Le poesie di Ilaria Grasso affrontano un tema molto difficile con la leggerezza e la complessità di uno sguardo che sa percepire l’umanità. Il lavoro è dedicato alla figura della fotografa e politica italiana Letizia Battaglia e, in effetti, di flash e di visioni si compone il libro. Poesie che scorrono come lame e restano sulla superficie come tatuaggi, con la profondità di un inconscio epidermico, inconscio collettivo. Ilaria Grasso ci scrive, mette in scrittura la nostra storia italiana, le battaglie, le sconfitte, e la vittoria dell’espressione laddove essa diventa simbolo e condivisione. Come giustamente scrive Ilaria Palomba nella prefazione, «il poeta è parlato dal linguaggio» e direi anche dalla storia e dalle circostanze, pure quando, collocandosi in un’area astratta, nell’antisistema dell’art pour l’art, le conferma negandole. La poesia di Grasso, apparentemente semplice e lineare, segue una via sperimentale e di ricerca sia nel senso di collocarsi nella transmedialità delle fonti visive e visionarie, sia nel senso di fare ricerca storica, archivistica e attivista. Grasso ricolloca nella pagina, facendolo brillare e mettendolo a fuoco, il problema quasi genetico del patriarcale mafiosismo italiano. Una sfida, è questa raccolta, che non tralascia il luogo, il corpo e la necessità, ancora e sempre di lottare, attivamente, in simboli e in azioni. Desiderio di carne. E di amore per la cosa Pubblica e, dunque, anche per la Cosa privata.
Gianluca Garrapa
#
«io sono acqua di mare
io sono lo scatto che arriva al cuore
io sono l’obiettivo delle cose
io sono la Battaglia e la Letizia nella lotta.»
Apri così la tua raccolta, anafora, ripetizione di esistenza. E soprattutto non stanca di ripeterci e ripetere la necessità di combattere, riscattarsi. Il titolo prende il nome dall’apparecchio fotografico di Letizia Battaglia: come e perché hai scelto di dedicarle questa raccolta? «Picchì idda?»
L’incontro con Letizia Battaglia – solo ideale perché non ci siamo mai incontrate – è stato un fatto casuale. Era tra il primo e il secondo lockdown. Stavo pensando a un nuovo libro di poesie dal titolo ORDINARIA AMMINISTRAZIONE che avrebbe provato a dire in poesia storie di piccola e grande corruzione e collusione quotidiana che rappresentano la zona opaca che non ci consente di evolverci e progredire come individui, collettività, comunità. Incappai in un documentario su di lei e fu folgorazione. Idda mi rapì con le sue foto e le sue riflessioni e diventò per me come un’ossessione. Comprai tutti i suoi libri di fotografia, la sua biografia, quelli in cui in un modo o in un altro parlavano di lei e ascoltai e lessi tutte le sue interviste. Contemplando le foto e interiorizzando le interviste iniziai una produzione di versi molto serrata. Mi domandavo e mi domando costantemente cosa avrebbe pensato Letizia Battaglia in ogni situazione che vivevo e che vivo. Diventò per me Maestra come Donna e come Intellettuale. Mi era capitato già con Kuliscioff o Kollontaj o Virginie Despentes ma mai in maniera così istantaneamente pervasiva e ispirativa poeticamente. Perché? Perché sa essere dolce e pragmatica, perché mi ha cambiato lo sguardo con le foto e lo spessore della sua personalità, per la coerenza e la determinazione e l’impegno e poi per una chimica che non so spiegare. Mi è entrata nel cuore non so come e con i suoi valori e il suo esistere mi sono sentita sempre più solida. Pentax K1000 è stato un modo per dialogare con lei e comprendere quanto fosse importante per un intellettuale non solo pensare bene ma soprattutto fare bene le cose. Le parole non hanno poi tanto significato ed efficacia se non supportate da azioni e comportamenti Letizia Battaglia ha contribuito in maniera forte e irreversibile alla mia formazione proprio perché le sue foto sono state supportate dal suo agire nelle strade, nelle assemblee, in politica, nella scelta dei luoghi dove fare le mostre, nella sua capacità di “fare immagine” in molteplici modi ma sempre in una stessa direzione: la giustizia. Letizia Battaglia è caleidoscopica e la sua presenza si avverte anche quando non la vediamo perché è dietro una macchina fotografica. Ecco perché Idda!
«A Palermo una donna con una Pentax K1000
non si sofferma sul barocco
nei cornicioni dei palazzi.»
La tua raccolta è divisa in ‘scatti’ come a voler riscrivere l’azione fotografica dell’immagine. E le immagini non sono solo cromie o bianco-neri di uno sfondo, di un corpo o di un palazzo, ma proprio immagini di una storia, di un divenire già stato, cosa che una fotografia non può sempre fare. In cosa la tua poesia è più efficace di un’immagine e in cosa, invece, le deve molto della propria potenza?
Una poesia si compone di immagini, significanti, suoni, odori, pensieri, lotte. Lo stesso anche una fotografia. Poesia e Fotografia sono arti sorelle o, per usare un lessico matematico, un binomio inscindibile. Uso qui il lessico matematico non solo per la consueta abitudine di considerare la matematica una scienza esatta ma per sottolineare che – la matematica – è prima di tutto un linguaggio. Un linguaggio che peraltro non tutti sono abituati a masticare. Ma non voglio andare fuori tema e ritorniamo al rapporto tra la poesia e l’immagine. Nessuna prevale sull’altra, sono funzionali nella stessa maniera l’una con l’altra. E su questo vorrei dire sia a chi legge che a chi guarda una fotografia che tra loro non c’è chi e meglio dell’altro. Comprendere questo – secondo me – è necessario per moderare quella forma di narcisismo e presunta cultura di chi crede in una gerarchia delle arti e delle forme espressive. Questa operazione è per me molto importante perché educa la persona ad avere quell’umiltà indispensabile per apprendere e osservare le cose né dall’alto, né dal basso ma dalla giusta distanza. È per certi versi un modo per mettere a fuoco le questioni nella maniera corretta, per eliminare ogni forma di vanità e soprattutto palestra costante di dignità per tutte e tutti.
«La pornografia e negli occhi di chi guarda
e non nasce da una fuoriserie gialla
nello sfondo in dissolvenza di una piazza.»
Eccoci al corpo di chi subisce o agisce nella storia e la cambia o ne è mutato. Nella tua poesia c’è il corpo, soprattutto delle donne, come Letizia Battaglia, che a un certo punto hanno dovuto sottostare e dunque ribellarsi. C’è anche il corpo di una società dilaniata e ipocrita, la forma delle ferite inesauste, c’è il territorio: in che rapporto si colloca la tua poesia rispetto al territorio e al corpo che lo abita?
Poesia, territorio e corpo sono tre parole che, se le analizziamo in base al percepito tradizionale, sembrano appartenere più allo spazio. In realtà il grande lavoro psicologico ed intellettuale da fare è quello di inserire nel nostro modo di pensare, agire e fare poesie anche il tempo. Il cronotopo, dunque, è ciò a cui dobbiamo tendere. Innanzitutto cos’è il questo cronotopo di cui parlo? In filosofia, è l’unità ideale che unisce lo spazio e il tempo. La mia cronologia è differente rispetto ad altri individui ed altri corpi e immaginare come “territorio” solo ciò che mi circonda sarebbe riduzionistico e pericoloso perché non andrebbe a comprendere altri territori, altri corpi, altre visioni e altre poesie. Vedi, sto usando il plurale. Questo plurale apre ai vissuti, alle storie e alle loro rappresentazioni, sia in prosa che in poesia – più in generale in tutte le arti. Il duro lavoro da compiere è provare a far convergere tutti gli elementi. Non parlo di categorie perché il concetto di categoria genera etichette che possono non essere corrispondenti e che limiterebbero la capacità espressiva e quella di comprensione. Mi piace pensare ai versi che compongo come intuizione che si genera in uno spazio (mentale o meno che sia non importa) e che il corpo che porto con me sia uno strumento di conoscenza del mondo o meglio dello spazio e del tempo del mondo che con il mio corpo abito. La maggior parte dei testi che compongo sono di natura civile ma la loro origine nasce da un dolore che sento fisicamente a volte nelle zone precordiali, altre volte tra il cuore e l’ombelico. Quando guardo le ingiustizie del mondo nei telegiornali o leggo saggistica o vedo film sento fisicamente un dolore. Da lì partono i versi.
«Baudrillard mi informa che la fotografia
anticipa ciò che è stato in una vita precedente.»
Letizia Battaglia è il filo rosso che inanella gli scatti poetici della tua raccolta, ma poi c’è tutto un sostrato di riferimenti filosofici e non solo, da Barthes, a Baudrillard, e Elio Pagliarani che citi nell’autoscatto finale «Sono una Ragazza Carla 2.0, un impiegato donna e una donna impiegato.» Chi sono i maestri e le maestre che in qualche modo ti hanno guidato nella scrittura di questa raccolta, e che legame vedi tra vita e poesia?
E ti rispondo con una poesia piccina che forse farà pure tenerezza ma tant’è perché lo sguardo bambino di Letizia Battaglia mi ha insegnato la provocazione ma anche la ricchezza dello sguardo di un bambino che sogna e un adulto che – nonostante tutto – insiste sulla necessità delle utopie.
«I miei maestri sono tanti.
Alcuni sono sotto i riflettori.
Altri son nascosti da schermi di processori.
Altri li devo ancora incontrare.
I miei maestri sono tutti quanti.
Se fai sparire l’Ego c’è tanto da
imparare, sognare, vivere, amare.»
«La poesia ecfrastica si basa sul legame tra Arte e Letteratura, immagini e parole.» Sono le parole tratte dalla Nota dell’Autrice che chiarisce, in effetti, e approfondisce, il discorso poetico. Come è mutato, secondo te, questo legame tra poesia e immagine in un’epoca prossima alla transensorialità virtuale aumentata, dove i corpi potranno vivere amplificanti dimensioni percettive ma allo stesso modo una sempre maggiore chiusura monadica, individualistica. Come vedi il futuro della condivisione e della lotta politico-poetica?
La poesia e la lotta la fanno gli individui che sono anche persone. Etimologicamente il termine “persona” ha a che fare con le maschere. Ed è qui che bisogna soffermarsi, come tu stesso sottolinei facendo riferimento alla transensorialità virtuale aumentata. Abbiamo molti strumenti a disposizione e non dobbiamo colpevolizzarli ma non possiamo utilizzarli al meglio. Il pericolo nasce dunque dall’essere umano che ha in sé bene e male e – più di ogni altra cosa ha l’enorme potere di suggestionarsi. Tutto ciò accresce la possibilità manipolatoria delle immagini che al pari della parola può – nel suo essere “strumenti” – esporci al pericolo. Dico esporre ma anche esporre può essere quella gran truffa che è la comunicazione così come la percepiamo ora. È dalla consapevolezza di questi raggiri che nascono i populismi, i fanatismi, le diaspore e tutta quella frammentarietà a cui assistiamo ora.
È tornato da poco Bruno Latour con un libro dal titolo “Riassemblare il sociale”. In un articolo apparso il 23 maggio su La Lettura dice una cosa molto importante e cioè “Credo sia compito degli intellettuali e dei ricercatori ripristinare la fiducia nelle istituzioni, piuttosto che continuare a considerare la pratica intellettuale in forma critica, traducendola in teorie del complotto”. Questo mi sembra un futuro a cui tendere! Ora non sono una maga e non posso prevedere il futuro ma se ci concentrassimo molto di più su cosa abbiamo in comune anziché distanziarci sempre da qualcosa probabilmente vivremmo tutti una vita più ricca di senso. Ho iniziato a pensarlo quando mi sono avvicinata al Collettivo dei Lavoratori GKN. La loro è una lotta nuova e l’ho notato a partire dal lessico. Parlano di “intelligenza collettiva”, usano il verbo “convergere” al di là degli slogan confederali, dei generi, delle vertenze, della tipologia di lavoratori e quando invitano a scendere in piazza dicono “Portate tutte le vostre paure e debolezze e saremo invincibili”. Questa mi sembra una lotta nuova e approfitto di questo spazio per invitarvi a seguire la loro pagina FB e sostenere la Cassa di Resistenza. Il Collettivo GKN sa far accendere speranze, non solo a parole. Sono stata personalmente a Campi Bisenzio e ho provato un senso di comunità mai provato prima. La loro lotta parte da luglio e cioè da quando stanno provando a licenziarli perché stanno delocalizzando perché un fondo finanziario inglese che si chiama Melrose ha acquistato lo stabilimento. Mi domandi del futuro della lotta in poesia. Non ho visto molti intellettuali, poeti, letterati essere in qualche modo presenti in questa vicenda. Spero di non saltare qualche nome. Ho visto a Campi Bisenzio la presenza di Stefano Massini, Gregorio Magini, Barbero, Alberto Prunetti. Qualche casuale e sparuto post di altri. E mi faccio la stessa domanda che si pone Massini e cioè: “perché questo silenzio?”. Forse dovremmo partire da questo imbarazzante silenzio che con la consapevolezza di una porzione minima di azzardo accosterei a quella distanza tra politica e vita dei cittadini e al calo di affluenza alle urne e di consapevolezza e analfabetismo di ritorno. Spero che il 9 luglio di fronte ai cancelli a Campi Bisenzio spero di vedervi tutti. Grazie per il tempo e lo spazio che mi avete dato e un augurio a tutti di ogni bene!
Roma, 26.05.22
#
Ilaria Grasso, pentax k1000 Poesie per Letizia Battaglia, Ensemble ed. 2021