Guidai per altri venti chilometri, quando ad un tratto, innanzi a me, come una visione di sogno, apparve il castello di Chantilly, grigio e cupo, si alzò di contro un lago del colore degli smeraldi, e di certi occhi di donna trafitti dal raggio di sole delle primavere.
Mi colse un brivido, simile al mancamento d’amore che coglie i giovani innamorati.
Quelle creature solitarie, libere da ogni impostura dell’anima che costringe a erigere, a sostegno della vita, un’identità chiara e comprensibile, lì dove tutto è crepuscolare: è la vita dell’universo, e la malinconia del tempo puro che scorre in quelle prime tenere effusioni.
Nella disgregazione assoluta del proprio ego, l’uomo si coglie nella sua significazione totale: una creatura fatta solo ed esclusivamente per amare ed essere amata.
Di fronte a quelle rovine, meravigliosamente conservate, pensai a tutti i baci dati innanzi a quel paesaggio, nei secoli dei secoli.
Cinque, dieci, ventimila anni di storia dell’uomo in un unico, prolungato bacio.
Oltre, solamente la vastità delle galassie.
Ecco il duca di Montmorency arrivare al galoppo, alla mezzanotte saturnina d’un tempo perduto, in bocca una rosa, dello stesso colore della luna.
In riva all’acqua una giovane ragazza senza nome e senza casato, lo aspetta.
Nell’attesa, sogna quei baci e quelle carezze che di lì a poco le renderanno la prima esperienza terrena della felicità.
Trema, sogna ancora la ragazza, sogna di un futuro beato, della stessa sostanza di quel presagio di gioia, immagina un prolungamento fantastico di tali irripetibili attimi.
Poi, in un battito di ciglio, tutto si perde e tutto si consuma, così, secondo le leggi degli uomini.
Fabio Pante