Giambattista Vico parlerebbe forse di corsi e ricorsi storici. Sta di fatto che c’è una specie di mal francioso intellettuale che torna e si ripresenta con una ciclicità quasi perfetta, e il cui sintomo più evidente pare rappresentato da un nichilismo gioiosamente snob e festaiolo. Quarant’anni fa furono lo strutturalismo e il nouveau roman, grandi intuizioni intellettuali che provocarono però, in larga parte perché male interpretate, ingenti danni in campo filosofico e letterario; trent’anni fa furono invece le teorie di Deleuze e Guattari – anch’esse in larga parte mal recepite – secondo le quali la vita umana non era altro che una lieve e inconsistente patina che ricopriva il nulla e il vuoto, con il grottesco risultato di un anonimo e indifferenziato “liberi tutti” morale e intellettuale; poi, negli anni Ottanta dei lustrini e del disimpegno, fu la volta dei nouveaux philosophes e dei teorici della cosiddetta gauche-caviar.
(Mattia Mantovani – La Provincia di Como, Lecco, Sondrio e Varese – Pag. 52 – 17/1/2012)