Avevo adocchiato questo romanzo dal giorno della sua uscita, poi gli impegni, le scadenze, il lavoro… continuavo a giustificarmi con le stesse motivazioni che spingono Chiara, la protagonista del libro, a rimandare il suo articolo per philos_contemporanea, la rivista per cui tanto vorrebbe essere pubblicata. Come lei, continuavo a ripetermi che c’era tempo, che prima o poi l’avrei letto, che c’erano cose più importanti da sbrigare e intanto quello stesso tempo scorreva tra giornate divorate nella frenesia delle incombenze. Proprio come Chiara, che ogni giorno attraversa le strade-piaghe della capitale in sella a una bici malmessa per consegnare ogni genere di cibo a ogni genere di cliente. Perché lei è una rondine, questo il nome dei corrieri che macinano chilometri di asfalto, timer alla mano, come in un macabro videogioco, per tener testa agli incarichi che ogni giorno gli vengono inviati dall’App di Envoyé. E così Chiara si trova a rispondere puntualmente a Mario, una voce padrone che non ha volto ma che continua a incalzarla perché ci sono nuove consegne che attendono solo di essere completate. Mario lo fa per lei, anzi, per il suo punteggio, perché Chiara è una rondine alle prime armi con uno score iniziale di 90 ma se si impegna, se tiene fede agli impegni, Chiara può farsi strada e salire di livello, guadagnare bonus e acquisire privilegi in quel magico universo lavorativo che odora di progresso, apertura e libertà. Si tratta solo di spiegare le ali, prendere la bici e accettare l’incarico. Non ci sono vincoli né obblighi morali, si può lavorare quanto e quando si ha voglia, basta rispondere al messaggio di Mario e accettare l’incarico, basta una bici e due gambe robuste, è il lavoro dei sogni, chiunque vorrebbe essere una rondine e Chiara deve sentirsi privilegiata ad esser riuscita a entrare a far parte di quella famiglia. Le consegne quindi si susseguono, diventano mini storie indipendenti e scandiscono il ritmo di una narrazione fresca, incalzante, frutto di una mente giovane ma che ha già le idee ben chiare dei temi che vuole affrontare.
Sono fame è un bisturi che incide e espone al lettore le viscere di una situazione lavorativa ed esistenziale contemporanea che sconvolge e inorridisce. La capitale (nel romanzo mai chiamata per nome), è un organo che ingloba e fagocita, una città che ha sempre fame di risorse, carne giovane, sostituibile. Il continuo peregrinare di Chiara da un appartamento all’altro mette in scena una sequenza di scenari in cui le persone si appaiono spolpate e stordite da un’entità maggiore: i clienti di Chiara sono comparse freak dai tratti lynchiani che si muovono nei loro appartamenti-loculi senza un’apparente direzione, come se le loro esistenze fossero dettate da quel semplice impulso, una fame continua, un desiderio incessante di assorbire energie e risorse allo stesso modo di quella cattedrale insaziabile che li ha accolti e che lentamente li sta privando della propria linfa vitale. Eppure Chiara non vuole essere solo questo. Lei che proviene da studi umanistici e che nella sua stanzetta angusta ha spazio solo per un paio di saggi sul capitalismo e la psicopolitica sa bene che questa è solo una fase di passaggio, un sacrificio temporaneo, perché Chiara può ambire ad altro, Chiara deve ambire ad altro. Se la città in cui è nata l’ha delusa, se la madre da cui è fuggita ora è solo una voce dall’altro capo del telefono che la implora di tornare a prendersi cura di una sorella problematica, se i suoi coinquilini sono solo fantasmi che si arrovellano e fanno carte false per contendersi un letto dove dormire e i professori la vedono come un corpo da legare e contenere, se il mondo intero sembra far di tutto per toglierle di qualsiasi speranza, Chiara deve stringere i denti, guardarsi dentro, non solo nell’anima, incidere le carni, esporre il derma, stracciare i muscoli, spolpare le ossa, togliere ogni strato superficiale per arrivare al fulcro generatore di ogni cosa.
Sono fame è un romanzo manifesto di una generazione. È la visione lucida, necessaria e impietosa di un’autrice che, attraverso un meccanismo narrativo fresco, ipnotico e una prosa ricca di originali espedienti narrativi (l’uso di una terza persona osservante durante le consegne l’ho trovato geniale), riesce a mettere in luce uno scenario contemporaneo le cui fondamenta sono labili quanto uno scambio di SMS. Quello che ci mostra Natalia Guerrieri è un contesto lavorativo ed esistenziale che ogni giorno fagocita le energie e le speranze dei giovani, promettendo una crescita formativa illusoria e impalpabile che rivela tutti i suoi limiti al primo cedimento delle sue risorse primarie: le nostre esistenze.
Un romanzo che ferisce per la caustica consapevolezza di cui è intriso ogni capitolo ma che al tempo stesso può aprire gli occhi a un’intera generazione.
Stefano Bonazzi
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Sono fame
Natalia Guerrieri
Pidgin edizioni
15 euro
247 pagine