È uscito già da alcune settimane l’ultimo film del maestro dei disaster movies Roland Emmerich, siglando il primo megaflop dell’anno visto che il film è costato circa 140 milioni di dollari e ne ha incassati più o meno 60, collezionando critiche negative e storture di naso del pubblico in ogni stato in cui è uscito (quindi non in Russia) inclusa la quasi totalità degli appassionati del genere scifi.
La premessa del film, in effetti, non è delle più brillanti: la luna è uscita dai cardini, o meglio è andata fuori orbita e sembra dirigersi a spron battuto verso la Terra accrescendo così enormemente la sua forza di attrazione e provocando disastri multipli per via di un esagerato innalzarsi delle maree e uno sradicarsi delle terre e delle rocce attirate dalla sua massa.
Non male in effetti da un punto di vista spettacolare, ma la prima obiezione sorge spontanea: ma che stronzata… Cosa c’è di interessante, fuori dal farsesco, in un’idea così strampalata? Non è fantascienza sociale perché non è un punto di partenza adatto a criticare il presente anzi sembra totalmente out of the blue; non è fantascienza hard perché è troppo implausibile, non è una distopia. Sembra un’idea da film per bambini, e del resto anche George Lucas quando ha realizzato il primo “Guerre Stellari” voleva solo fare un film per bambini, anzi “un film per la domenica mattina”… quando tutti vanno al cinema solo per divertirsi, e perché c’è poco altro da fare a parte parcheggiare i figli che non sono all’asilo né a scuola. Quindi forse è tutto qui.
Emmerich dice di aver concepito l’idea alla base di “Moonfall” (di cui è regista, cosceneggiatore e produttore) dopo aver letto il libro “Who built the moon?” (Chi ha costruito la luna?) di Alan Butler e Christopher Knight, due cospirazionisti inoffensivi (ci sono anche loro) appassionati di Atlantide, piramidi, alieni e tutte quelle cose che piacciono molto agli ufologi e per niente a tutti gli altri, inclusi molti appassionati di scifi… cose da falliti, da gente fuori dalla realtà.
Il protagonista di “Moonfall”, il finto professore KC Houseman (interpretato da John Bradley, il Samwell Tarly de “Il trono di spade”) rientra di buon diritto in questa categoria: grasso, bruttino, sfigato, ansiotico al punto da girare sempre con le sue pilloline – che classifica in base al colore, giallo, verde e rosso (e dal rosso sembra sia meglio star lontani…), di lavoro, o meglio lavori, perché con un solo lavoro povero ormai in Occidente non si mangia: lava pavimenti e confeziona hamburger. Ma ha una seconda vita di fantasia dove è un “astronomo non convenzionale”… esperto in megastrutture, con un seguito via twitter tra altri cospirazionisti inoffensivi e sognatori, sfigati quanto lui.
Questo fino a quando la luna non va fuori dai cardini e lui è il primo a dirlo e ad avere una spiegazione scientificamente (im)plausibile per questo. Allora prende finalmente il posto che gli spetta alla… Nasa… a fianco dei coprotagonisti star, Halle Berry (la vicedirettrice della Nasa, Jocinda Fowler) e l’ex astronauta Brian Harper, interpretato da Patrick Wilson.
Hanno ragione “loro”! La luna è una megastruttura orbitale alimentata da una nana bianca catturata e l’allunaggio è il più grande insabbiamento della storia umana… e il governativo che lo rivela nel film è, ironicamente, la gola profonda di “JFK – Un caso ancora aperto”, il malinconicissimo Donald Sutherland.
Del resto cosa c’è ormai di plausibile nella realtà in cui viviamo? Era il 1967 quando P. K. Dick eliminava il confine tra reale e immaginato, ed era il 1915 quando Marc Bloch scriveva “La guerra e le false notizie”, catapultandosi immediatamente nel nostro tertius annus terribilis dal 2019, il 2022 in cui è ambientato anche “Moonfall”. Quindi davvero non sarebbe fantascienza sociale?
“Non avete capito? Avete a che fare con una megastruttura… le vostre regole non valgono più.”
Dopotutto non c’è nulla di più attuale della perdita di confini tra vero e falso, realtà e fantasia, sogno e incubo, guerra e pace…
L’operazione farsesca di Emmerich, che sperava di inaugurare una trilogia della luna, su cui stanno per sbarcare dopo 50 anni i primi astronauti non robot, grazie all’immenso progetto Artemis che porterà alla colonizzazione umana dell’immenso satellite terrestre di cui tuttora non conosciamo l’origine (quindi non sarebbe fantascienza hard?) come primo test per una vera e propria colonizzazione umana dello spazio (quindi non sarebbe una distopia…), mi sembra una romantica operazione un po’ vecchio stile di un amante della cause perse, e dei casi disperati, una rivincita degli ultimi… e soprattutto un omaggio al genere di cui il regista è così appassionato, tanto da sembrare più che un film di fantascienza, un film sulla fantascienza.
A chi mi ha posto l’obiezione che questo film in primis non può inaugurare un filone (come avevano fatto per esempio “Independence Day” o magari un suo gemellino ideale come “Pacific Rim” di Guillermo Del Toro), e in secundis non sviluppa delle prerogative interessanti di fantarealtà, ho provato infatti a opporre la visione che “Moonfall” sia un film di meta-fantascienza, non di ma sulla fantascienza… che cerca di mettere insieme, con una meticolosità da orologiaio ottocentesco (del resto la bellissima megastruttura lunare ricorda gli ingranaggi perfetti della “Macchina del tempo” di H. G. Wells), tutti quelli che sono i codici idiosincratici di chi ama la fantascienza, come gruppo sociale… i nerd, gli sfigati, gli ufologi, i malati di programmi televisivi scientifici come quelli di Focus e le mega-costruzioni, i complottisti… un film insomma, che soprattutto omaggia un certo tipo di immaginazione, e un certo tipo di persone, così che forse non è veramente importante analizzarlo con le chiavi con cui siamo abituati ad analizzare le storie di fantascienza sociale… Mi è sembrato più un pout pourri, un castello di carte che affastella uno sull’altro tutti gli elementi che elettrizzano chi è appassionato della fantascienza anche più innocua e spensierata, quella dei viaggi spaziali anni ‘50 e di Jules Verne, quella che spera(va) che il progresso scientifico avrebbe portato benessere per tutti e che l’allunaggio del 1969 fosse la più grande conquista scientifica della storia: un film per chi si esalta davanti alle sequenze di volo ricalcate dal primo “Guerre Stellari”, per i nomignoli ridicoli come il gatto Fuzz Aldrin, per le autocitazioni, come la divertentissima sequenza che motteggia il Welcome Wagon di “Independence Day”, e che trova il modo e il pretesto di mostrare le immagini più evocative possibili (come è tipico di Emmerich): dello spazio, degli shuttle, delle catastrofi, della luna… proprio per parlare un po’ a un noi ideale e trascorrere delle ore trasognate.
Solo che quando è uno come Emmerich a essere trasognato, cioè è trasognato un paranoico professionista molto preparato… scavando un attimo ci si trova subito, sotto la farsa, sul the dark side of the moon, e si disvela giocoforza un’altra profondità.
Il regista ora si trova in una posizione difficile: progettava che “Moonfall” diventasse una trilogia come “Guerre Stellari” e si aspettava che la Disney (dopo aver comprato – anche – la 20th Century Fox) gli producesse il terzo “Independence Day”, che aveva già avuto un secondo capitolo non proprio esaltante – e ora viene seguito da questo deciso capitombolo di botteghino… cosa succederà?
Bè, speriamo che Roland non demorda (non che io lo creda possibile) perché il mondo ha bisogno di immaginazioni libere e sconfinate come la sua.
Voto: il massimo
Silvia Lumaca