Dal 29 Marzo sarà in libreria L’Antimondo di Nathan Devers, Edizioni E/O 2023, pp. 272, € 18,00, con traduzione dal francese di Giuseppe Giovanni Allegri.
Nathan Devers ha 25 anni. Laureato all’École Normale Superiéure, è professore associato di filosofia, ha pubblicato Généalogie de la religion (Le Cerf, 2019), Ciel et terre (Flammarion, 2020, Prix Edmée de La Rochefoucauld) et Espace fumeur (Grasset, 2021).
Con L’Antimondo, titolo originale Les liens artificiels ha firmato il suo secondo romanzo, vincitore del Premio Goncourt 2023.
Il libro racconta di Adrien Sterner che, ossessionato dalla Bibbia, è il fondatore di L’Antimondo, un metaverso che replica la Terra e offre agli utenti la possibilità di vivere una vita più intensa tramite un avatar.
Julien Liberat, un insegnante di pianoforte che ha perso il rapporto con la realtà in seguito a problemi di salute, viene attratto dall’Antimondo e lì trova una nuova realizzazione.
“Insieme e separati” è la formula che rappresenta il pensiero di Julien sul nuovo mondo: la tecnologia sembra unire le persone, ma in realtà le divide.
Il libro racconta la spirale di chi si perde tra il virtuale e il reale, e l’Anti-Mondo rappresenta per Julien una seconda possibilità per diventare ciò che avrebbe sempre sognato di essere: un poeta, un eroe, un uomo importante.
Le fantasie religiose di Sterner sulla costruzione di un nuovo mondo si intrecciano con le avventure di Vangel, l’avatar di Julien, che presto raggiunge gli onori e la fama.
Il libro è un nuovo capolavoro, coinvolgente e dinamico che racconta la costruzione di una società utopica che si muove, oltre il reale, nel Metaverso.
Una società dove i rischi non sono meno delle molto attrattive opportunità.
Questo è l’Antimondo.
Carlo Tortarolo
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Il 7 novembre 2022 un nuovo account, dal nome “Julien Libérat bis”, fece la sua comparsa su Facebook. Come ci si poteva aspettare, l’evento suscitò l’indifferenza più totale. Ma Julien Libérat non perse tempo. Come primo post diffuse uno screenshot: un riquadro nero nel quale figurava un testo. Frasi sobrie e lettere in violetto. Domani, si leggeva, si sarebbe filmato in diretta per mettere in atto un “gesto simbolico”. Siccome dubitava che quelle righe ispirassero un qualunque interesse, aggiunse che chi avesse assistito a quel momento “se ne sarebbe ricordato per tutta la vita”. Fu poi necessario inviare il link agli amici dopodiché, quando ebbe esaurito la sua lista di conoscenze, ad altri profili selezionati a caso. Senza contare che un’opzione a pagamento gli avrebbe permesso di aumentare rapidamente la visibilità della sua pagina, ed essendo quella la sua unica urgenza, Julien spese dunque a tal fine il resto dei suoi risparmi.
Il passaparola e la promozione funzionarono. Verso mezzanotte l’annuncio aveva già ricevuto centinaia di like. Chissà se l’avrebbero preso sul serio? La questione non si poneva. Certo, ci furono una valanga di commenti derisori che, a decine, ridicolizzavano con crudeltà il tono compassato, finto misterioso, della sua dichiarazione – ma quale migliore pubblicità se non quella? Coloro che lo schernivano si affollavano come mosche sulla sua pagina Facebook. Senza volerlo puntavano un faro su di lui. Dopo tutto, quel genere d’ironia astiosa era un modo come un altro per mascherare un non so che di curiosità, di voyeurismo, d’incertezza: e se questo sconosciuto stesse davvero covando qualcosa? Se si stesse apprestando a fare qualcosa di sensazionale? Un leggero sentore di curiosità cominciava a dilagare. Se la gente rideva, era perché non vedeva l’ora di scoprirlo. La situazione, insomma, stava evolvendo esattamente come Julien l’aveva immaginata. Tutto era pronto, l’ingranaggio si sarebbe messo in moto senza l’aiuto di nessuno. Sarebbe bastato rimanere in silenzio e attivare la modalità aereo fino al momento previsto. Forte di tale risoluzione, spense il telefono e andò a letto.
Il video iniziò con qualche minuto di ritardo. Pessima inquadratura. Si videro dapprima le narici di Julien, due piccoli crateri in cui si moltiplicavano dei peli solitari, poi la fronte pixellata, un orecchio non ben definito, alcune ciocche scarmigliate di capelli, un angolo del mento. Il telefono si muoveva troppo in fretta, l’immagine non era nitida. Alla fine riuscì a stabilizzare l’obiettivo prendendosi del tempo per trovare l’inquadratura migliore. A quel punto Julien comparve con il busto per intero. Immobile, squadrava l’obiettivo, conferendo al video l’effetto di una fotografia. Su Facebook, i commenti si susseguivano nella parte bassa dello schermo. A modo loro, gli hater descrivevano la sua fisionomia: «xké nn si muove sto qua? sembra una statua fa paura!», «ne ho viste di facce acculo ma la tua è da teletubby tutto scassato, LOL!». Gli internauti non si sbagliavano. La sua faccia era strana, quasi indecifrabile. Sembrava un cadavre exquis, una figura fabbricata a più mani, negligenti e crudeli. Mani che scontrandosi tra loro, con l’intento di dar vita a un uomo diverso, avessero litigato all’infinito per disegnare Julien, ognuna ritornando sullo schizzo delle mani rivali, riprendendo ogni cosa da zero fino a generare, nell’insieme, una sovrimpressione mostruosa. La faccia di Julien non era brutta: era impossibile. Si sovrapponevano un volto idealizzato e una faccia da disperato. Un volto contro una faccia, una faccia contro un volto, che sembravano ricalcati uno sull’altra con lo scopo di dichiararsi, invano e a vicenda, una guerra di logoramento. Rimase immobile per diversi lunghi istanti. In silenzio, sfidava l’obiettivo e raccontava la propria vita con gli occhi. Sembrava volesse far emergere la faccia, spogliare al tempo stesso il proprio volto, e farli riconciliare una volta per tutte. Il pubblico si spazientiva: «beh, allora, sto scoop?!», «che vuol fare sto stronzo?», «ehi gente, pensate un po’ se questo qua si suicida eh eh», «tipi come quello lì si vede che c’hanno lo sguardo radioattivo e il cervello pieno di merda». Alcuni iniziavano anche a disconnettersi: «c’è ne a pacchi di merdosi come te che si vendono per un clic su fb con annunci finti, vi saluto sfigati! ».
Da parte di Julien, tutto proseguì in un’atmosfera di calma, sembrava quasi sotto sedazione. Salì lentamente su un tavolo, aprì la finestra e montò sul davanzale. Gli internauti erano divisi. «Merda, qui vanno chiamati i soccorsi, subito!!», «non farlo ti prego» gridavano gli uni, mentre altri esultavano: «il teletubby si crede un piccione», «makekazzo di roba è, sto tizio è sballato di brutto», «eddai piccioncino bello, e facci vedere ke sai volare!».
Fuori pioveva, e Julien non provava alcuna vertigine. Dal cielo lattiginoso, una luce grigia, pesante, si scaricava dabbasso. Gli scrosci erano violenti. Creavano linee verticali che collegavano le nubi al suolo, come arpioni tesi in pieno giorno e agganciati al vuoto. Era difficile immaginare che l’acqua scorresse percorrendo quelle linee. Davanti a lui, il viale era piuttosto ampio, le macchine circolavano tra agli ippocastani. Julien afferrò il telefono. Sgranati, i suoi occhi rivelavano una pace inviolabile e profonda. Non restava che ritrovare l’unità. La pioggia si intensificò e lui cadde con essa. In quel preciso momento Julien non si suicidava; era una goccia d’acqua che scendeva tra le altre.