Nella città più fredda è il nuovo libro di Elisa Davoglio per la collana “Amuleto” della casa editrice Tic. Il libro è strutturato in sette sezioni che, tranne la seconda, Appunti sullo storming, prendono il nome dall’anagramma di Tkuskya e, almeno stando all’indice, segue un andamento circolare. Ambiente onirico retto da un impianto sperimentale.
Se la seconda, brevissima sezione, l’unica non preceduta da un esergo su quelle che sono le caratteristiche di una guida turistica, denota gli effetti del freddo sul corpo umano e sulla psiche, la quarta Kauktys, mostra gli appunti per una storia d’amore nella città, appunto, più fredda. Ironica guida alla scrittura di un racconto d’amore e messa in scena della vanità stessa dello scrivere tutto. La dimensione cosmi-comica e quella tragi-corporale si lascia contenere in un’atmosfera surreale. Un andamento stratigrafico del desiderio che curiosa tra le pieghe scientifiche dell’imminente glaciazione ma senza occuparsi della retorica antropocenica. C’è molta luce e molto calore, nonostante tutto, in questa fredda città della nuova scrittura. La superficie del corpo e il simbolo del linguaggio si alternano nella realizzazione di un reale immaginario.
Gianluca Garrapa
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«Partiamo subito con l’inizio della scrittura. Prima di cominciare in tale scrittura, è assai utile leggere altri romanzi o racconti che parlano di una storia d’amore, in luoghi semplici, facili, caldi.» Da Kauktys, Appunti per una storia d’amore nella città più fredda (Artyk e Markha): che rapporti ha questa scrittura con la tua produzione in poesia? e come nasce Nella città più fredda. Quali sono stati i tuoi riferimenti letterari?
Più che riferimenti letterari, sono stati dettati da un immaginario surreale in gran parte derivante da un regista, Luis Buñuel. Ho pensato come se fossi alla regia di un suo film, più che davanti a un testo da scrivere. Di certo questo testo, che banalmente si potrebbe definire “prosa”, raccoglie anche molto dai miei lavori precedenti: ricerca innanzitutto di trame non scontate, fortemente criptiche, lo ammetto.
«Una guida o guida di viaggio è un libro di informazioni su un luogo progettato per l’uso di visitatori o turisti. Generalmente include informazioni su luoghi, alloggi, ristoranti, trasporti e attività. Mappe di vari dettagli e informazioni storiche e culturali sono spesso incluse.» Qual è il senso di questi stranianti esergo alle sezioni che mi ricordano una sorta di divertente e diversa Guida galattica per gli autostoppisti? Credi che la scrittura sia un viaggio oltre e che influisca anche su quel che scrittura non è, o che tutto si risolva nello spazio della pagina?
Certamente scrivendo si scrivono tanti viaggi in uno, che esulano dalla stessa pagina. In maniera immaginifica e surreale, ho immaginato che lo strazio della città che muore potesse essere ancor più reso evidente dagli esergo statici e prettamente “banali”. Da una parte si compone la morte, dall’altra la si racconta, la si ricerca, in maniera quasi assillante e morbosa, grottesca alla fine.
«Tkuskya (5), Appunti sullo Storming (17), Austkyk (21), Kauktys (31), Kuystak (43), Austkyk (51), Tkuskya (55)»: il nome della ‘città’ viene ripreso, anagrammato, nelle altre sezioni: è una scelta che vuole rimarcare l’immaginario della città o l’importanza che dai ai simboli, al significante, che creano una realtà?
Direi entrambe le cose, è anche un modo per raccontare un viaggio che ripercorre sé stesso; nella città più fredda il movimento si ferma, a un certo punto. E forse anche quello di prima è una illusione.
«Se mettiamo le mani a una quindicina di centimetri dalla bocca e poi vi soffiamo sopra con le labbra bene aperte, l’aria espirata produrrà sulle mani una sensazione di tepore. Se, però, soffiamo sulle mani velocemente e con le labbra serrate, avvertiremo una sensazione di freddo.» (Da Kuystak.) C’è molto corpo e molto desiderio in questa scrittura, il corpo e l’ambiente mutano e si adattano alla sensazione, al trattamento scientifico: c’è un legame fra il reale del corpo e la lettera che ne scrive in questo lavoro in prosa?
Si, come quasi sempre accade nei miei lavori.
«Il calore fluisce a causa di una differenza di temperatura tra il sistema oggetto di studio e l’ambiente, oppure a seguito di una transizione di fase, e quindi non è in alcun modo riconoscibile all’interno del sistema e nell’ambiente come proprietà intrinseca degli stessi.» Questo estratto da Tkuskya evoca molto bene, secondo me, il rapporto tra la scrittura e l’ambiente, intendo letterario e non solo. Che ci puoi dire della scrittura di ricerca: Nella città più fredda si colloca in questo versante?
Io direi di sì, perché è frutto di una “mia” ricerca in ogni caso. Non credo però che appartenga a uno sperimentalismo diciamo ormai classico, che segue determinati standard. Insomma, la mia ricerca è solitaria, senza compagni di viaggio che possano influenzare il mio lavoro. Apprezzo molto il lavoro di tanti miei “colleghi” ma non penso di esserne influenzata. Forse Giuliano Mesa è stato un mentore per me, ma sono passati ormai molti anni dal nostro confronto, e io mi sono avventurata su altre strade, fino ad arrivare alla città più fredda.
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Elisa Davoglio, Nella città più fredda, Tic ed. 2021, collana Amuleto