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Morena Pedriali Errani. Prima che chiudiate gli occhi

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Ci sono trame in narrativa che restano intrecciate all’ordito della storia, la nostra Storia, quella appunto con la “S” maiuscola, le stessa lettera che curiosamente ritorna anche in altre parole legate a questo contesto. Penso a termini come sopruso, sopraffazione, “sommerse”. Eccole dunque, le storie che restano sotto, schiacciate dalle pieghe degli eventi e dal peso dei soliti martiri.

Occorre dunque un atto di coraggio per riportarle in luce, una presa di posizione necessaria, che batta i piedi al ritmo di una danza instancabile affinché gli occhi delle nuove generazioni possano restare finalmente aperti, consapevoli di ciò che è stato e che non può essere dimenticato.

Morena Pedriali Errani, artista circense di famiglia sinta, da anni attivista per le minoranze romanì, con la sua opera d’esordio rende tributo ad una delle sue figure familiari a cui è più legata: Fiammetta Pedriali, nel romanzo Jezebel (successivamente ribattezzata “Fiamma”), bambina sinta nata durante il ventennio e cresciuta negli anni oscuri delle leggi razziali che hanno permesso l’apertura dei campi fascisti italiani per internati rom e sinti.

«Agli ultimi non viene concessa la grazia dell’oblio. Chiedo aiuto al vento. non basta morire: devo raccontare, prima che la morte venga a prendersi tutto, prima che il plotone esegua l’ordine, prima che voi chiudiate gli occhi. E li chiuderete, vi prometto che li chiuderete.»

Nelle prime pagine del romanzo Jezebel si rivolge direttamente a noi, la sua ultima riflessione prima della condanna è il monito di una partigiana fiera, che fino all’ultimo ha lottato per il suo popolo e che non ha esitato un secondo ad unirsi alla Resistenza pur di difendere la sua famiglia.

Sono pagine intrise di uno struggimento autentico quelle che l’autrice, al suo esordio, con un atto di profonda fiducia, ripone nelle mani del lettore e palpabile è la volontà di consegnarci una storia romanzata, certo, ma che attinge dalle tradizioni più intime della memoria di un popolo e una cultura spesso travisata o lasciata ingiustamente in disparte.

«Una volta le nostre carovane erano tante e avevano tutti pannelli di legno dipinto con foglie d’oro e vernice rossa. Una volta non c’era solo la mia gonna piccola a balze. Una volta ce n’erano tantissime, e tutte si muovevano nel vento. Avevano fiori stampati alle estremità, avevano colori che tagliavano la gola a metà quando il tramonto ci batteva sopra. Erano leggere ed erano veloci. Sembravano seta ai piedi di principesse scalze e io, bambina, le guardavo incantata muoversi impazzite intorno al fuoco della notte, ci disegnavo addosso il volo delle rondini e ogni nome di ragazza mi suonava all’orecchio come la canzone più bella.»

L’impressione, sfogliando il romanzo della Pedriali, è di essere invitati a prender parte di una danza collettiva ricca di suggestioni materiche, colori, profumi che si muovono leggiadri tra ricordi tangibili, concreti e l’impalpabilità onirica di una premonizione: una scelta stilistica estremamente consapevole che amplia l’anima documentaristica della vicenda.

Piacevole e accogliente è il senso di profonda comunità che si avverte nel muoversi tra i ricordi in prima persona di Fiamma, da quel 1936, con la famiglia raccolta alle kampine, balli intorno al fuoco e le alegrìas che il babo cantava la sera, con le zie che aprivano le loro tende alle paesane curiose di scoprire il proprio fato, “re e regine mendicanti e viandanti”, la kumpania unita da un’umanità cangiante, con il suo circo delle meraviglie custode di memorie preziose.

Alla lucentezza di certi scenari si frappone un vento gelido che soffia prima della disfatta imminente. Legame ideologico, tra passato e presente, di una narrazione circolare in cui i ricordi e la vicenda principale della protagonista si alternano a racconti di miti e storie leggendarie della mitologia sinta. Affreschi, questi ultimi, di una bellezza esotica e ancestrale, trainati da una prosa espressionista la cui sinuosa musicalità si fa scudo/rifugio dalle brutture del regime e le ingiustizie inflitte dai gagé.

«I nostri canti non sono mai canti felici, anche le note più allegre hanno gli occhi che piangono. non si possono cantare perché sono nati in prigione, nella prigione degli altri. Ogni sinto lo sa che è proprio dopo la danza, proprio dopo che le vene ti sono esplose sopra le ginocchia, che ti ricade addosso la vita di tutti i giorni, la vita che non può cambiare e che fa scorrere il tempo come grani su un rosario. La vita che non è mai facile per quelli come noi, quando finisce la musica. Ogni sinto lo sa.»

Morena Pedriali Errani sceglie la strada della denuncia senza spogliarsi della poetica. La sua è una penna che si muove cosciente tra schiaffi e carezze, prediligendo frasi brevi, a tratti brevissime e simbolismi che adornano i cieli plumbei del conflitto di spiragli opalescenti, sotto l’incessante fluire di un destino su cui troppo spesso si è taciuto e di cui troppo ancora ci è ignoto.

C’è quindi un bisogno fisiologico di storie come questa. Voci che abbagliano come zaffiri o turchesi frastagliati, inneggiando la loro canzone essenziale nel timbro più acuto, intenso e fiero.

L’augurio, sincero e doveroso, a questa giovane, promettente autrice è che la carovana della sua propaganda possa dunque procedere spedita nel suo viaggio e la luce di quella minuscola fiaccola stretta tra le mani non sia più destinata a svanire “nel tempo di uno sparo”.

Stefano Bonazzi

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Prima che chiudiate gli occhi

Morena Pedriali Errani

Giulio Perrone Editore

18,00 euro — 260 pagine

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