‘A un certo punto, vai a sapere perché, mi ero girato e avevo fatto un cenno a una figura di pietra che stava nelle vicinanze, appena a lato, come una persona tra noi. L’Indiano, eccolo lì. Lo conoscete? Sì, no, forse. Più no che sì in ogni caso. Ecco, ho sospirato, prima o poi ci scriverò un libro. Sicuro, da questa statua spremerò una storia. ‘
Paolo Ciampi, Il Maragià di Firenze, Arkadia Editore, 2020
Sulla pagina Facebook di Arkadia Editore, mentre Tito Barbini analizzava il suo ultimo libro,’ Il fabbricante di giocattoli’, con la mia cara Alice Pisu, io e Paolo Ciampi siamo partiti proprio da questo passaggio per raccontare una storia fiorentina. Inizia così il nuovo romanzo di Paolo Ciampi edito da Arkadia Editore: dal ricordo di una presentazione fatta con l’amico scrittore Marino Magliani, curatore insieme a lui e a Luigi Preziosi della Collana di narrativa Senza Rotta. Secondo libro pubblicato con la vivace casa editrice di Cagliari e candidato al Premio Strega 2021, dopo il pluripremiato libro ‘L’ambasciatore delle foreste’ ( candidato pure questo al Premio Strega nel 2019). Paolo Ciampi, giornalista e scrittore fiorentino con all’attivo una trentina di libri usciti per diversi editori, con lo stile raffinato a cui ci ha abituato nei precedenti lavori, intrecciando nozioni a riflessioni personali, racconta questa volta la storia poco nota del principe indiano Rajaram Chuttraputti che, di ritorno dall’Inghilterra, morì giovanissimo a Firenze. Si parte proprio da alcune consuetudini dell’autore, come quella di raggiungere in bicicletta una zona periferica della sua Firenze, a ridosso del Parco delle Cascine, e bere, rilassandosi, un paio di boccali di birra fresca per salutare giugno che va via. Nei pressi di questo bar sorge un monumento commemorativo in pietra costruito nel 1870, con la forma di un baldacchino a volta sorretto da quattro colonnine e sotto il quale è presente un busto scolpito con alla base un’iscrizione in italiano, inglese, hindi e punjabi. L’enigna di pietra, quello che per tutti è l’Indiano è anche lo stesso monumento che desta curiosità a Ciampi durante la presentazione del libro di Magliani. Da quell’antico monumento e spulciando vecchi numeri dell’autunno 1870 de ‘La Nazione’, il quotidiano fondato da Bettino Ricasoli, parte l’ avventurosa ricerca della storia di quell’indiano. Setacciando microfilm di documenti in biblioteca accanto ad accurate ricerche effettuate su Google, nel corso della narrazione, piano piano, viene a delinearsi la figura di questo giovane sovrano, morto un martedì mattina di fine novembre nella Locanda della Pace, ove aveva preso alloggio con il suo seguito, e, come lo denomina, erroneamente il cronista dell’epoca sul giornale, dal nome esotico di Rajah Muharaja de Kolapore. Lo scrittore comincia il libro dando del tu al nostro maragià e, simpaticamente, facendo le pulci al povero cronista del tempo che avrebbe dovuto scrivere Maharaja ( per intendere quell’antico titolo nobiliare, usato ancora durante l’impero britannico per i pochi che godevano il lusso di un tempo) e che probabilmente ha inteso Kolapore come un cognome e non come il regno di Kolhapur. Il primo principe, o meglio maragià che dall’India arriva in Europa, è poco più di un adolescente entusiasta, affamato di novità e carico di sogni e fremiti e attese tipiche della sua giovane età. La vita svanirà come un sogno per questo giovane sovrano di uno dei molti modesti staterelli dell’India coloniale, nato a Kolhapur nel 1850 e nel più crudele dei mesi, aprile, parafrasando quel grande capolavoro che è la Terra desolata di Thomas Stearns Eliot.
Nel mese dei morti, novembre, di ritorno dall’Inghilterra dove ha reso omaggio alla regina Vittoria, questo giovane ragazzo che profuma di una India fatta di diamanti e elefanti e sete preziozse, avrebbe voluto inseguire sogni di bellezza nella città di Firenze, ma viene, invece, colto da malore a venti anni. In quel quasi inizio di dicembre del 1870 nello stesso albergo che vedrà morire per tifo un adolescente figlio di un miliardario americano qualche anno dopo e dove Madonna girerà le prime sequenze del video di Turn Up the Radio. Nel capoluogo toscano – allora Capitale del Regno d’Italia dopo Torino e nel lento avvicinamento a Roma – il giovane principe muore per colpa di una “febbre perniciosa” contratta attraversando le Alpi durante il proprio viaggio di formazione. La città saprà vincere diffidenze e pregiudizi accordando al principe un funerale indù e, in una notte incredibile, con tanto di pira in una spianata chiamata all’epoca Barco e alla confluenza del torrente Mugnone con il fiume Arno che diventa sacro come il Gange per una volta. Dopo uno strano corteo che parte dall’albergo di piazza Ognissanti con otto domestici indiani e vari dignitari indiani e autorità cittadine, in questo luogo al punto estremo delle Cascine, il corpo dello sfortunato giovane fu arso, ed oggi è proprio là che si trova la famosa statua dell’Indiano. Una storia incredibile anche questa autorizzazione delle esequie per un funerale indiano. Ma come ci spiega saggiamente Ciampi è con l’inconcepibile che il buon senso deve sempre sintonizzarsi. Man mano che si procede nello scorrere dei capitoli si recuperano pezzi di vita del maragià ragazzino, della sua educazione, del suo amore per la lettura e la predilezione per il biliardo e il cricket. Un principe amabile, debole di carattere e gran sognatore. Si racconta dettagliatamente anche il rito funebre e di quelle preghiere e quel rogo che brucia il corpo di un ragazzino su una catasta di legna, e con le ceneri affidate al fiume, laddove la corrente è più robusta.
Nelle sue dettagliate ricerche Ciampi intercetta in Rete anche il Diario di viaggio di questo principe: una sorta di promemoria o catalogo dei fatti del giorno che ha trovato pure la strada della pubblicazione nella Londra del 1872. Dalle vicende e accadimenti legati a questo principe indiano veniamo, così, catapultati in un viaggio particolare fatto di riflessioni sul senso e la fragilità della vita. Profonde considerazioni anche sulla morte a partire da un frammento del commediografo Menandro, ‘Muor giovane colui ch’al ciel è caro’: ci si chiede come farsi ragione di tante morti premature. Si viaggia e cammina parecchio attraverso piazze e viali, palazzi e villini, monumenti e scorci della sua città. Un omaggio, per niente velato, ad una città, la Firenze di Paolo Ciampi. Tra le pagine si incontrano anche tanti personaggi secondari affascinanti, come il matematico indiano Srinivasa Ramanujam, protagonista del libro di Leavitt, o quell’Angelo De Gubernatis, primo a laurearsi in lettere nel Regno d’Italia e studioso di sanscrito e appassionato di India; o ancora come Filipa Lowndes Vicente, autrice portoghese del libro Altri Orientalismi – L’ India a Firenze 1860-1900; o Filippo Sassetti che nel cinquecento è uno dei primi esperti del continente asiatico e muore a Goa, la stessa città dove il granduca dei Medici invia un altare monumentale in pietre pregiate e diamanti per accogliere l’urna con le reliquie del missionario Francesco Saverio. Si scopre che c’è parecchia India a Firenze nella seconda metà dell’Ottocento : circolano riviste e si fanno mostre e convegni come in nessun altra parte del Paese. Non manca l’elemento del viaggio nel viaggio o le escursioni nell’altrove in questo libro di un grande viaggiatore come Paolo Ciampi: così accade di ritrovarci tra le pagine del libro anche nella enolibreria della nostra amica e collega Cinzia a Palermo o nel Cimitero Inglese di Roma a visitare la tomba di Gramsci ma pure di quel protagonista del libro precedente, l’ambasciatore delle foreste George Perkins Marsh, insieme a tanti poeti e letterati che sono stati presenze rilevanti nella vita dello scrittore, primo fra tutti John Keats. Un libro carico di suggestioni e connessioni e, interrogando la Rete e sfogliando saggi di storia locale e memorie fiorentine, si scoprono e si assemblano più tasselli e informazioni possibili su questo principe Rajaram.
In tutta la narrazione il nostro Paolo Ciampi vagheggia e, tra una pedalata e una fetta di cocomero, tra un cono a gelato e una birra Ichnusa non filtrata, si inseriscono tutta una serie di spunti sulle proprie abitudini di vita e particolari digressioni che, con un effetto domino, fanno venir fuori una serie di informazioni e riflessioni su alcuni scrittori ma pure sulle religioni e la pacifica convivenza di queste in stati inclusivi e quindi riflessioni sull’accoglienza e sul ruolo che Firenze nei secoli ha avuto come centro culturale. In questa giostra di interconnessioni e cortocircuiti letterari trovano spazio una quartina di Emily Bronte posta in epigrafe, il nome di Dino Campana che ricorre ciclicamente lungo i tredici capitoli, il viaggiatore di carta Emilio Salgari, Mark Twain e e poi Robert Walser e Giacomo Leopardi e Fernando Pessoa, Antonio Tabucchi, Francesco Guccini e Guido Gozzano . Accanto ai riferimementi letterari pure tanto mondo musicale nel libro : dalla Rapsodia in blu di Gershwin alla Donna Cannone di De Gregori fino a Jokerman di Bob Dylan o Sunday Morning di Nico e poi ancora il nostalgico ricordo di mitologici concerti alle Cascine con Peter Gabriel o Lou Reed . E poi anche il mondo dei fumetti dell’adolescenza, quello di Tex, Zagor e Blek Macigno, che si alterna, in maniera pop, a estratti di brani di autori stranieri o dell’antichità. Gioca spesso con l’etimologia di alcune parole Paolo Ciampi, che come spiega lui stesso sono un lampo che schiude porte e placa insofferenze. Non è pedanteria questo uso delle etimologie, ma come ci ha abituato da anni nei suoi libri, fanno piazza pulita del superfluo e restituiscono ciò che conta davvero. Sono la buona semina del dubbio. Ed ecco spiegato, quindi, per sé la ricerca di una struttura linguistica precisa, impeccabile, pulita per raccontare questa ennesima storia, dove ogni bestemmia sintattica è stata accuratamente bandita. Un sapiente uso della scrittura al servizio di una storia, la storia del giovane indiano venuto a morire a Firenze, da cui si imparano tante cose. I libri sono viaggi, ripete di continuo Paolo Ciampi e questa sua ultima fatica è davvero un piacevolissimo e interessante viaggio che parte da tempi e mondi lontanissimi e ci porta fino al nostro presente. Una lettura molto ricca e approfondita che, attraverso l’uso piacevole e scorrevole della nostra bella lingua italiana, riesce a dare voce alla pietra antica di un monumento e creare un ponte tra due estremi culturali, tra Oriente e Occidente, e farci, pure, riflettere sul nostro presente per quei tanti che arrivano da lontano, da altri continenti, o peggio ancora che ad arrivare nemmeno ce la fanno e diventano corpi in fondo al mare. Si parte da un principe indiano di fine ottocento per suggerirci l’immagine di fosse comuni d’acqua e farci riflettere sulla possibilità di una nuova disposizione ad accogliere idee distanti tra loro. Accogliere idee distanti e, con benevolenza, i mutamenti che derivano dall’approdo nel nostro Occidente di altre culture, di altre proposte di esistenze. Ci racconta la complessità del mondo, Paolo Ciampi attraverso il suo Indiano, e, tra poeti romantici e eccentrici studiosi ed esploratori dell’India, spinge la coscienza del lettore a fare un paio di conti sulle contaminazioni e su una possibile altra lettura sulle differenze e la necessità di una realtà più eterogenea, dove uguali e diversi convivono pacificamente.