corpose pagine: mentre negli occhi restano impressi tanto gli oggetti magici, gli scongiuri e le jastemme quanto i personaggi drammatici in opposizione a quelli romantici. Perché Uvaspina è un romanzo che offre, a noi librai indipendenti e cercatori di nuove grandi storie da proporre ai lettori, uno dei più coraggiosi – e promettenti – esordi di questa stagione letteraria italiana. Parola di libraio.

Mario Schiavone

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# Monica Acito

Uvaspina

Bompiani Editore

20 euro

416 pagine

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