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Percival Everett. James

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Era uno dei romanzi più attesi del 2024, in Italia è arrivato a pochi mesi di distanza dalla ripubblicazione, stavolta con La Nave di Teseo, di Erasure (Cancellazione), l’atto d’accusa al politically correct che al cinema ha ispirato American Fiction, con la regia di Cord Jefferson e la sceneggiatura anche di Percival Everett. Di James, che negli Usa ha ben figurato e messo d’accordo più o meno tutti, compreso i quartieri alti del New York Times, va detto prima di tutto che è una riscrittura de Le avventure di Huckleberry Finn dal punto di vista di Jim, lo schiavo coprotagonista del capolavoro di Mark Twain, voce narrante nella versione di Everett. Vo-ce nar-ran-te. Prima di addentrarmi nella trama, solo in parte identica a quella del vecchio romanzo, voglio darvi un paio di indicazioni proprio sulla voce.

Chi ha letto James in lingua originale (tanto per fare qualche nome: Paolo Simonetti, docente di letteratura americana a La Sapienza) ha posto l’attenzione su una delle colonne portanti dell’opera, e cioè l’alternarsi tra Black speech e inglese normativo, che nella versione italiana il bravo Andrea Silvestri ha dovuto riprodurre, una faticaccia, ricorrendo perlopiù allo slang romanesco. Rispondendo a un mio commento su Facebook di qualche settimana fa, Simonetti si era lasciato andare a un giudizio alquanto netto e perentorio sull’argomento: “Leggerlo in altre lingue è una perdita di tempo” (Sic!). Io James l’ho letto solo nella versione tradotta non disponendo di altre copie e fidandomi poco del mio Black speech, e vi confesso che non è stata un’esperienza inutile. La considerazione del prof però la comprendo. Simonetti ha aperto un file su una questione a volte trascurata. Vale per James, così come vale per molti altri testi a Stelle e Strisce che per ragioni diverse sono fortemente ancorati a codici lessicali autoctoni e per questo non del tutto riproducibili. Ma andiamo avanti. Dicevo della riscrittura di Huckleberry Finn. Pensate, prima di leggere James sono salito, in senso letterale, su uno dei miei scaffali per recuperare una vecchia copia del romanzo di Twain. Lo lessi la prima e unica volta da bambino dopo essere rimasto folgorato dal prequel: Le avventure di Tom Sawyer. Mi sono adoperato in questa rischiosa (a piedi nudi in modalità free climbing) e complicata acrobazia (non conservo i libri secondo un ordine ortodosso ma ad minchiam), perché volevo leggere i due romanzi, quello di Twain e questo di Everett, in stereofonia. Devo dire che è stata una buona intuizione. Escludendo testi come Il buio oltre la siepe della bianca Harper Lee, di storie sulla negritudine scritte “dal di dentro” la letteratura americana ne è piena: “Avevo sentito parlare di una ferrovia sotterranea” dice Jim nelle ultime pagine del romanzo, evocando il titolo di uno dei due Pulitzer vinti da Colson Whitehead. Va detto che questo ruolo del “proprietario culturale” Everett lo interpreta senza ansia da prestazione e senza caricarsi di alcuna mission; è la ragione per la quale giudico Everett il migliore tra gli scrittori afroamericani in circolazione.

Ma James non è solo un meraviglioso romanzo sul desiderio di libertà, è un bellissimo libro sul Mississippi: lo scenario paludoso della fuga infinita di Jim e Huck è indubbiamente un altro architrave del racconto. Senza il grande fiume entrambi i testi, di Twain e di Everett, sarebbero stati molto diversi, di sicuro meno attraenti. Jim fugge dalla sua condizione di schiavo per ricongiungersi con la moglie e la figlia, Huck scappa da un padre padrone violento e in preda all’alcol. “Era già una brutta cosa essere schiavi, ma essere schiavi fuggiaschi era ancora peggio”. I due amici solcano il Mississippi tra il Missouri e l’Illinois su una zattera di fortuna, altre volte su una canoa. Come Cornelius Suttree di Cormac McCarthy si nutrono di bacche e pesci gatto. Uno dei temi del libro è la cultura strumento di emancipazione e di consapevolezza di sé. Jim sa leggere, nel suo disperato viaggiare ha recuperato dei libri. Di notte sogna e dialoga con Voltaire e John Locke. Combattere la schiavitù è come combattere una guerra, dice Locke in una delle sue apparizioni. “Siamo schiavi. Non siamo da nessuna parte. Una persona libera può essere dove vuole. L’unico posto in cui noi possiamo essere è la schiavitù”. A parlare è Sammy, la schiava quindicenne che a cento pagine dalla fine si unisce a Jim nella fuga. La schiava che muore due volte, la seconda volta da persona libera, dice Jim. James è una storia senza tempo, cruda, divertente, atroce, vera. Un tributo a Mark Twain e al Midwest, cuore pulsante di una nazione che ha ancora tanto da raccontare. Percival Everett ha scritto Il Grande Romanzo Afro Americano. 

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