Nicola Rubino è entrato in fabbrica” (originariamente pubblicato da Feltrinelli nel 2004 e ora ampiamente rivisto dall’autore per l’editore TerraRossa) è il testo fondante della nuova narrativa industriale del XXI secolo, poi sono arrivati Tonon, Santarossa, Cisi e altri ancora. L’assenza di un mondo al di fuori (della fabbrica in questo caso) si avvicina alla realtà rappresentata da Houellebecq in “Extension du domaine de la lutte” dove il vuoto dell’individuo è amplificato dall’io narrante attraverso una sensibilità a volte estrema, non è un caso che “Sottomissione” sia incentrato su “Controcorrente” di Huysmans.
“Nicola Rubino è entrato in fabbrica” è un’amara riflessione sul mondo del lavoro, tema attualissimo, e insieme una narrazione che rappresenta alla perfezione il concetto che essere leggeri non vuol dire essere superficiali, anzi; il romanzo è profondo e avvincente e Francesco Dezio sa regalare forti emozioni come solo pochi altri autori riescono a fare.
Quanto hai rielaborato del nuovo Nicola Rubino? Smartphone e Facebook non erano di certo presenti nel tuo romanzo originale.
Ho lasciato pressoché inalterata la struttura del romanzo; alcuni episodi sono stati aggiunti ex novo (altri, completamente rielaborati, provengono da un altro romanzo breve, pubblicato nel 2002 e che si intitolava Via da qui, uscito per ZeroZeroSud, editore sparito dalla circolazione), ulteriori paragrafi sono stati spostati, alcuni titoli dei capitoli modificati. La scena finale si svolge in modo differente (specie nei dialoghi), non ci sono più i letali “ringraziamenti” a, ecc.
Dei capitoli non esistono più (tipo quello in cui riprendevo gerghi manageriali ed era privo di punteggiatura: faceva molto “Gruppo ’63”) perché li reputavo superflui e ormai didascalici (dal momento che in seguito erano usciti fin troppi titoli sullo stesso tema).
Ho aumentato la patina dialettale, pur presente nella precedente versione.
Ah, ho eliminato un altro dei “pezzi forti” della precedente versione – tre pagine di nomenclatura pornografica che si impastavano a descrizioni visionarie di lavorazioni alle macchine utensili – perché strideva con quella riscrittura e anche perché lo percepisco, adesso, come meno disturbante rispetto ad allora, dal momento che la pornografia dilaga ovunque in rete.
Infine, ho voluto fare un esperimento, attualizzare (ma senza esasperare) gli elementi merceologici ai tempi correnti (conservando però il Golf GTD del protagonista e di un’operaia che lo sfida a un duello automobilistico). Ritenendo sterile e antiquata la polemica su Zulù dei 99 Posse e non trovando un equivalente adeguato (cambiato il clima politico, il rap militante ha perso moltissimo smalto o forse non c’è più, il rap in generale è un passatempo per bimbiminkia) ho eliminato quella parte nella conversazione con il “battagliero” Fasano, alle macchinette del caffè. Chi lo ha riscritto è, tredici anni dopo, una persona con alle spalle nuove esperienze di lettura e che vive una condizione differente rispetto ad allora e che ha potuto guardare con distacco ai fatti narrati e riconsiderarlo come fosse un romanzo scritto da un altro.
Puoi fare una stima statistica approssimata della tua “riscrittura”?
Mah, guarda, sbaglierò: secondo me più della metà.
Il tuo romanzo prossimo uscirà in autunno?
Il mio editor, Giovanni Turi, mi ha assicurato che “La gente per bene” sarà pubblicato a Novembre.
Ti consideri il capostipite della nuova narrativa industriale? (Dopo sono venuti Tonon, Santarossa e Cisi).
Dagli anni 2000 in poi, sì. Mi aveva preceduto Sebastiano Nata con Il dipendente (Feltrinelli, 1997) – a parte lui, che io ricordi, non c’è stato altro – mentre nello stesso anno di uscita di Nicola Rubino è entrato in fabbrica uscirono Volevo solo dormirle addosso di Massimo Lolli (Limina, 2004) e Pausa Caffè di Giorgio Falco (Sironi, 2004); di seguito, tutti gli altri che hai citato.