A dar retta alle varie dichiarazioni rilasciate da Paul Stanley in questi ultimi giorni in seguito al concerto del Madison Square Garden del 2 dicembre scorso, l’avventura dei Kiss, perlomeno da un punto di vista fisico, si è definitivamente conclusa dopo mezzo secolo e dopo un infinito tour d’addio chiamato The End of the Road World Tour, cominciato nell’ormai lontano 2019. D’ora in avanti, al posto dei quattro musicisti (al netto dei vari cambi di line up intervenuti nel tempo) che hanno furoreggiato per lustri negli stadi e nelle arene, i fan più incalliti dovranno accontentarsi, pare, di avatar sostitutivi che, come orgogliosamente sottolineato dal cantante-chitarrista newyorchese, provvederanno ad eternare il mito della formazione mascherata più amata di sempre.
Eppure leggendo l’edizione aggiornata di “Dietro la maschera. La mia vita dentro e oltre la musica”, scritta da Stanley stesso e tradotta da Barbara Caserta (Tsunami Edizioni, 2023, pp. 412+16 a colori, € 24), il primo pensiero a venire in mente è che, parafrasando un celebre aforisma di Mick Jagger, dai Kiss si possa davvero uscire “solo messi dentro una bara” (dichiarazione di intenti alla quale, tra l’altro, Jagger e soci stanno tenendo piena fede, visto che, all’alba delle ottanta primavere, sono sempre, gagliardamente in sella): pochi sodalizi a sette note, infatti, nel corso della loro esistenza sono stati sostenuti da una volontà e da un’ambizione così sfrenate, tali da tenerli sempre in qualche modo in piedi, anche sull’orlo di vari brutti precipizi sui quali si sono trovati a traballare. In queste pagine, l’appassionato racconto di una scalata partita dal nulla e risoltasi in un’epopea da oltre cento milioni di dischi e ininterrotte cavalcate sul palco lascerebbe pensare che l’energico “Starchild” forse ci stia prendendo per il naso anche stavolta e che, nel 2024, vedremo i Kiss tornare per l’ennesima volta sui palchi di ogni dove, pronti a dispensare fuoco e fiamme (e chi ha avuto la ventura di vedere almeno una loro esibizione in presenza, sa bene che non esiste altro gruppo al quale questa metafora “pirica” possa calzare meglio).
Comunque, in attesa di sapere cosa ci riserverà davvero nel futuro prossimo il combo di “Love Gun”, “Detroit Rock City” e decine di altre hits, il consiglio è di non lasciarsi sfuggire questa rivisitazione della sua autobiografia. Non tanto per approfondire la vicenda artistica e umana dei Kiss, sulla quale, tra pubblicazioni precedenti e infinite curiosità sparse in Rete, si sa già tanto, quanto per sollevare il velo sul “personaggio” Paul Stanley e guardarlo per l’uomo che è ed è stato: al netto, infatti, della solita grandeur che ammanta le biografie delle rockstar più celebrate, questo libro ha il pregio di farci entrare, e fin dalla prima pagina, nelle zone d’ombra più buie della sua persona. A partire dal piglio deciso con il quale l’autore affronta un handicap ben poco usuale per un musicista della sua fama, vale a dire la mancanza genetica di un condotto uditivo, che, fin dalla nascita, lo ha condannato ad una parziale sordità oltre ad averlo reso vittima di una innumerevole serie di episodi di bullismo, dei quali, a distanza di tanti anni e dopo l’impressionante successo ottenuto, porta ancora le ferite. Dalla rivelazione scritta del problema (aveva già parlato del problema in alcune interviste del 2011 e dintorni), il songwriter di origine ebraica prende poi le mosse per affrontare senza troppe circonlocuzioni anche gli enormi disagi psicologici che la suddetta malformazione gli ha provocato per anni, la quale, unita a un rapporto problematico con i genitori e con la sorella bipolare, lo ha spinto fin da giovanissimo a far ricorso alla psicoterapia per trovare una sua dimensione interiore accettabile (un percorso, questo, che, come leggerete, lo accompagnerà anche una volta diventato il “supereroe” che tutti noi appassionati conosciamo). Sempre a proposito di mancanza di peli sulla lingua, vale la pena anche evidenziare la ruvidezza con la quale Stanley affronta le evoluzioni del rapporto con il suo partner musicale e, sì, d’affari Gene Simmons, al suo fianco fin dai tempi dei Wicked Lester, a cui spesso non risparmia velenose frecciate pur considerandolo, e visceralmente, il fratello che non ha mai avuto. Un sentimento che ben differisce dal veleno riversato invece sugli altri due Kiss originali, Ace Frehley e Peter Criss, costanti bersagli dei suoi strali e continuamente ripresi tanto da un punto di vista umano che artistico.
Nel resoconto (parola che non deve suonare fredda visto che il libro abbonda di numeri e, più in generale, di “quantificazioni” varie) di una esistenza come la sua, non possono poi mancare delle descrizioni piuttosto esaurienti dedicate alle sue attività parallele alla band, in particolar modo la pittura (una passione che lo porterà a realizzare diverse tele e a venderle per milioni di dollari) e la partecipazione al musical “Il Fantasma dell’Opera”, che lo ha visto cimentarsi con profitto e per diverso tempo in uno dei ruoli di teatro musicale più amati di sempre. Esperienze che danno un’idea ancor più chiara, semmai ce ne fosse bisogno, di quanta forza e quanta capacità di saper sempre sognare ad occhi aperti abbiano accompagnato il classico ragazzino sfigato di periferia, in grado di prendersi, un pezzo la volta, delle clamorose rivincite con la vita e contro un destino che poteva sembrare segnato.
E dunque, pur non volendo trasformare questa pubblicazione in chissà quale indispensabile “manuale di sopravvivenza”, si può tranquillamente affermare che, nondimeno, costituisca una lettura piacevole e in grado di regalare qualche pregevole spunto per chi si sente un po’ giù.
Dategli una chance!