La figurante di Pauline Klein (Carbonio Editore, 2021 pp. 136 € 14.00) è un libro seducente in cui lo scalpore suggestivo vive tra le pagine e decifra una profonda emozione silenziosa, un’illusoria pigrizia esistenziale, una solitudine introversa, appartata, inquieta. L’autrice descrive con accurata e disincantata intelligenza l’essenza dei ruoli sociali, interpretando una riflessione dettagliata tra essere e apparenza, intorno all’oscurità del giudizio. Comprende l’unità della personalità, la capacità di reinventare una difesa inconsapevole, lo strumento utile per adattarsi alle circostanze. Pauline Klein osserva, come una comparsa, da dietro le quinte, in secondo piano, il meccanismo del mondo e il suo sguardo si ferma pungente e perspicace sull’ambiguità dei rapporti umani, esaminando con attenzione la verità e la finzione, scrutando la complicità enigmatica dell’amore e la sfuggente insidia del sesso. Racconta il carattere allegorico della protagonista Camille Tazieff affidando alla sincerità e alla lucidità la finalità della sua parte di spettatrice che assiste, senza intervenire direttamente agli eventi della vita. Il racconto, nella comunicazione privilegiata dell’empatia, affronta il margine della svolta, delle scelte nella vita, il teatrale distacco generato dall’interpretazione di un ruolo, adattando le aspettative degli altri in un gioco riflesso nei confronti della protagonista, confondendo l’impronta del proprio destino. Seguendo le tracce di una resistenza oltre il conformismo degli schemi sociali, la protagonista si sottrae alle definizioni imposte e si imbatte in un itinerario libero, inoltrando nella consapevolezza dell’erotismo il suo eccitante espediente per smascherare la miseria sessuale degli uomini e delle loro segrete provocazioni. Il sarcasmo deciso e diretto del linguaggio permette di valutare con ironia la reciprocità dei desideri intimi e le aspirazioni umane concentrando l’intenzione dell’identità simulata nel travestimento di sentimenti e nella funzione dei copioni, convenienti e moralmente adeguati. La destinazione delle maschere interpretative consegna un artificio vizioso, diabolico, allo scherno e alla derisione della trasgressione. Pauline Klein intraprende il suo viaggio alla ricerca di un significato sensibile, esplora confini proibiti, attraversa il luogo estraneo dell’alienazione esistenziale. Nella tortuosa capacità di rinnovare la fiducia in se stessa, l’autrice rende puntuale la relazione dell’interpretazione individuale, attribuendo al suo cambiamento il divenire imprevedibile del proprio spirito. Il libro, audace confessione, sfoglia espressioni argute e sentenze ironiche nel fruscio leggero della verità, pronuncia il lieve rumore della demolita individualità, concede nel bisbiglio delle parole l’insistente e continuo privilegio d’intrattenere il modesto e indistinto rilievo di un’attrice di sfondo. Lo stile narrativo svela il carattere impercettibile dell’autodeterminazione, dell’umiltà positiva della gioia nascosta e sostiene la propria responsabile indipendenza nei confronti di una società che impone infelicemente le sue regole.
Rita Bompadre