Non compare in nessunissima bibliografia parisiana, mai citato da nessuno, eppure l’ho scovato. Sul modo, dico solo che la soddisfazione è pari alla fatica. S’intitola Visita al Bambolo, e uscì il 15 ottobre 1953 sul “Giovedì”, settimanale di fatti e di idee diretto da Giancarlo Vigorelli1.
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Mr. Truman Capote soggiorna a Taormina2, Capri, Ischia3, Ravello4, Portofino5 e qualche volta viene a fare chissà cosa a Roma6. Arriva dalle incubatrici di geni in America, su nave o gondola incantata? Si chiama Truman come l’ex-presidente e Capote come che cosa?
Lo si vede su molti giornali, alle volte con la camicia fuori, e un grosso bulldog a fianco. Dicono che a Parigi usasse portare sotto il braccio un pechinese bianco a ciuffi neri in parti delicate7. Forse ora scriverà con languore dei miserabili interessanti di Napoli oppure qualcosa di magico sul bandito Giuliano8?
L’ho visto due anni fa. Dalla fessura della porta in albergo ho visto una specie di bambino seminudo in un letto matrimoniale che faceva cenni stizziti al lift. Nella camera si udiva una grossa voce di uomo9. L’albergo era a Venezia10 e le finestre guardavano la laguna. Scesi giù e aspettandolo guardai le finestre dal di sotto: uno specchio rifletteva la stessa immagine e degli occhiali cerchiati di tartaruga. Poi lo specchio si mosse e non vidi più niente. Lo vidi quando venne giù e poi quando ci trovammo in piazza S. Marco alle undici del giorno seguente.
– Sì, prego? – dice.
– Prego – dico.
Con dei cenni, muovendo le mani e ancheggiando mi dice che non vuole sedersi al Florian; vuole a tutti i costi andare all’Harry’s Bar dove fanno il migliore latte bollito del mondo. Con entusiasmo gli racconto dei latte bolliti di casa mia o di un “Bar all’Abbondanza” di un paese qualunque.
Gli porgo il pacchetto di sigarette quando siamo seduti. Le mie sono Philip Morris. Non le prende. Come se dicesse: – Oh no, sono terribili, terribili, prego. – Tira fuori un pacchetto di Chesterfield, ne prende una e l’accende avvicinando il fiammifero appena strofinato. I suoi sorrisi sono incantevoli. Il latte bollito viene ordinato misurando il bicchiere con le dita e girando il capo.
– Moravia? Oh brutto, brrr…
Svevo invece lo adora, e Verga. E poi? – Spero in qualche altra adorazione.
– Hemingway? Brutale, troppa realtà, è terribile.
All’angolo del labbro inferiore, Mr. Capote, hai un poretto come un fiore, un minuscolo garofano che cresce, Mr. Capote. Sta attento, caro, se non lo fai bruciare ti crescerà. Spunta dall’interno del labbro, sembra venire da dentro la bocca, dall’organismo o dal cervello. Non è affatto terribile. È una cosa affascinante. Sono i suoi libri11, i suoi personaggi. Ma i sandali di Mr. Capote non sono d’argento. Non riesco a liberarmi dal fiorellino di carne nella bocca. Mr. Capote, io sono innamorato, affascinato, perduto, non vivo più, ora, Mr. Capote, senza il tuo fiorellino di carne. O cosa non farebbero molti per avere quel piccolo affare. Ti porta fortuna Mr. Capote? Il mio sguardo è pieno d’amore, veramente sono perduto in lui e la rivelazione di lui, dei libri, dei soldi, di Portofino, del non voler vedere la realtà si strugge e si riassume tutta in quel poretto. È arbitrario. Vorrei esser perdonato, se arbitrario, ma io non posso dire di non averlo amato, ammirato, goduto come il primo della classe in terza elementare. Costui era figlio della Lupa e aveva la croce al merito.
– Dostojewskij? Ora… finito, ho superato Dostojewskij, lontano, molto lontano. Proust meraviglioso.
Ma che cosa interessa a me se Mr. Capote ha superato Dostojewskij o se gli piace Proust e che so io, io non voglio saper niente di tutto ciò. Vorrei chiedergli:
– Perché è così carino Mr. Capote? – Domanda sciocca eh? Ih! Ih! – e diventare sciocchissimo per lui.
Perché qualcuno non si occupa a vestirlo? Mr. Capote dovrebbe indossare abiti di raso, di broccato e un parrucchino; un gilè color pesca a fiori. Perché non lo posso ammirare a fianco di Luigi XIV con un levriere bianco col muso all’altezza delle sue spalle, piccolo pensante geniale e vivo? Carpaccio ha dipinto cani di quel genere vicino a donne di poco buon costume. Un cane così, dico.
Nessuno veste così per me Mr. Capote?
I suoi compaesani critici hanno parlato di lui come di un nuovo Poe. Anche il suo stupore è bello, oh come è bello il tuo stupore Mr. Capote!
– Poe scriveva delle fantasie, delle cose impossibili; non voglio io, non voglio. Non realtà e non favole. Gli uomini vivono in un succedersi di momenti, ognuno di essi ha una vita e un carattere proprio. Io voglio questi momenti, cerco di possederli. Trovo che solo questi hanno una faccia, una fisionomia… Non mi interessano i rapporti tra masse di individui. Solo gli individui. Che cosa sono le masse per me?
Mr. Capote io non la seguo. Io voglio lei, Mr. Capote, con tutto il rispetto e l’ammirazione come scrittore io voglio lei, uomo. Mr. Capote, vestito come dicevo prima sa? Ai piedi del trono di Luigi XIV con il levriere bianco. Poi lo voglio con le ali delle sue grandi farfalle bianche o iridate a Portofino e a Ischia e non in piccoli ristoranti, in modeste camerette, e non a credere di capire nei salottini, da un divanetto all’altro in consumate carezze di psicoanalisti, che in Italia c’è stata una guerra brutta e reale. Come si potrebbe dir bene in inglese: – Mr. Capote c’erano uomini a pezzetti nelle strade e una grande paura nei rifugi alla notte e anche molta fame e tedeschi sculettanti col dio nella cintura12. Esisterebbe una traduzione per Mr. Capote? Prendiamo invece una bella cartolina lucida, a colori, qualche curiosità locale e allora Mr. Capote si alzerà dal divanetto. Avremo uno dei suoi sorrisi di bambolo.
Vorrei pagare le consumazioni da Harry’s, ma lui non mi lascia. Ha il suo conto. Uscendo egli mi tiene aperta la porticina. Vede il mio cappello di paglia che tiro fuori dalla tasca piegato in quattro, lo prende in mano, lo svolge e se lo mette in testa come un grande fazzoletto rigido.
– Gide a Taormina aveva un cappello così13.
– Me ne compiaccio Mr. Capote, me ne compiaccio. Modestamente…
– E poi un mantello nero, pareva una grande vecchia.
I suoi occhi a mandorla, azzurrini, a pieghette intorno, si spalancano. Mi fa vedere come camminava Gide a Taormina e come si stagliava contro un muro bianco.
– Conosceva eh? Gide, Mr. Capote, lo conosceva eh?
– C’era un grande scrittore inglese che abitava molti anni fa a Venezia e che si faceva chiamare Baron Corvo14. Era frate, ha buttata via la tonaca ed è venuto a fare il gondoliere a Venezia. Ha scritto un grande romanzo su Venezia15. Oh, molto bello, meraviglioso.
– Da frate a gondoliere il passo non è breve. Non me ne compiaccio Mr. Capote, stavolta devo dire che è stata una birichinata. Ma gli scrittori, che esseri stravaganti eh?
Attenzione: Uno, due, tre, ora cammina soprapensiero, Mr. Capote è assorto in una specie di intimo compiacimento fatto di gesti ondulati, così affascinanti e morbidi come i fiori, le piante, i pesci rossi. Cammina su una fune o su una bava di ragno Mr. Capote?
– Permette? oh! prego, io ho un appuntamento.
La sua voce Mr. Capote mi ipnotizza; permetta, devo fare attenzione. Sembra venire da un’altra stanza, non della stessa casa. Questo è importante. Non della stessa casa. Sembra di udirla durante il sonno. Nessuno parla in casa, la voce è in un’altra stanza, in un altro appartamento, ignoto, mai visto.
Mr. Capote, è mai stato sui castelli romani il lunedì di Pasqua?
In Italia, a proposito di masse di individui, esiste una densità di popolazione di circa 200 abitanti per chilometro quadrato. Molto minore il numero degli psicoanalisti e dei cacciatori subacquei.
Che dire? Innanzitutto: Parise attua una specie di smarcamento persin crudele dal suo interlocutore. Il modulo è quello della complicità derisoria con l’effemminato, collaudato in anni di frequentazione del bar Lanza, Vicenza centro storico, con la sua fauna di «checche magiche»16. A un livello più letterario, il filtro attraverso cui Parise vede e descrive Capote è quello del travestito Antoine Zeno del Ragazzo morto e le comete17. A livello ideologico infine, Parise critica la vacuità dell’americano, sbattendogli in faccia pezzi crudi di realtà: l’occupazione tedesca di fine guerra, la sovrappopolazione del dopoguerra…
E il movente di questa strategia di smarcamento? Ipotizzo: la troppa vicinanza a Capote, avvertita da Parise stesso come un punto debole. Il ragazzo morto, stampato in poche copie da un editore di provincia, non aveva raggiunto il pubblico né la critica, ma La grande vacanza, stampato ancora da Neri Pozza pochi mesi prima di Visita al bambolo, già muoveva le acque, e l’ombra di Capote con esso. Quasi presagendo, Parise si smarca – e neanche a farlo apposta: sul “Corriere della sera” del 14 novembre 1953 Eugenio Montale segnala «un’aura stranamente prossima a quella che ha dato a un altro giovanissimo scrittore – l’americano Truman Capote – il suo quarto d’ora, ancora non trascorso, di celebrità. Qua e là pare addirittura che lo stile sfiori l’incertezza di certe traduzioni». Peggio, sulla “Fiera letteraria” del 18 luglio 1954 Vigorelli stesso imputa a Parise l’«aver cercato di nascondere di non aver ingoiato il rospo Truman Capote, che è l’idoletto odioamato del suo secondo libro, La grande vacanza». Finché sul “Corriere” del 30 ottobre 1954 Emilio Cecchi rimette le cose definitivamente a posto: «Leggendo, mi veniva in mente Altre voci, altre stanze di quell’altro giovanissimo allucinato: Truman Capote. Altre voci era stato tradotto nel 1949. Io non pensavo tuttavia a nessun diretto rapporto di derivazione. Pensavo piuttosto che, come dopo l’inflazione neorealistica, in America, il gusto simbolista, con Capote, era rientrato dalla finestra, qualcosa di simile sembrava che stesse accadendo in Italia con Il ragazzo morto e le comete».
E Parise? Tacerà per molto, fin quando il cadavere non gli sarà passato davanti:«Abbiamo visto molte “glorie”, italiane e non, ma soprattutto americane (il caso più clamoroso è Truman Capote in letteratura) disperdersi nella disperazione quasi grottesca del nulla» (“Corriere” dell’8 ottobre 1982) – salvo aggiungere:«Ma restano sempre intatte le sue voices, le sue rooms, le sue costruzioni stilistiche del colore della rosa»(“Corriere” del 2 gennaio 1983).
P.S. Mi accorgo di avere evaso la domanda del titolo: avvenne o no realmente l’incontro veneziano? Chiedo un ulteriore supplemento d’indagine, ossia una terza e ultima puntata, spero definitiva.
NOTE
1Durò un anno esatto, il numero dopo sarebbe stato l’ultimo.
2 Da aprile 1950 a inizio giugno 1951, e da maggio a settembre 1952. Desumo qui come oltre da Gerald Clarcke, Truman Capote (1988), tr. di L. Schenoni, Frassinelli, Milano 1989.
3 Nella primavera 1949, con puntatina a Capri.
4 Nel febbraio-marzo 1953.
5 Nel maggio-settembre 1953. Da lì raggiunge a inizio ottobre i Chaplin in Svizzera.
6 Di passaggio in giugno 1951, e nell’ottobre 1952-gennaio 1953.
7 Si chiamava Manchester, donato a Tangeri, fine settembre 1949, da Jane Bowles a Capote in partenza per Parigi.
8 Salvatore Giuliano era stato ucciso il 5 luglio 1950.
9 Jack Dunphy, compagno fisso di Capote dal 1948.
10 Capote vi soggiornò nella seconda metà di giugno 1951 (c’era già stato a fine 1950 coi genitori).
11 Dei tre fino ad allora pubblicati da Capote, Parise conosceva i primi due, Altre voci, altre stanze e Un albero di notte, pubblicati da Garzanti nel 1949-50 (tr. di B. Tasso) a un anno di distanza dall’edizione originale.
12Gott mit uns stava scritto a sbalzo nella fibbia dei soldati della Wehrmacht.
13André Gide soggiornò ottantenne a Taormina nell’aprile-settembre 1950.
14Frederick W. Rolfe (1860–1913), convertitosi al cattolicesimo, entrato e uscito da un seminario romano, soggiornò a Venezia nei suoi ultimi anni, spesi a caccia di soldi e di fanciulli.
15The desire and the pursuit of the whole: a romance of modern Venice, uscito postumo nel 1934.
16 Su ciò cfr. Pino Dato, Vicentinità, Dedalus, Creazzo 2007.
17 Uscito pochi mesi prima dell’incontro, contiene un excursus parigino camp dove l’addobbo di Antoine è giusto quello immaginato per Capote.