Paolo Ruggiero, giornalista pubblicista e fotografo, è al suo esordio in narrativa con La grande stagione, edito da Castelvecchi. Il romanzo racconta in sostanza un passaggio, l’attraversamento di una conradiana linea d’ombra che separa la giovinezza dall’età adulta. Ha per protagonista un (quasi) trentenne friulano, Livio, appassionato di fotografia, che a inizio racconto è a pochi mesi dalla laurea e vive l’ultimo tempo da studente fuori sede a Bologna.
Una vera e propria trama non c’è, si tratta piuttosto di una sequenza di giorni, un inseguirsi ininterrotto di accadimenti minimi nella Bologna universitaria, di incontri erotici, di brevi sortite a casa della madre, in Friuli. Il tutto intervallato dalle ricerche in internet per rinvenire le cause dell’incidente aereo che uccise il padre pilota quando Livio era bambino. Ecco, questi i due grossi centri attorno ai quali si muove il racconto: da una parte il resoconto della quotidianità di Livio, dall’altra la ricerca a ritroso sulla morte del padre.
Il tempo del racconto va poi allargandosi – ogni capitolo corrisponde a un mese, e in totale il libro copre l’arco di un anno e mezzo –, ma lo schema che guida la narrazione rimane identico: quotidianità, erotismo, ricerca.
Finisce il periodo da studente, Livio si laurea, trova lavoro, sempre a Bologna, e accetta poi un trasferimento a Parigi. Il raccontare, come già accennato prima, non è guidato da un’idea di trama forte, non c’è tensione romanzesca. E però questa non è da intendersi come una pecca, semplicemente all’autore interessa altro. Attraverso il meccanismo della ripetizione, con situazioni che si presentano sempre uguali, o comunque tra loro molto simili, piccole variazioni su uno stesso tema, viene a crearsi nel lettore un effetto ipnotico, di totale immersione in uno scenario solo in apparenza statico, in realtà invece smosso da continui piccoli moti interiori. Ed è probabilmente questo l’intento di Ruggiero: fermare la vita del suo protagonista in tante istantanee, che messe l’una dietro l’altra risulteranno poi, alla fine, la testimonianza di un’età di trapasso.
La narrazione è totalmente raccolta attorno a Livio, i personaggi secondari sono poco più che figuranti. Questo vale sia per quelle figure un poco più ricorrenti, come la madre, il fratello e gli amici, sia per quelle di passaggio, soprattutto le donne, siano queste partner di una sola notte o di più incontri. L’intera realtà, l’intero viaggio – perché forse questo è, La grande stagione: un viaggio – è tutto dentro lo sguardo del protagonista, lui e solo lui ne è al centro.
Il romanzo si concluderà poi a K, un’isoletta greca, dove Livio deciderà di andare dopo il brusco licenziamento a Parigi. Lì, finalmente, troverà alcune delle risposte che ha cercato per tanti anni, complice anche un insperato rullino fotografico. L’ultimo scenario del libro rappresenta una chiusura quasi circolare, per Livio, essendo il suo un ritorno in un luogo visitato molti anni prima e mai dimenticato.
Cosa rimane alla fine della lettura? Rimangono le suggestioni di una scrittura nitida, fortemente visiva, capace di illuminare con la giusta la luce e la giusta profondità ogni situazione. I luoghi emergono non solo come semplici sfondi, ma come veri e propri personaggi. Ruggiero è bravissimo a ritrarre prima la seducente Bologna universitaria, poi Parigi e infine, quasi per contrasto con la debordante vitalità delle città, l’isoletta di K. Un luogo quasi desolato, un paesaggio dell’anima, dove anche il lettore potrà attardarsi a cercare le sensazioni di qualcosa di perduto ma inaspettatamente ritrovato.
Edoardo Zambelli
Recensione al libro La grande stagione di Paolo Ruggiero, Castelvecchi, 2020, pagg. 319, euro 19,50.