Quanto mi piace parlare di “science fiction”… Mi viene bene anche la pronuncia, se mi impegno. In italiano non rende, sarebbe come chiamare “Soddisfazione” il mito “Satisfiction”. Science fiction è l’argomento che giustifica e dà origine a questo spazio aperto e libero di ragionamento e critica, di ricerca prima di ogni altra cosa. La scienza, la medicina nella letteratura, nel cinema, a teatro, nei prodotti televisivi.
Niente di nuovo nel cielo letterario, ricordo che il primo racconto di Cechov che scoprii, tanti anni fa, arrivava là dove il mio quotidiano esiste: c’era una donna con un tumore al seno. Non è obbligatorio per un medico parlare di medicina nelle proprie produzioni letterarie, ma l’allusione è quasi inevitabile. Per ricordare ancora Cechov, quando sei stanco di essere medico puoi essere scrittore e viceversa, sono due amori complementari che non ti obbligano a scegliere nonostante ti venga in mente che potresti, forse sì, forse sarebbe bello dedicarti a uno solo. Sono istanti spontanei, derivano dalla passione che sembra volere l’esclusiva, oppure sono forzati dalle domande, dalle curiosità e dai timori di chi ti vorrebbe sempre e solo medico oppure scrittore. La scelta tra l’uno e l’altro amore (impossibile essere medico senza amare ciò che si fa, e per la scrittura vale la medesima regola) è nella testa degli altri, nella tua si presenta poco e la rimandi sempre. Perché puoi essere entrambi, alla faccia di chi pensa il contrario perché non ha tempo o voglia di mettersi in gioco su due fronti differenti. I medici, gli scienziati scrittori esistono, e prima o poi li becchi perché scivolano nella tentazione di farti sapere: qua e là sfugge l’allusione, viene fuori il termine che può essere nato solo dalla familiarità con la scienza. Ne esistono alcuni che scelgono di creare trame molto vicine alla loro attività medica o scientifica, e allora il confine tra divulgazione e letteratura è incerto e sfumato: entrano a gamba tesa nella materia e costruiscono la storia, appassionando migliaia, milioni di persone. Perché la scienza interessa, non c’è dubbio. I pochi che riescono a tenersi fuori dalla commistione fanno fatica oppure mentono, non dicono granché di se stessi perché sanno che dichiararsi medico o ricercatore equivale il più delle volte a ricevere un sì condizionato dagli editori: “Sì, ti pubblico a patto che tu scriva qualcosa che c’entra con la medicina”.
Medicina e scienza sono una moda, forse un’esigenza precisa, degli anni recenti. Esce un po’ di tutto: fiction televisive, romanzi singoli o seriali, saggi divulgativi, trasmissioni a metà tra lo spettacolo di intrattenimento e la conferenza per la popolazione generale, applicazioni per computer e palmari, pièces teatrali. Le ragioni sono tante. Esiste certo la necessità di coinvolgere la gente nelle acquisizioni e nelle esigenze della scienza, in particolare in medicina dove il rapporto medico-paziente richiede la cooperazione consapevole e attiva del paziente: addio paternalismo, per fortuna, si raggiunge un dialogo che può essere arricchito o facilitato da una cultura di base più alta. Se so di cosa stai parlando riesco a decidere meglio, caro medico. Se sai di cosa sto parlando collabori di più, caro paziente. Ma non c’è solo questo. La curiosità è un motore eterno e irresistibile. La scienza e la medicina (continuo a distinguerle, è inevitabile) si fondano su riti quasi misterici, incomprensibili ai più, che riguardano la sopravvivenza degli esseri umani. Da questi riti dipendono la salute e la vita, e ne siamo più che consapevoli. Scavare nei misteri, guardarli sullo schermo televisivo o leggerli in un romanzo ci regala l’illusione di comprenderli, di esserne parte e avere meno paura. E c’è il fascino irresistibile del camice bianco, delle parole che si comprendono solo a metà, dei decenni di studio superati non si sa come dai personaggi che vediamo vagare imperiosi e assorti nei corridoi dei centri di eccellenza. C’è la voglia di saperne di più, di affrancarsi da un’ignoranza che per secoli è stata l’origine di una fascinazione i cui contorni stanno drasticamente cambiando. Medici, ricercatori, chirurghi, anatomo-patologi, studenti di medicina sono protagonisti dello scenario creativo e riempiono la fantasia degli affezionati lettori o dei cine-telespettatori. “Non è lupus”, ripete spesso un’amica scrittrice appassionata di una fiction televisiva tra le più riuscite. Non è lupus, una frase del rassicurante, antipatico, brillante Dr. House. Quando inizia a ragionare su un caso cerca i segni del lupus eritematoso sistemico e li esclude, parte da lì. Ho il sospetto che prima di House pochi sapessero cosa sia il lupus, adesso a tutti sembra di conoscerlo, questo lupus. E’ complicato, variabile ed entra nelle diagnosi differenziali con altre malattie, tirato in ballo quando si capisce poco di cosa stia accadendo alla salute di una persona. Sappiamo che esiste il lupus, miracolo fatale della fiction.
La proposta di Gian Paolo Serino di fare parte della squadra di “Satisfiction” mi ha subito fatto pensare alla letteratura e alla scienza, e alla doppia anima di scrittore e medico. C’è tanto da dire, e vediamo come va. Intanto abbiamo una certezza: non è lupus.
MariaGiovanna Luini