Romanzo atipico, misterico, questo Mandibula di Mónica Ojeda, che sfugge a qualsiasi catalogazione di genere. Impossibile codificare la sua natura. Nelle sue pagine vibrano sensibilità distorte, oscure, ma anche correnti estetiche punk-glamour, metropolitane e creepypasta. C’è anche qualcosa di enorme e atavico, una paura bianchissima e primordiale. Possiamo dire che Mandibula è la glaucofobia totale, in pieno parallelismo con il bianco claustrofobico di Cecità di Saramago.
Edito in Italia da Alessandro Polidoro Editore, per la traduzione di Massimiliano Bonatto, il romanzo ha un setting poco familiare al pubblico italiano.
Le vicende emergono dalle tenebre di Guayaquil, cittadina che ha dato i natali a Ojeda e ai piedi delle Ande. In un luogo perduto e abbandonato la professoressa di lettere Clara, dell’istituto Delta High School for Girls, rapisce Fernanda e la tiene prigioniera, legandola a una sedia.
Se però il romanzo si apre come un thriller di impronta femminile, una sorta di Stephen King latinoamericano, più si procede nella lettura, più ci si immerge in un substrato eretico e putrescente. Ojeda affronta gli abissi del mondo e l’ignoto del cosmo, porta tutti i suoi lettori con sé. Il viaggio è allucinante, allucinato, psichedelico e psicotico.
Miscelando elementi femministi, sociologici, amori e relazioni familiari disfunzionali a tropi ed estetiche del weird classico estrapolate da autori come Edgar Allan Poe, Lovecraft e Horacio Quiroga, Ojeda crea un genere tutto suo. Un contemporary-gothic andino. Ma è forse insufficiente stabilizzarsi su queste istanze: c’è un esperimento narrativo trascendentale e sovversivo.
Ojeda sembra allontanarsi dal folklore localistico e si avvicina al creepypasta del mondo virtuale/occidentale. Lo Slenderman ne è un esempio e il tutto confluisce in maniera evocativa, metafisica e perturbante nel grande culto del Dio Bianco.
Il culto dell’Età del Bianco, deriva dai grandi racconti dell’orrore cosmico e viene codificato da una delle amiche di Fernanda, ovvero Annelise.
Il romanzo diventa poi un inno carnale, sessuale e viscerale. Il corpo visto come strumento di emancipazione diventa anche metafora dell’orrore, dell’annichilimento dell’estetica del disgusto.
Eclatante e ben strutturato è anche l’antinatalismo tipico di filosofi come Cioran e Thomas Bernhard. La repulsione alla nascita, l’antivitalismo oscuro, sono un chiaro esempio di narrazione di anti-formazione, sovvertendo l’orientamento della scrittura creativa che prevede la crescita del protagonista.
I personaggi di Ojeda si rannicchiano in posizioni embrionali e profetiche, si condannano a una non esistenza bianca e abbacinante, l’oscurità è la luce bianca del vuoto e della non-genesi.
La storia di Ojeda è un cerimoniale impazzito in cui le donne sono vittime e carnifici, divinità e profetesse, eretiche e sante.
Cristiano Saccoccia
Recensione al libro Mandibula di Mónica Ojeda, trad. Massimiliano Bonatto, Alessandro Polidoro Editore 2021, pagg. 285, € 18,00