Sulla genesi del punk, nonostante sia ormai trascorso quasi mezzo secolo da quando la fiammata originale divampò cambiando per sempre la storia della musica e del costume, si continua a discutere. Ci si continua ad appassionare, anzi, ‘ché la portata del fenomeno, per quanto ideologicamente disinnescata dal tempo (ma è davvero così?), fu talmente dirompente e palingenetica, da continuare a conquistare alla “causa” un numero sempre cospicuo di adepti e nelle vesti più varie. Tra di loro, come si conviene, ci sono anche degli studiosi, alcuni dei quali, all’epoca dei fatti che si stanno evocando (dalla seconda metà del 1976 alla fine del 1977, grossomodo) o non erano nati o erano troppo giovani per essere testimoni oculari delle vicende che furono.
È il caso di Paul Marko, autore di questo “The Roxy London WC2” (Hellnation libri, 2023, pp. 563, € 34), monumentale trattato (perché di questo, in fondo, si tratta) dedicato al locale in cui la scena inglese vide la luce e che arriva finalmente in Italia dopo ben sedici anni di attesa. Da sempre impegnato a “diffondere il Verbo” con il celebre sito internet www.punk77.co.uk, con un impressionante lavoro sulle fonti e grazie ad una commovente collazione di testimonianze di chi del defunto club di Covent Garden in quel breve periodo fu frequentatore assiduo a “vario titolo”, ha dato vita ad un lavoro che, per chi vi scrive, ha un’importanza nell’ambito bibliografico di riferimento paragonabile a due testi sacri come “England’s Dreaming” di John Savage e “Please kill Me” di Legs McNeil e Gillian McCain. Ma ha, soprattutto, un merito di inestimabile valore: quello di aver sviluppato un focus monografico su un luogo che, per quanto ben noto a tutti gli appassionati ed “intenditori” di punk e non solo, non era ancora stato, perlomeno dalle nostre parti, accuratamente indagato nella sua fondamentale e fondante importanza.
Ecco dunque che tutta una serie di convinzioni ormai stratificate sul punk vengono prepotentemente e incontestabilmente messe in discussione, ridisegnando e riparametrando la storia del movimento e facendo venire meno tutta una serie di “assiomi” che certa vulgata giornalistica e paragiornalistica aveva contribuito ad edificare. Ed ecco che tutta una serie di personaggi i cui nomi potevano echeggiare nella conoscenza (e nella coscienza, verrebbe da aggiungere) di pochi specialisti, d’un tratto assumono la statura che meritano e che, sia detto a voce forte, sempre avrebbero meritato di avere. Su tutti, quella dei primi gestori-creatori del Roxy, Andy Czezowski, Barry Jones e la fidanzata del primo Susan Carrington, che trasformarono un ritrovo di bevitori notturni e gay più o meno dichiarati (non dimentichiamoci i “prudori vittoriani” della Londra del 1976, tra l’altro), il Chaguaramas, nel primo live club pronto ad ospitare gli sgangherati concerti di quell’esiguo manipolo di giovani che da pochi mesi si preparavano a far saltare per aria il mondo del rock e un’infinita serie di consuetudini comportamentali spaziando dal “dress code” al contegno in pubblico da mantenere. Il racconto dei fatidici cento giorni e poco più della loro gestione (dal 14 aprile 1976 al 23 aprile 1977) vi terrà incollati alle pagine di questa “bibbia”, facendovi familiarizzare -nel vero senso della parola- non soltanto con i primissimi Clash, Generation X, Siouxsie and The Banshees, The Damned e tanti altri alfieri della prima ondata punk inglese, ma anche con i normali avventori del Roxy, che, da un giorno all’altro, si trasformavano loro stessi in future icone (bastano come esempio Sid Vicious e Shane MacGowan?) in un vorticoso incedere di cambiamenti, sorprese e veri e propri colpi di scena.
L’epicità di questa specie di prima parte del libro nulla toglie, comunque, a quella che potremmo considerare idealmente la sua seconda e ultima, quella cioè che si riferisce alla gestione successiva del Roxy da parte del pittoresco e pericoloso gangster Kevin St. John, durata un altro anno, fino alla fine di aprile del 1978, ed anch’essa caratterizzata da eventi e risvolti a dir poco picareschi e meritevoli di essere goduti, prima ancora che conosciuti.
Come era giusto che fosse per il tipo di opera, questo “The Roxy London WC2” si fregia poi di un apparato fotografico a dir poco entusiasmante, presentandosi così al lettore come una riuscitissima incursione narrativa e visiva non soltanto nel mondo di una sottocultura in grado di scatenare una rivoluzione su scala mondiale, ma anche in una affascinate ricognizione su una città unica, Londra, che non esiste più e, oltre, su una quotidianità fatta di interscambio, coraggio e incoscienza della quale si ha davvero una gran nostalgia. Ad aumentarne se possibile ulteriormente il valore contribuiscono infine la prefazione di un (anti)eroe dei tempi come Timothy “T.V.” Smith, cantante dei seminali The Adverts, che proprio cominciando a suonare al Roxy costruirono la loro fama, e la traduzione di Glëzos Alberganti, tra le figure di riferimento del punk italiano.
Dite che può bastare per precipitarvi a reperirne una copia?
Lo amerete, senza alcun dubbio!