Il libro “L’altra voce. Poesia e fine del secolo” di Octavio Paz a cura e con un saggio di Massimo Rizzante, (Mimesis Edizioni, 2023 pp.126 € 12.00) rappresenta una indipendente dichiarazione nei confronti dell’insegnamento poetico. Introduce il fondamento autentico della riflessione artistica nel richiamo delle parole, nel proponimento di un linguaggio resistente alle variazioni della modernità, commenta la finalità di tutelare l’efficacia espressiva depositata nel contesto vivo e dinamico della solidarietà, divulga la validità della tradizione filologica, della funzione dell’arte inoltrata nella congiuntura della fraternità umana. Octavio Paz accerchia l’incarnazione della poesia partendo dalla precisa e illuminante affermazione della propria identità, focalizzata nella concezione emancipata e decisiva della fiduciosa promozione del patrimonio culturale, sperimenta l’accesso elegiaco alla funzione costante e vigorosa della virtù creativa come sublime strumento di conoscenza, per ristabilire il significato straordinario dell’esistenza. Affonda la sua radice interpretativa lungo l’intreccio simbolico tra l’estensione dello spazio e la percezione purificata del pensiero, l’emblema spirituale di un luogo limpido e spontaneo che ospita le linearità sensibili delle metafore, abbraccia la grazia della sensualità e la spinta vitale dell’emozione. Il libro “L’altra voce Poesia e fine del secolo” raccoglie i saggi scritti durante gli ultimi anni di vita dell’autore, ricerca la relazione critica e responsabile della poesia con la sua inesauribile destinazione.
Octavio Paz riconquista, attraverso la sua lungimirante volontà di partecipazione al servizio della comunione poetica e intellettuale, l’esperienza contemplativa, il riflesso solenne di una scrittura rinnovata nel dialogo, dichiara l’incomunicabilità del silenzio, insegue la coscienza della libertà nel raggiro razionale della solitudine. Affronta l’impegno civile della militanza, la mediazione del proprio ruolo di poeta con la dissolvenza della voce che racchiude in sé il respiro dei mutamenti e la capacità distintiva della comprensione mossa dall’intensità dell’ispirazione, si addentra nella profondità dell’inconscio, intuisce il segno premonitore delle rivelazioni, l’azzardo di tutto ciò che è altro. L’altra voce parla alla rivoluzione dell’immaginazione poetica, ascolta la maturità delle epoche, esprime la dimensione del tempo e del senso della vita mediante le coordinate risanate dalla riflessione interiore sull’attualità, sceglie di dialogare con la previsione della condizione storica e il suo desiderio di progresso esistenziale. Octavio Paz svela “l’altra voce”, come il suggerimento che precede ogni contemporaneità, che riconosce l’essenza primitiva e originaria della poesia, imperturbabile all’evoluzione della cronaca. Pronuncia il frammento impalpabile della permanenza linguistica, sedimenta il contributo degli uomini nella memoria, nell’emissione divincolata dell’influsso incisivo sull’antica identificazione tra la mitologia e la fatale stratificazione del “hic et nunc” della poesia. Condensa la voce primordiale, nell’orizzonte del contrasto universale tra illusione e realtà, canta la rottura delle ambivalenze critiche, espone la vicinanza del passato e la frattura del futuro. Il libro distilla l’omaggio della suggestiva alterità, nella ostinata intenzione di proseguire il suo nobile compito. A tale consapevolezza i versi seguenti attribuiscono tutta la passionale prospettiva di una meditazione tenace, nella forma esplicita di ogni sopravvivenza: “La poesia/semina occhi nella pagina, /semina parole negli occhi./Gli occhi parlano, /le parole guardano, /gli sguardi pensano./Udire/ i pensieri, /vedere/ciò che diciamo, /toccare/il corpo dell’idea./Gli occhi/ si chiudono, /le parole si aprono.” (tratto dalla poesia “Dire:fare”)
Rita Bompadre