La poesia è ricerca del silenzio.
Tutto è linguaggio, anche il tacere. Per questo detesto i poeti ciarloni, i fracassoni, prosodici, i Ginsberg, i Bukowski, persino i Majakovskij.
Detesto il rumore, la prosodia, la strada, le storie di vita, le sbronze, le macchine, i bar e tutto quello che, da ragazzo, mi pareva vicinissimo e che si poteva emulare. Invecchiando ho sottratto tutto e tutto si è fatto parola. Nel rifiuto dell’immediatezza ho trovato la ponderazione.
L’assenza di una lettura abituale delle poesie è una gravissima mancanza per chi desidera scrivere e si vede, si vede tanto. Derek Walcott costringeva i suoi alunni dei corsi avanzati a imparare poesie a memoria.
Dentro le poesie troviamo tutte quelle parole inusuali, frutto della ricerca del poeta, che rendono la prosa non scontata.
Mentre leggevo Al centro della piena, raccolta di poesie di Nicola Romano edita da Il ramo e la foglia edizioni, stilavo la lista di quelle parole che avrei voluto fossero mie e che in questi versi io trovo in un’abbondanza di pioggia e ripeto come un rosario immaginandole tornare all’occorrenza per illuminare appena quel buio pesto che sono i miei pensieri.
S’ammonticchia
Scartocciamenti
Tregenda
Gore
Trampolando
Sfaglia
Ciangotta
Adunghia (adunghia è bellissimo…)
Notturnali (è una poesia solo questa parola)
Principia il giorno…
Ecco, io volevo dire e forse poco s’era capito, con questa mia riflessione sulla poesia di Nicola Romano che difficilmente possiamo trovare un modo più elegante di raccontare che il sole sorge di Principia il giorno.
Nicola Romano è un poeta nuovo, morto da poco, eppure assai simile a Montale, a Caproni e a Luzi. Un poeta che sospende il tempo.
Ha ragione Maggiani quando scrive che Nicola Romano è un ponte tra il 900 e il 2000 e nei suoi versi l’appartenenza a questo secolo si scopre improvvisa e quasi con sorpresa.
Pierangelo Consoli
Nicola Romano, Al centro della piena, Il ramo e la foglia edizioni, Pp. 72, Euro 12