“Forse sta lì il segreto: è vero che tutto cambia, come l’acqua dei fiumi, che un giorno ride chiara e trasparente, l’altro ringhia nera e vorticosa. Ma è anche vero che le cose, per altra via, resistono e sono dure a morire, di nuovo come l’acqua, che resta sempre lei, e fa sempre lo stesso giro”.
Con il suo nuovo romanzo, Se l’acqua ride (Einaudi), Paolo Malaguti ha scritto una storia leggera e malinconica, l’educazione al mondo di un adolescente, apprendista barcaiolo nel Veneto degli anni sessanta. Ganbeto – questo il soprannome del protagonista – la vita la scopre tutta nell’arco di due estati, navigando sui fiumi a bordo della Teresina, il burchio del nonno Caronte. Sperimenterà così gioie e fatiche, vivrà i primi turbamenti amorosi, e intanto si sentirà crescere dentro un sentimento amaro, l’avvertimento che qualcosa intorno sta cambiando.
In effetti, quella fotografata nel romanzo è una realtà in profonda trasformazione, c’è in atto un mutamento che investe aspetti grandi e piccoli della vita quotidiana. A risentirne è anche il mestiere di famiglia. I trasporti via terra si fanno sempre più diffusi e sempre meno sono quelli che si affidano al fiume per il trasporto merci. Con il lavoro del “barcaro” in crisi, molti, come il padre dello stesso Ganbeto, lo abbandonano a malincuore per andare a lavorare in fabbrica, e quelli che rimangono si adeguano come possono al nuovo che avanza.
L’ultima estate di Ganbeto sul burchio col nonno sarà a tutti gli effetti un viaggio di commiato. Il ragazzino andrà poi apprendista in un’officina, conquisterà una vita in qualche modo più stabile e sicura: una ragazza che lo ama, la Vespa che ha tanto sognato. E però rimarrà il rimpianto per l’avventura, la malinconia per la perdita della vita sul fiume, avvertita da sempre come un richiamo del destino.
Sicuramente è un sentimento tutto mio, ma leggendo ho avuto l’impressione di guardare il mondo di Ganbeto così come mi capita di guardare a certi mondi di fantascienza. Ho dovuto, cioè, accettare di adeguarmi a un universo narrativo che mi è parso lontanissimo, difficile anche solo da pensare. Per riuscirci mi sono fidato delle coordinate di Malaguti, delle sue descrizioni, delle voci che ha messo sulla pagina, e poco per volta, aggiungendo qui un pezzo e lì un altro, sono riuscito a compormi nella testa un mondo che prima non sapevo.
Con questo non intendo dire che si tratti di un libro difficile, anzi, tutto il contrario. Non ci sono complicazioni strutturali o linguistiche, il racconto ha un andare quasi da romanzo d’avventura, e la prosa è sempre pulita e sorvegliata, impreziosita da inserti dialettali che vengono fuori tanto nel parlato dei personaggi quanto nella voce dell’autore. Quello che mi preme sottolineare con le mie impressioni – del tutto personali, ripeto –, è che Malaguti riesce a portare il lettore dentro un tempo appartato e distante, lo immerge in un immaginario poco frequentato e però profondamente nostro.
Ne viene fuori una storia di sconcertante semplicità e bellezza. Una volta riposto il libro resisteranno ancora a lungo nella testa del lettore le voci dei barcaioli, la sorpresa di un improvviso apparire di città all’orizzonte, la malinconia di un amore lasciato per strada, e sopra ogni altra cosa, come un sussurro amico, la voce del fiume che scorre.
Edoardo Zambelli
Recensione al libro Se l’acqua ride di Paolo Malaguti, Einaudi, 2020, pagg. 200, euro 18,50.