Più passano gli anni più mi torna alla mente L’ultima domanda (The Last Question), un racconto di fantascienza del grande scrittore Isaac Asimov.
La storia narra dell’evoluzione di un computer chiamato MultivAC e del suo rapporto con gli uomini; un processo spiegato attraverso sette diverse ambientazioni storico-temporali. La prima si svolge nell’anno 2061. In ognuna delle prime sei dimensioni letterarie un personaggio pone al computer una domanda, cioè come si possa affrontare la minaccia della scomparsa dell’umanità a causa della morte termica dell’universo, ciò sintetizzabile nel seguente quesito: “Può la Seconda Legge della Termodinamica essere invertita?”
Ogni volta il computer si trova nell’impossibilità di dire, affermando di: “…non avere dati sufficienti per una risposta significativa.”
Nelle ultime scene, i discendenti dell’umanità, esseri divenuti quasi divini, osservando l’universo mentre sta per raggiungere lo stato di morte termica, fanno ad AC Cosmico (discendente di MultivAC) la domanda per l’ultima volta. Il computer è ancora incapace di rispondere, ma, anche dopo la fine termica dell’universo, continua a cercare di giungere a una soluzione. Finalmente, arrivato al rimedio, non ha più nessuno a cui poterlo rendere noto, essendo sparito ogni essere vivente dal pianeta e dall’intero cosmo. Decide, allora, di attuare ciò che ha scoperto e di invertire il processo entropico in atto, creando un nuovo universo.
Il racconto si conclude con la frase di AC: “SIA LA LUCE!”, e luce fu.
Oggi ci troviamo, quali esseri umani, in un momento oltremodo delicato, in una realtà perennemente sospesa tra Vita e Morte, infatti, attorno a noi, si parla (sempre più spesso) di “disgregazione” sociale e della fine di un vecchio Sistema diventato incoerente che non riesce a integrare e a mettere a profitto le miriadi di nuove informazioni da cui possiamo attingere.
Gli eventi più recenti, seppure catastrofici (aumento della temperatura terrestre, milioni di persone in preda a carestie, malattie, guerre, migrazioni, poi a una globalizzazione forzata perché rivolta unicamente a fini economici, quindi a lotte finanziarie sconcertanti, e alla perdita di valori spirituali forti etc.), pare ancora non ci sollecitino, almeno per chi ha conservato un briciolo di cervello e di amore per l’esistenza e per il prossimo, a fare scelte consapevoli verso la Vita. Ma per seguire il flusso della Vita necessita mutare, in primo luogo, la relazione che abbiamo con noi stessi, quindi con gli altri e, perciò, col Pianeta medesimo. A questo punto è fondamentale puntare sulle qualità più elevate che esistono nell’essere umano (le Eccellenze), che, però, stentiamo ancora a individuare, a riconoscere, infatti siamo troppo occupati a polemizzare, ad accusarci l’un l’altro, a criticare, a sottolineare solo quello che non va, senza rimboccarci le maniche così da iniziare a fare per sovvertire una tendenza che, se portata all’estremo, ci condurrà alla catastrofe. Proprio per questo stiamo parlando unicamente della Morte, non tanto del poter perdurare. Del resto, in molti, non credono che sia rimasto un qualcosa di buono nell’uomo e che, lo stesso, non sia più capace di grandi pensieri e di somme azioni.
In Occidente il crollo delle istituzioni, le grandi divisioni nella Comunità Europea, il continuato imperialismo guerrafondaio USA, il declino della Chiesa Cattolica, la folle rincorsa a una vana crescita economica, pari alla proliferazione di cellule tumorali, non sono altro che i sintomi della dissoluzione di un mondo ormai troppo stretto e chiuso per contenere una coscienza collettiva risvegliata.
È venuto il momento di volgere la nostra attenzione verso “il nuovo mondo” che vogliamo creare, e tutto deve avere inizio da una richiamata visione propositiva, quindi da un progetto forte.
“Dove non c’è visione un popolo muore” è scritto nei Proverbi biblici e, per quanto non sarà possibile vederla concretizzarsi subito, almeno su scala planetaria, abbiamo il compito di crearne e nutrirne la matrice nei nostri pensieri e desideri, nelle nostre micro culture, micro geografie, perciò nel nostro quotidiano.
Ebbene sì, ci troviamo, tutti, nella perigliosa fase di transizione tra un vecchio mondo che muore e dove regnano caos, disordine e disgregazione, e uno nuovo che avvertiamo, ma che ancora non si è delineato con chiarezza (a parte il riconoscerci immersi in una folle Rivoluzione Tecnologica).
Come tutti gli esseri viventi, siamo circuiti aperti che scambiano energia fra loro, informazioni e materia con l’ambiente. Le informazioni ci giungono ormai da ovunque, tramite nuovi canali, impensabili fino a pochi anni fa, e tutta questa conoscenza innegabilmente modifica la coscienza collettiva. Quando si apre la coscienza sappiamo, anche, che si può incorrere in una fase sgradevole. Infatti l’assimilazione di nuovi dati può creare squilibrio e incoerenza in un sistema stabile (o che lo si reputa come tale). A questo punto possono presentarsi due opzioni: tale incoerenza crea dissipazione di energia e quindi Morte, quindi entropia, ma può anche indurre un cambiamento verso un nuovo sistema più ricco di significati e più evoluto, tramite un processo contrario affidato alla neghentropia, termine utilizzato, appunto, per indicare la negazione di una annichilente dimensione entropica in divenire.
Tra i primi è stato lo scienziato Schrödinger a usare tale definizione per identificare le notevoli capacità ancora presenti nei sistemi viventi, e non solo per evitare gli effetti della produzione caotica di entropia – come dettato dalla Seconda Legge della Termodinamica -, ma per fare esattamente l’opposto, cioè per strutturare quell’organizzazione intellettuale e amorosa che, per ora teoricamente, può contrapporsi a una inesorabile perdita di equilibrio sociale e ambientale. E ciò è sostenuto anche da Szent-Györgi che parla di “energia libera” e di programmazione mirata al fine di sconfiggere la Morte. E questo è gigantesco. Entrambi gli scienziati hanno avuto l’intuizione giusta: l’energia e l’organizzazione della stessa sono inestricabilmente legate tra loro, e l’Arte, a questo punto, non può che diventare oltre che ulteriore collante per le stesse anche veicolo di richiamo organizzativo-culturale al fine di continuare a persistere su questa linea di pensiero.