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Paolo Maggis inedito. Solo un vezzo

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E mentre qualcuno si arroga il diritto di decidere ciò che é gusto e buono, altri riesumano obsolete ideologie puntando il pugno contro la proprietà privata.

E mentre si da in pasto ai pesci un numero, il 3783, che, non solo conferma i dubbi che, tra paura ed eccitazione, si stavano diffondendo già da tempo istigando un posizionamento estremo, qualcuno obbliga – unico caso al mondo! Ma cosa volete, l’Italia é sempre un passo avanti – ad un lascia passare dalla funzionalità e legittimità dubbia.

E mentre con il fine di difendere la nostra salute si impone, appunto, uno strumento coercitivo, ipso facto, sempre in nome della stessa salute, si applica un taglio da sei miliardi alla spesa per la Sanità.

E se questo non bastasse, nel mentre, il presidente illuminato tanto acclamato dalle varianti di quelle che furono le sinistre europee, arriva con un transatlantico su ruote per le vie di Roma qualche giorno dopo aver fatto dichiarazioni guerrafondaie alla Cina in difesa di Taiwan (o dei microchip?) come stesse bevendo un bicchiere d’acqua. Casualmente in concomitanza alle altre dichiarazioni che, la Star della lotta alla pandemia Mr. Ghebreyesus, aveva rilasciato riguardo la provenienza, non dimostrabile per insufficienza di dati, del virus.

E nel mentre noi… Noi ci intratteniamo su i social a sproloquiare di Squid Games!

Ho deciso che voglio farlo anche io.

Chi incorona la serie come fosse geniale e chi la accusa di istigare i bambini alla violenza. Geniale, non so, ma

certamente se non avessimo visto Alice in the Borderland, più anziana di due anni, straordinariamente estrema e ben fatta, potrebbe sembrarlo. Violenta? Pure. Ma come accusare una serie di essere la causa di tutti i mali? E che il malessere che queste generazioni provano non avesse nulla a che spartire con il fatto indiscutibile che sono stati obbligati, dai nostri benevoli e lungimiranti governanti, a stare serrati in casa, isolati per ore davanti a uno schermo, vivendo la loro (non nostra!) vita in sordina? Ops! Scusate… ho detto vita? Non esiste più questo concetto, dovrei dire socialità, sport, educazione ecc.

E allora via con la saga delle opinioni.

Tra visione sociale e distopia, futurismo e quella vecchia storia che si ripete da quando Caino prese a bastonate Abele, il protagonista, una specie di sfigato e poi ribelle dai buoni sentimenti, prima fugge codardo dal gioco allo stesso modo con cui é scappato dalla sua merdosa realtà e poi, finalmente, decide “coraggiosamente” di affrontarlo al costo della sua vita.

Ma non é forse proprio la fuga dalla realtà, il rifiuto della vita, la forma più estrema di codardia?
Tra scene girate in set squallidi, scale di Escher dai colori pastello, nuvolette mal disegnate sulle pareti e protagonisti dalla recitazione esasperata e patetica, ho spento Netflix. Più per noia che per sconcerto, lasciando i protagonisti in bilico su un ponte a giocare a tiro alla fune, chi cade muore! Che ne sarà di loro? Non lo so e non me ne frega nulla. Per me che s’ammazzino.

Squid Games é una farsa condita da ideologia spiccia in una specie di mondo caricaturale in cui il ribelle, dentro ad un sistema predefinito, non é nient’altro che la migliore delle serve.

La vera ribellione, l’unica ribellione che può scatenare una vera rivoluzione, rivoluzione nel senso astronomico del termine, cioè di ritorno del pianeta alla sua posizione iniziale, consiste nel, appunto, tornare all’origine.

Tornare a quel momento in cui la vita era meraviglia, libera – non liberata! – da falsamente sofisticati, retorici e sterili intellettualismi.

E forse é proprio per ribellione che preferisco uscire a fare una passeggiata con i miei cani in quei luoghi dove so di poter evitare la presenza di un bipede parlante.

Per poi incontrare una ragazzina dai capelli lunghi, con l’apparecchio in bocca in compagnia del suo Bovaro del Bernese che mi saluta per scambiare quattro chiacchiere.

Avendo ancora caldo in bocca il sapore nauseabondo della zuppa di calamaro, le chiedo curioso se a lei piace. Si acciglia, attorciglia le labbra per poi riaprirle. Mi dice che a lei piacciono le cose “normali” come: Ask 101. “Non é niente di che” ammette “Ma é la vita che vorrei”.

Tornato a casa scopro che si tratta di una serie turca, con attori dalle facce normali, a tratti bruttine. Ne guardo qualche puntata e capisco.

Capisco il fascino della normalità, la bellezza di storie semplici e verosimili, personaggi che avremmo potuto essere noi, pieni di contraddizioni e difetti che si incontrano e si scontrano durante lo scorrere delle loro vite.

In fondo anche questa serie non ha nulla di nuovo e sicuramente non la finirò di vedere, ma capisco che quello che voleva la ragazzina per la propria vita é una vita che abbia sapore, abbia colore, abbia attrazione e sensualità, abbia, in definitiva, quella cosetta semplice, minuscola, totalmente in secondo piano oggigiorno perché spazzata da diritti e doveri, non considerata da nessuno come parte del gioco, come fosse solo un vezzo, un’esigenza superficiale e che, dinanzi a tutto quello che stiamo vivendo, sembra quasi illegittimo poter desiderare… ma che é l’unica e vera origine e senso del tutto: l’amore.

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