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Olivia Ninotti. Sembrava un british invece era un merdish

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Una premessa necessaria: da quando ho cominciato a collaborare assiduamente per questa rivista come contributor, ogni settimana ricevo tanti pacchi di libri dagli uffici stampa e dagli autori che vogliono farmi leggere ora un romanzo ora una raccolta di racconti, talvolta un saggio o una graphic novel. Lo dico subito mi metto nei panni di questi operatori culturali e senza ironia e pregiudizio ben comprendo perché spediscono libri anche a me: lo fanno nella speranza che io ricavi dalle letture proposte una recensione scritta, una intervista all’autore-autrice o anche solo un semplice parere sui social che nasce dalle suggestioni di un libraio appassionato. Purtroppo, quasi tutti i libri che ricevo, arrivano dagli uffici stampa e si tratta di copie intonse: raramente contengono una dedica da parte di chi l’ha scritto. Probabilmente perché ogni ufficio stampa dedica tempo e lavoro a decine e decine di autori, la mole di libri che escono con un ritmo pressante è davvero notevole, e io comprendo bene questo stato di cose editoriali: il ruolo non è facile, gli sforzi di chi deve occuparsi della vita di un libro dalla nascita all’approdo nelle librerie, diventano sovraumani. Capisco, ci mancherebbe, ne prendo pure atto senza polemica. Però, devo ribadirlo, quando un ufficio stampa lascia tempo a un proprio autore di scrivere anche solo una dedica su quella copia destinata al libraio, provo una certa dose di piacere per quel gesto: il libro resta impresso da un segno che gli dà un’anima, e difficilmente per me che l’ho ricevuto capiterà di dimenticare chi ha spedito cosa, come e quando. Un giorno ho ricevuto un pacchetto con due libri, entrambi con delle lunghe e sincere dediche fatte a mano e personalizzate. Per chi vive a contatto con i libri ogni giorno, ricevere un libro con dedica da un autore significa avere la prova concreta che qualcuno non solo ha scritto quella storia, ma ha pure immaginato un dialogo possibile con un libraio-lettore. Questo, dalle mie parti, pure se sembra poco, si chiama miracolo. La dottoressa Olivia Ninotti, autrice di quei due libri, nella vita di tutti i giorni (ho letto dalla quarta di copertina dei suoi libri) è Neuropsichiatra e Psicoterapeuta a Milano. Quando non svolge la professione medica, ruba tempo alla notte (ho poi letto da altre interviste recuperate in rete) e prova a cimentarsi con la scrittura di romanzi. In alcune di quelle notti, utili per lei a liberarsi dal peso caotico del vivere a 300 km orari ogni istante di questa esistenza nel mondo contemporaneo, ha ricavato negli anni spazio e tempo per affinare l’arte del racconto scritto e dare vita a storie dal piglio sincero e arguto, ironico e dolce. E osando, prima col pensare, poi con lo scrivere, ha immaginato di mettere in piedi due romanzi brevi che prendono vita attraverso la voce di una gatta di razza Scottish Fold (Luna) che vive in una famiglia di strambi umani e altri bizzarri felini, tutti abitanti di un appartamento affollato che ne combinano ( e ne sanno) una più del diavolo per sconvolgere la vita quotidiana di questa gatta dal pensare filosofico e dall’agire tragicomico.

Entrambi i libri sottotitolati “Diario intimo di una scottish” e “Saluto alla regina”, pubblicati da Scatole Parlanti editore nella collana Forme con il titolo (Sembrava un British invece era un merdish) accompagnano il mio tempo della lettura quotidiana da settimane: osservare come parla e si muove nel suo mondo la gatta Luna mi lascia tanto sorridere quanto riflettere; e mi aiuta a pormi domande attuali sulla qualità del vivere contemporaneo. Insinuando in me dubbi necessari sul tipo di esistenza che noi umani conduciamo e – come se non bastasse tutto questo – a tratti rallegra la mia mente, con una storia che incanta per i costanti colpi di scena: dalle dichiarazioni di guerra degli animali agli altri conviventi umani, alla ricerca di amore incondizionato riscoperto dopo infinite messe alla prova che subisce la protagonista (e voce) a quattro zampe dei due romanzi. Entrambi questi libri, ho scoperto nel tempo facendo ricerche sull’autrice che non conosco personalmente per ovvie ragioni geografiche, sono stati più volte ristampati. Lo dico da libraio: quando questo accade ha luogo perché i lettori scelgono di affezionarsi a un mondo ben narrato fino ad arrivare a generare un felice passaparola che mantiene performante la rotazione del libro, anche a distanza di mesi dall’apparizione sul mercato librario (fisico e virtuale) di quel titolo. Olivia Ninotti dimostra con questi due brevi romanzi che affabulare è mestiere suo, e lo fa dando uno sguardo, una parola e una postura esistenziale proprio all’ animale protagonista indiscusso dei social con foto e meme di ogni tipo: il gatto. Eppure, nella grammatica narratologica cara all’autrice, lo sforzo del suo gesto non consiste solo nel dare voce a un animale con effetti speciali verbali o trovate parodistiche dell’ultimo minuto. Perché Luna – a differenza dei comuni gatti – è un personaggio con uno sguardo arguto e profondo che indaga cose e persone, sia quando osserva e interagisce con gli umani sia quando deve sopportare gli altri suoi simili. E lo fa come un alieno dotato di superpoteri mentali, quasi come se fosse in missione per conto di una qualche divinità ultraterrena che ha deciso di inviarla sul pianeta terra col compito di insegnare “l’arte del campare” a chi le sta vicino. Così ho scoperto pagina dopo pagina, grazie a questa gatta pensante, una certa capacità felina di stare al mondo che tra fusa-morsi-balzi – e consigli filosofici non richiesti ma sempre utili – diventa tentativo ultimo di scovare (per conto proprio) e diffondere (nei confronti del prossimo) la felicità. Arrivando a trattenerla e coccolarla, sempre. A prescindere dai rumori “sordi” e dalle voci concitate che affollano il suo appartamento che è metafora abitativa del nostro presente. E in tempi bui come questi, da libraio e appassionato lettore, scoprire una scrittrice – autodidatta ma motivata – capace con pochi mezzi (due storie brevi che si fanno narrazione credibile, un definito numero di parole scelte ad arte, la giusta quantità di segni di interpunzione usati a dovere sulla pagina) di offrire tanto a chi legge fa ben sperare, in particolare penso a quei lettori forti (dinosauri? No, creature viventi e attive!) ancora lasciarsi travolgere dal piacere di una storia ben raccontata.

Ps Io, da libraio, non posso che augurarmi che resti sempre accesa la luce nelle notti silenziose di questa autrice alle sue prime prove narrative, in modo che lei senta sua questa strada dello scrivere (se lo desidera davvero, se non vuol mollare, se si diverte e basta nel farlo senza pretesa alcuna, se non quella di tenere buona compagnia a chi vorrà leggere le storie che immagina e scrive).

Mario Schiavone

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