Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Muriel Barbery anteprima. Un’ora di fervore

Home / Anteprime / Muriel Barbery anteprima. Un’ora di fervore

Dopo il successo del best-seller internazionale L’eleganza del riccio, la nota scrittrice francese Muriel Barbery ritorna dal 20 settembre in libreria con Un’ora di fervore (Edizioni E/O 2023, pag. 208, € 18,00, con traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca).

È la storia della promessa di un uomo di mantenere un segreto che gli impedirà di diventare padre.

Una sera, a una festa di artisti e intellettuali a Kyoto, il mercante d’arte giapponese Haru incontra una donna che lo conquista.

Maud, una francese dallo sguardo freddo di passaggio in Giappone a sua volta è attratta da Haru: “La donna sta parlando con Tomoo, osserva l’albero, gira su sé stessa e scopre il viso di Haru. E di colpo, senza preavviso, come talvolta cala la nebbia, è finita la leggerezza”.

Dopo dieci intense notti trascorse insieme, Maud fugge senza dire una parola. Quando Haru scopre che porta in grembo suo figlio vuole trovarla, riesce a ottenere l’indirizzo di Maud e le scrive.

Lei risponde minacciandolo: ” Il figlio è tuo. Se cerchi di vedermi o di vederlo mi uccido. Scusami.” Allora lui promette di non provarci: “sua figlia era nata e lui non l’avrebbe conosciuta, era venuta dal firmamento e destinava lui alla solitudine”.

Haru è una personalità nobile e profonda ma un amico lo ammonisce sulla complessità della consapevolezza: “Un uomo che crede di conoscersi è pericoloso”.

In superficie, la sua vita rimane la stessa, e Haru si consolerà con un gran numero di amici, amanti e serate mondane. In realtà nel profondo è devastato dalla prospettiva di non poter incontrare la figlia, che vedrà crescere grazie alle fotografie e ai rapporti di un investigatore privato ingaggiato.

È un libro di privazioni e sentimenti soffocati. È un libro di un dolore strabiliante che lascia un vuoto di inconsolabile rimpianto per tutto quel che avrebbe potuto essere e non è stato.

Tutto ciò che non è stato fervido si cancella, la miseria e la grazia sono ugualmente infinite” sussurra una volpe. E lascia uno spiraglio di luce: “Ogni uomo cammina verso il momento della propria nascita, moriamo alla solitudine e rinasciamo alla luce, e nell’intervallo tra quella fine e quell’illuminazione compiamo il vero e proprio viaggio”.

Carlo Tortarolo

#

Giunta la sua ora, Haru Ueno guardava un fiore e pensava: Tutto è appeso a un fiore. In realtà la sua vita era stata appesa a tre fili e solo l’ultimo era un fiore. Davanti a lui si estendeva un piccolo giardino di tempio con la vocazione del paesaggio in miniatura disseminato di simboli. Era incantato che secoli di ricerca spirituale avessero portato a quella disposizione precisa. Tutti quegli sforzi tesi verso un significato, pensava anche, e alla fine una pura forma.

Haru Ueno era infatti di quelli che cercano la forma.

Sapeva che sarebbe morto presto e pensava: Finalmente sono in armonia con le cose. In lontananza il gong del Hōnenin risuonò quattro volte e l’intensità della propria presenza al mondo gli dette le vertigini. Di fronte a lui c’era il giardino chiuso da muri imbiancati a calce, sormontati da tegole grigie, e nel giardino tre pietre, un pino, una distesa di sabbia, una lanterna e muschio. Al di là, le montagne dell’Est. Il tempio si chiamava Shinnyo-dō. Per quasi cinquant’anni ogni settimana Haru Ueno aveva percorso lo stesso giro. Andava al tempio principale sulla collina, attraversava il cimitero in basso e tornava all’entrata del complesso di cui era un importante donatore.

Haru Ueno era infatti molto ricco.

Era cresciuto osservando la neve che cadeva e si scioglieva sulle pietre di un torrente di montagna. Su una riva sorgeva la piccola casa di famiglia, sull’altra una foresta di alti pini nel ghiaccio. A lungo aveva creduto di amare la materia: la roccia, l’acqua, le fronde, il legno. Quando aveva capito che gli piacevano le forme assunte da quella materia era diventato mercante d’arte.

L’arte era uno dei tre fili della sua vita.

Certo, non era diventato mercante in un giorno, aveva dovuto prima cambiare città e incontrare un uomo. A vent’anni aveva voltato le spalle alle montagne e al commercio di sakè del padre e aveva lasciato Takayama per andare a Kyōto. Non aveva soldi né contatti, ma possedeva una ricchezza poco comune: pur non conoscendo niente del mondo, sapeva chi era. In quel maggio, seduto sul pavimento di legno, aveva intravisto il futuro con una chiarezza vicina alla lucidità del sakè. Tutto intorno a lui si udiva il fruscio del complesso di templi zen in cui un cugino monaco gli aveva trovato una stanza. L’incontro fra la potenza della sua visione e l’immensità del tempo gli aveva dato le vertigini. La visione non diceva né dove né quando né come, diceva: Una vita dedicata all’arte. Diceva pure: Ci riuscirò. La camera affacciava su un minuscolo giardino ombroso al di là del quale il sole dorava le cime degli alti bambù grigi. Tra le hosta e le felci nane crescevano iris d’acqua uno dei quali, più alto e gracile degli altri, oscillava alla brezza. Una campana aveva suonato da qualche parte. Il tempo si era diluito e Haru Ueno era stato quel fiore. Poi la sensazione era passata.

A cinquant’anni di distanza, Haru Ueno stava guardando lo stesso fiore e si stupiva che fossero di nuovo le quattro del pomeriggio di un 20 maggio. C’era però una differenza: stavolta lo guardava in se stesso. E c’era una cosa simile: tutto ‒ l’iris, la campana, il giardino ‒ si svolgeva nel presente. Infine, una cosa notevole: in quel presente totale si dissolveva il dolore. Sentì un rumore alle sue spalle e sperò che nessuno venisse a turbare la sua solitudine. Pensò a Keisuke, che da qualche parte aspettava che lui morisse, e pensò: Una vita si riduce a tre nomi.

Haru, quello che non voleva morire. Keisuke, quello che non poteva. Rosa, quella che avrebbe vissuto.

Click to listen highlighted text!