I giornali sono carta da culo.1
Editorius su Italia Oggi del 23 settembre 2008 lo definì impietosamente “l’Umberto Eco dei poveri”, ma il fondo di verità in questo pizzicotto è che, fatta salva la distinzione qualitativa fra un semiologo (per di più romanziere) e un giornalista, Edmondo Berselli dell’Umberto serbava l’eco di una certa perspicacia. Così il 12 febbraio 2010, tre mesi prima di morire di cancro ai polmoni, nella rubrica televisiva Porte girevoli che teneva su L’Espresso, imbroccò eccome: “Una delle tecniche da talk show inventate dagli spin doctor del centrodestra è semplice e irresistibile: dire sonore bugie. E poi ripeterle. Le bugie sono inconfutabili, anche perché ammutoliscono gli interlocutori; richiederebbero verifiche d’archivio, e in studio non c’è ovviamente né modo né tempo […] ciò che interessa ai protagonisti non è rivelare qualcosa, uno scandalo, una verità nascosta, ma semplicemente far vibrare un elemento emotivo. Poco importa della verità: importa che l’intera audience venga coinvolta in una vera o falsa entità semantica, che metta nella memoria quella dichiarazione, in modo che al momento buono risuoni ancora nell’intelletto […]. Ma la verità ha l’antipatica tendenza a farsi viva a dispetto delle falsità ufficiali”2.
Cercherò ora di fornire una conferma empirica a questa tesi berselliana, partendo da una recensione a Contronatura di Massimiliano Parente apparsa su Il Domenicale del 5 luglio 2008 a firma Davide Brullo: “quando mi aveva annunciato che Bompiani lo avrebbe accolto nella sua scuderia, mi ubriacai di ottimismo: il tuo romanzo è una speranza […]. Ma Massimiliano, languidamente, mi distruggeva, vedrai […] smaniava profetico, cercando di adattare a sé il motto ‘era già tutto previsto’. In effetti, chi ci vide bene fu Angelo Crespi, che in una fragorosa recensione su Liberal, destinata a restare tra le rarissime, il giorno dopo l’uscita ufficiale del libro, caduta il 7 di maggio, sentenziava, ‘il libro si appresta a diventare il caso letterario dell’anno anche se molti non avranno il fegato di parlarne’. Eppure la partenza, come accade sovente, fu a razzo. Due settimane prima dell’uscita del libro, due pagine di un Edmondo Berselli galvanizzato che su L’Espresso ululava: ‘siamo finalmente in presenza di un’opera d’arte fondamentale’”3…
Parente prende la palla al balzo il 15 settembre, scrivendo su Dagospia: “Mi hanno messo in un angolo fin da subito, fin da quando Edmondo Berselli, su L’Espresso, scrisse di sua spontanea volontà una recensione di Contronatura per dire che si trovava ‘finalmente di fronte a un’opera d’arte fondamentale’. Ne rimasi sorpreso anche io perché non conoscevo Berselli e non mi aspettavo niente dalla critica italiana […]. Da parte dell’editore è scattato invece un odio in più, un’emarginazione ulteriore, con buona pace di Berselli e altri che erano anzi sorpresi che uscisse un romanzo indiscutibilmente eversivo, fuori dal coro, per mole strutturale, filosofica, per imponenza stilistica e forza artistica”.
L’anno dopo, su Libero del 17 aprile 2009, Parente ha la brillante idea di candidarsi con Contronatura al Premio Strega (“contro le regole, contro il mio editore che mi ha cacciato per eccesso di intemperanza [?] artistica”) così: “non lo faccio per me, non lo faccio per il denaro, ma perché ho scritto un capolavoro, e non lo affermo categoricamente e con arroganza solo io, lo scrisse con garbo veronesiano anche Edmondo Berselli sull’Espresso (‘è evidente che ogni pagina, anzi ogni riga di questo progetto letterario trasmette l’idea che siamo finalmente in presenza di un’opera d’arte fondamentale’)4.
L’anno dopo ancora, 7 novembre 2009 su Il Giornale (dove nel frattempo era traslocato da Libero seguendo il direttore Vittorio Feltri) Parente rinfresca la saga: “Berselli su L’Espresso scrisse un lungo articolo per dire ‘finalmente l’opera d’arte assoluta’, lasciando ai critici, scrisse, il compito di sviscerarla, ma di critici non se n’è visto neppure mezzo, neppure per stroncarlo”5.
Il 13 aprile 2010, sempre su Il Giornale esce un suo coccodrillo, con in pancia: “La prima cosa che ho pensato quando ho saputo della morte di Edmondo Berselli è ciò che lo legava a me, e cioè il suo aver lanciato il mio ultimo romanzo, sull’Espresso, come ‘l’opera d’arte definitiva’, scrivendone una lunga, appassionata recensione. Letterariamente dopo di me il diluvio, ero d’accordo con lui perfino io che l’ho sempre detto”.
Appena infine uscito per Mondadori il suo L’Inumano, su Il Giornale del 22 marzo 2012 Parente non può non richiamare al lettore “quel Contronatura che Edmondo Berselli, su L’Espresso, non certo un mio amico, definì senza mezzi termini un Meisterwerk, dovendo ammettere, lui che i romanzi li leggeva davvero: ‘siamo finalmente di fronte a un’opera d’arte fondamentale’. Mi dispiace che Berselli, purtroppo morto prima che io potessi conoscerlo personalmente, non possa vedere in quale territorio estremo dell’indicibile io mi sia spinto dopo quel romanzo”6.
E mo la verifica. Come titolare della rubrica di critica televisiva, ogni tanto Berselli su L’Espresso alzava il tiro lasciandosi andare a considerazioni più generali, a qualche spunto teorico, fino a coniare verso la fine del 2007 il lemma “realtà tivuizzata”. E un’intervista fattagli da Paolo Bracaloni su Il Giornale del 23 gennaio 2008 gli dà modo di diffondersi: “La realtà tivuizzata esplode con il dilatarsi dell’offerta televisiva a partire dagli anni 80. L’effetto sulla società italiana è fortissimo. Cambia tutto e la tv ha un ruolo formidabile perché da un lato intercetta il cambiamento e dall’altro lo riflette di nuovo sulla società stessa, con la creazione di un’estetica televisiva che rafforza i comportamenti visti in tv. Per stare dentro la tv ci sono dei codici da rispettare, e questi a poco a poco diventano di uso comune […]. Adesso la tv presenta dei modelli comportamentali secondo cui chiunque può far tutto purché sia presentabile in tv dal punto di vista estetico. Non c’è nessuna dichiarazione di intenti sulle professionalità. Se si vede la tv di fine anni 50 inizio 60 si trova una qualità tecnica e professionale enorme. Questo mi induce a pensare che oggi il riscatto della tv non passi attraverso il servizio pubblico o le trasmissioni culturali, ma da un inserimento di capacità e professionalità anche nei programmi di intrattenimento normali […]. Oggi è molto cambiato il modo di guardare la tv. I programmi vengono ‘agganciati’ per poco e poi si passa ad altro. Quindi, se la tv non si decostruisce è il telespettatore che la smonta per pezzi. La tv generalista è particolarmente arretrata, nel senso che è fatta in modo tale da essere rigida. Se la tv non è flessibile, è uno strumento superato. Noi tutti viviamo in una realtà in cui l’informazione, la musica, l’intrattenimento sono un flusso continuo. […] Il centrifugato diventi centrifugato davvero, non perché mette insieme i modelli e ne fa venire fuori uno solo, ma perché scompone tutto e ognuno si prende quello che vuole. Dobbiamo essere noi a usare la tv e non la tv a usare noi”.
Tre mesi esatti dopo, su L’Espresso Berselli sviluppa il tema in La video tribù prendendo spunto da Contronatura di cui, riassunta in due righe la trama (“si racconta di uno scrittore che vuole diventare un autore tv e che per mettersi in luce combatte la tv”), in altre due riassume la tesi, “una tesi anche eroica, se non si capisce male: vale a dire che la realtà apparentemente contronatura della televisione è l’unica realtà oggi disponibile”. E, trasformatala in ipotesi (“prendiamola per buona, non foss’altro che per utilità pratica”), afferma che essa “contraddice le tesi a cui più o meno ci si era abituati nell’era televisiva precedente. Vale a dire: fra la società nel suo insieme, cioè fra le immense platee televisive ‘implose nella privacy’ (secondo la definizione del filosofo Carlo Galli) e l’universo televisivo conosciuto si è instaurato da tempo, e probabilmente fin dagli albori della tv negli anni 50, un rapporto di interazione, in cui l’una e l’altra, società reale e società televisiva, si rafforzano a vicenda. La televisione legge, o meglio ‘vede’, ciò che si manifesta nella società, se ne appropria e lo enfatizza a dismisura, riproiettandolo sulle comunità che si specchiano nel piccolo schermo, in un processo infinito […]. Ma adesso il paradigma potrebbe essere dimezzato. Esiste soltanto la realtà televisiva. Come nel mito platonico della caverna, le nostre vite sono soltanto pallide ombre gettate dalla luminescenza del plasma televisivo. Il passo avanti è clamoroso, a quanto si direbbe. Secondo questo schema, ogni aspetto della vita reale degrada allora a tenue imitazione della verità. […] Non ci si misura più con ‘competitor’ nella realtà quotidiana: ci si confronta con l’unica realtà consentita, il riverbero di uno studio televisivo. E quindi ci si ritrova davanti a un’estremizzazione parossistica della vita, del gioco, della sessualità, dell’erotismo e del godimento […]. Piccola conseguenza: la realtà così comunicata, anzi, l’idea di normalità così trasmessa è un’esistenza in cui è fisiologico strafarsi di coca, acquistare una pasticca di ecstasy, praticare il sexual harassment come unica forma plausibile di corteggiamento, convocare una partouze con due o tre puttane in quanto modalità sbrigativa e perciò efficiente di gratificazione sessuale. Che poi questa ultrarealtà sia comunicata solo per indizi, o per sintomi e allusioni, non cambia nulla. Basta un minimo di sensibilità cognitiva per decifrare in un programma di intrattenimento per famiglie il contenuto di trasgressione estrema che lo permea, di violenza, di oltraggio, di profanazione. La televisione è il male: solo che questo male è il nostro mondo, l’unico in cui siamo inseriti. Possiamo frantumarlo e consumarlo per detriti, per esempio su YouTube, oppure possiamo sperimentarlo selettivamente, individuando aree di interesse specifiche, con un uso parossistico del telecomando, in un processo di decostruzione continua e proliferante: tuttavia l’ultrarealtà televisiva tracima dallo schermo, e si spande nella vita quotidiana come dato reale”7. Dopidiché Berselli chiude richiamando in altre due righe lo spunto di partenza: “Per questa ragione, l’eccessivo romanzo di Parente non va letto come un esercizio narrativo: piuttosto è una prova di sociologia ultrà”.
Quanto ho qui riassunto, è esattamente quattro quinti dell’articolo; il restante quinto è costituito dal primo capoverso, che intero suona: “Per scrivere 516 pagine di un libro che si intitola Contronatura, e che parla di una sovrarealtà, o di una ultrarealtà, che assomiglia alla realtà o eguaglia la metarealtà televisiva, bisogna essere convinti di avere nelle proprie corde la qualità essenziale del capolavoro. Massimiliano Parente ha scritto il voluminoso romanzo che Bompiani manda in libreria a maggio, ed è evidente che ogni pagina, e anzi ogni riga di questo progetto letterario, di un autore 38enne, trasmette l’idea che siamo finalmente in presenza di un’opera d’arte fondamentale, un colossale Meisterwerk che guarda alle grandi avanguardie dei decenni centrali del 900 e a esse si richiama, programmaticamente: nella fluvialità, nell’andamento, nel ritmo, nella perdita del centro e forse anche dell’io, sottoposto alle ingiurie dello zapping. Come dichiara l’autore, ‘trattandosi di opera d’arte e non di prodotto giornalistico o d’intrattenimento narrativo’, non vale la pena di trattarlo come un semplice romanzo a chiave, e cercare di decifrare chi sia Naike Porcella, o Mayara Vita, o Scarlett, o Madame Medusa, o una qualsiasi delle figurazioni che compaiono nel libro, compreso il ‘Parente’ che si sovrappone feticisticamente e con deliberati effetti narcisistici all’autore del romanzo. Sicché, data la mole e l’ambizione, occorreranno letture approfondite e analisi criticamente avvertite per definire lo spessore culturale e letterario di questa prova narrativa”.
Se si confrontano i brani in verde di Berselli con quelli in rosso di Parente (e Brullo), sembrerebbe pleonastico rimarcare la differenza essenziale. Siccome però non è così, almeno a considerare i direttori editoriali che lo pubblicano e i lettori che lo comprano, più saggio esplicitare. E dunque: ciò che il primo espone in forma dubitativa e come giudizio su se stesso del secondo8, viene preso dal secondo come giudizio categorico del primo su lui medesimo. Con gli effetti aberranti che, questi sì, lascio dedurre agli uomini di buona volontà. Amen.
P.S. Come notificato da Brullo, di “analisi criticamente avvertite” non si vide l’ombra, finché l’altroieri sul Corriere della sera un critico ha raccolto l’appello recensendo il nuovissimo romanzo mondadoriano di Parente Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler – solo che ahimè è un critico televisivo, il McLuhan de noantri Aldo Grasso: “Di Parente, anni fa, avevo letto con grande sorpresa Contronatura: il tema era molto affascinante, raccontava la storia di uno scrittore in cerca di fama in una società dominata dalla televisione. Volevo scrivere qualcosa ma mi sono fermato quando ho letto una recensione di Edmondo Berselli su L’Espresso. Non avrei potuto scrivere di meglio. Conservo ancora il ritaglio di giornale: ‘Contronatura propone una tesi, e una tesi anche eroica, se non si capisce male: vale a dire ecc. ecc.’. Dopodiché un po’ di trama, più in chiusa un po’ di aggettivi (“feroce ed esilarante, iconoclasta, inscindibile dal suo autore”), e l’articolo è fatto. Solo che siamo al punto di prima, con sei anni in più sul groppone.
NOTE
1 Andrea Borso (Cartigliano, 26 febbraio 1923 – Cartigliano, 13 dicembre 2000).
2 Illuminante l’esempio addotto: “all’Infedele di Gad Lerner una giovane esponente del Pdl, Francesca Pascale, consigliere provinciale a Napoli dopo una carriera in televisioni locali, ha aperto il suo discorso accusando esplicitamente Rosa Russo Jervolino di avere compiuto brogli alle elezioni comunali di Napoli. Qualche voce si è levata a contestare questa affermazione, priva di ogni prova, Lerner ha puntualizzato, ma dopo qualche minuto la discussione ha naturalmente cambiato segno […]. L’equazione Jervolino uguale brogli. Vera, falsa, mah. Per dire, circola un video della consigliera Pascale in cui quattro ragazze in costume cantano ‘Se abbassi la mutanda si alza l’auditelle’ […]. A proposito, basta ascoltare due o tre esponenti del Pdl per accorgersi che le bugie sono pianificate e costruite con perfetta sapienza”.
3 Crespi e Brullo, rispettivamente direttore e redattore de Il Domenicale, il 3 maggio 2008 avevano dedicato prima pagina più due interne al parto del collega. Uno: “Non comprate il libro. Se proprio lo comprerete per moda, non leggetelo. E se davvero lo avrete letto e non vogliate buttarlo, nascondetelo nello scaffale più basso della libreria. Se ci fosse ancora l’Indice, Contronatura di Massimiliano Parente sarebbe all’Indice. […] Un libro così non si vedeva da anni; è possibile che venga frainteso, possibile che non abbia successo, ma ciò non conta. D’ora in avanti non si potrà fare a meno di confrontarsi con la pietra miliare degli inferi”. Due: “La scrittura afferma, non mendica né ammette interlocutori; il genio è inaccettabile, sfibra e sfinisce, ci diciamo queste cose, a volte, io e Massimiliano, perché reciprocamente ci sentiamo unici e soli, così incomparabili. Mio unico contemporaneo, mi scrive Massimiliano, e io, battezzando il suo ultimo libro, ho pensato al sigillo: lo scrittore più scandaloso dai tempi di Charles Darwin. […] Credete, ne avrete per il prossimo millennio. Il vostro cervello si smarrirà, spappolandosi, in questi vortici, da cui la via d’uscita è l’estasi estetica o il suicidio. […] Il libro di Parente non cambierà il mondo, ma probabilmente lo distruggerà per sempre”.
4 M. Onofri su La Nuova Sardegna del 20 aprile menziona l’articolo del “sempre più patologico Massimiliano Parente”, tanto da avanzare “la propria candidatura in quanto autore – come ripete da sempre: e glielo fanno pure scrivere – d’‘un capolavoro’, affermazione non solo sua, ci ricorda zelante, ma anche di Edmondo Berselli, il quale – com’è noto a tutti noi – è il più grande critico letterario italiano”. Imperterrito, Parente su Libero del 25 aprile si storicizza addirittura: “mi autocandidavo io, con un libero intervento su Libero, stavolta per paradosso vero, perché figurati se candidano e premiano un capolavoro, perché più fuori dai giochi di me ci sono solo i grandi scrittori morti, i classici, Proust, Flaubert, Kafka, e giù di lì”.
5 Il brano è ripreso uguale in La casta dei radical-chic (Newton Compton 2010, p. 180), pamphlet lanciato dalla citazione: “‘Con l’ambizioso Contronatura siamo finalmente in presenza di un’opera d’arte fondamentale.’ Edmondo Berselli, L’Espresso”.
6 Giorni prima in rete, a A. Prudenzano di Affari Italiani aveva dichiarato: “Sulle mie opere hanno scritto in tanti, Edmondo Berselli quando lesse Contronatura capì di trovarsi di fronte a ‘l’opera d’arte definitiva’”, e a L. Zambelli di Mangialibri: “Berselli non aveva fatto in tempo a rimanerne sbalordito definendolo ‘un’opera d’arte fondamentale’ che dopo appena un mese fu definitivamente ritirato, e poi tenuto in ostaggio”. (La direttrice editoriale della Bompiani E. Sgarbi, da me interpellata, ha smentito.)
7 Berselli riprenderà questi spunti su La Repubblica dell’11 febbraio 2009, dove commenta la sostituzione di una puntata del talk show Matrix dedicata alla morte di E. Englaro con una puntata del reality show Il grande fratello: “per la prima volta, con un colpo a sorpresa, la realtà virtuale sostituisce la realtà effettuale […] ad un tratto la rete ammiraglia della flotta televisiva di Silvio decide di abrogare la realtà, e di rifilare ai telespettatori la finzione […]. Il mondo si smaterializza, si dissolve, scompare. […] Ciò che sbalordisce è la logica radicalmente autoreferenziale di questo processo. La televisione mostra soltanto se stessa. […] Ma se esistono gli ipnotizzati, vuol dire che c’è un ipnotista. C’è un Grande Fratello, non il reality show, che vuole davanti a sé quelle che il filosofo Carlo Galli definì ‘immense platee implose nella privacy’, quindi aliene da ogni impegno o discorso collettivo”.
8 L’autoelogio, una costante nel Parente giornalista, lo è pure nel romanziere, e Contronatura, anche a stare alle prime 50 pp., pullula di brani tipo: “non è detto, miei posteri, che voi non siate più coglioni dei qui presenti miei contemporanei, e fate attenzione: io non sarò come Kierkegaard e tanti cosiddetti giulivi esistenzialisti dei miei coglioni” (p. 11); “la mia opera mi è talmente superiore che può fregarsene di quello che faccio io oggi” (p. 23); “nell’infinità del tempo, i miei veri lettori privilegiati sono teoricamente infiniti […] uno scrittore nasce per vivere in un cosmo dove tutto muore secondo natura, e per divenire immortale nasce già morto, ribellandosi all’imperativo di dover essere vivo perché sembra naturale esserlo. Ecco perché, per citarne uno a caso, Massimiliano Parente è nato il 12 ottobre 1970 e è morto il 12 ottobre 1970. Questo ci sarà scritto sulla mia lapide oltre alla mia bibliografia” (p. 26); sul suo La Macinatrice: “uno dei romanzi più importanti della letteratura occidentale di tutti i tempi, e frainteso, come ogni romanzo capitale, sia dai fautori che dai detrattori”, (p. 44); “i miei romanzi devono durare secoli, non sei mesi […] . Se tutti fanno giornalismo applicato, a me va peggio ma anche meglio: la letteratura sono io. […] Sono talmente estenuato da sentirmi come l’ultimo barlume di coscienza dell’Homo Sapiens […] da millenni l’uomo aspettava un simile evento, un simile sguardo, e sono arrivato giusto in tempo” (p. 49); “Freud o Marx, Platone o Agostino di Ippona sono troppo provinciali per lo scrittore che verrà e continuerà a venire solo grazie all’impulso biologico di un’eiaculazione fuori tempo massimo” (p. 51).