“Indispensabile”, edito dalla “Tipografia Helvetica” – erede di quella che nel Risorgimento contribuì a fare l’Italia. Manda in libreria un volume “indispensabile”, a cura di Marco Sommariva (pagg. 306, euro 18) che raccoglie le intuizioni di nove scrittori che hanno genialmente profetizzato il nostro presente “assente”. Sono raccolti testi di Wilhelm Reich, Aldous Huxley, Theodor Adorno, George Orwell, Guy Debord, Ivan Illich, Raoul Vaneigem, John Zerzan, Hakim Bey. Una antologia unica che passa da situazionismo di Debord e Vaneigem alle “zone temporaneamente autonome” di Hakim Bay: tutti autori che hanno preconizzato come la merce dello spettacolo ci avrebbe ridotti, come scrive Reich, ad “una libertà che si riduce allo scegliere tra merci confezionai”. Ad introdurre con Paolo Di Stefano, Goffredo Fofi e Gianfranco Manfredi. Qui di seguito, in esclusiva per Satisfiction, l’inedito di Paolo Di Stefano, scrittore e editoralista culturale del “Corriere della sera”.
Gian Paolo Serino
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Quasi vent’anni dopo (1967), la «società dello spettacolo» di Guy Debord coincide, essenzialmente, con la negazione del tempo: «Quando una società più complessa viene a prendere coscienza del tempo, il suo lavoro è piuttosto quello di negarlo, perché essa vede nel tempo non ciò che passa, ma ciò che ritorna». Dove il «ritorno» va inteso anche in accezione economica. E sono temi che fatalmente si incrociano. Passando, per esempio, attraverso un altro situazionista e anarchico come Raoul Vaneigem – una delle tre voci viventi con quelle di Hakim Bey e di John Zerzan – che, quasi a compendio di un lungo filone di pensiero eretico e libertario, proprio alla dimensione del tempo assegna un’importanza cruciale nel «saper vivere» oggi: in «una società in cui il tempo riconosciuto è il tempo del consumo», «bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell’esperienza immediata». Perché, aggiunge Vaneigem con un aforisma a dir poco abbagliante: «Nulla uccide con più sicurezza che accontentarsi della sopravvivenza». Note che risalgono a mezzo secolo fa e che, banalmente, sembrano scritte in anni, come i nostri, che hanno brutalmente rilanciato il grido della sopravvivenza non solo come status alienante delle società industrializzate ma, purtroppo, come obiettivo e quasi miraggio per milioni di persone in fuga dalle persecuzioni politiche e dalla povertà. Il 1984 sarebbe presto arrivato carico di tutta l’utopia negativa prefigurata da George Orwell, il quale nel suo romanzo poneva questioni terribili: «Riesci a vedere, ora, quale tipo di mondo stiamo creando? Un mondo di paura, di tradimenti e di torture, un mondo di gente che calpesta e di gente che è calpestata, un mondo che diventerà non meno, ma più spietato, man mano che si perfezionerà. Il progresso, nel nostro mondo, vorrà dire soltanto il progresso della sofferenza. Nel nostro mondo non vi saranno altri sentimenti che la paura, il furore, il trionfo, e l’automortificazione». È la visionarietà di Orwell quella che impressiona di più: l’inventore del Grande Fratello aveva annunciato l’avvento di una società dotata di un «controllo a circuito chiuso, che si svilupperà nelle fabbriche, nelle carceri, nei locali pubblici, nei supermarket, nei condomini fortificati della borghesia affluente». Sono parole di Umberto Eco che introducono un’edizione italiana di 1984. Il quale Eco segnala come l’«energia visionaria» di Orwell abbia suggerito, in largo anticipo sui tempi, «la minaccia che il mondo intero si trasformi in un immenso Panopticon». Tra i suoi obiettivi satirici non ci sono solo il nazismo e il comunismo sovietico, ma anche la civiltà di massa borghese, quella che Pasolini avrebbe chiamato nuovo fascismo omologante o totalitarismo massmediatico-consumista: e che oggi si è amplificata in potere dell’economia digitale e in controllo dell’informazione globale. Ne stiamo vivendo (e subendo) le perversioni neo-nazionaliste e populiste: che richiedono nuove forme di resistenza. Secondo il filosofo radicale Hakim Bey, se «i tempi non paiono propizi per la militanza o la violenza», bisogna decisamente adottare la pirateria e il «disturbo immaginativo». Ma ogni hacker troverà sempre il suo anti-virus ad hoc: e poi nell’epoca delle fake news il sabotaggio ha un volto pericolosamente ambiguo.