Peter Cameron, già ripetutamente edito in Italia con Adelphi – ricordo Andorra nel 2014 per citare l’opera più famosa- esce nel 2020 per la medesima casa editrice, con la traduzione impeccabile di Giuseppina Oneto, con un romanzo che si sottrae a facili e convenzionali definizioni: Cose che succedono la notte. Forse è davvero un romanzo letterario, in cui si coltiva l’idea della letteratura fine a se stessa, mettendo a nudo le abilità dello scrittore che non maestria intesse un intreccio sospeso tra realtà e sogno/incubo. Una coppia non definita, il signore e la signora, marito e moglie, provenienti da New York, giungono in treno in un viaggio rocambolesco, con valigie a terra, buio e neve, neve e buio, nella stazione secondaria di un non ben definito paese del Nord Europa, per adottare un bambino in un orfanotrofio. E’ l’extrema ratio per mantenere in piedi un matrimonio di un uomo pavido e insicuro e di una donna malata di cancro in fase terminale. Una storia di amore, che ineluttabile vira verso la morte, ma soprattutto di gentilezza del marito nei riguardi della moglie. Tanto è vero che verso la fine la donna, stanca e malata, rimprovera all’uomo la mancanza di affetto a vantaggio della gentilezza, “la gentilezza di quando non c’è l’amore.”
I giorni, ma soprattutto le notti, si inanellano con una serie di inconvenienti, in una atmosfera onirica, surreale e pur familiare , tra un bicchiere di acquavite e pranzi e cene che sembrano usciti da un film d’epoca nel Gran Imperial Hotel, dove soggiornano. Qui nasce come dal nulla e come da film distanti tra loro una costellazione di personaggi legati dalla loro intrinseca solitudine: la mitica Livia Pinheiro-Rima, la proprietaria, diva flanée che si esibisce al pianobar immaginando un pubblico che non c’è. Questa, impicciona e ingombrante nella sua pelliccia d’orso e non solo, guiderà la vicenda verso una parziale risoluzione; uno sguaiato uomo d’affari con tanto di pancia, apparentemente insensibile, omosessuale, che alla fine rivelerà tratti di finezza interiore; Larus, il cameriere silenzioso, che versa drink, chiuso in una solitudine straziante; ma soprattutto lui, fratello Emanuel, il guaritore che muove le fila dell’intera vicenda, essendone polo di attrazione e di repulsione; il personale dell’orfanotrofio che sbuca nelle notti e nei giorni infiniti ( in realtà sono tutte notti, perché il sole non si vede mai per sei mesi l’anno). Il romanzo, con tratti di horror, è un andirivieni tra taxi, Gran Imperial Hotel, albergo antico fermo nel tempo, orfanotrofio, casa del guaritore, ristoranti e pietanze improbabili. In realtà, sembra che nulla si muova, perché si torna sempre al punto di partenza: l’Hotel. Ma in questa apparente immutabilità tutto ineluttabilmente diviene altro, in una metafora e metonimia dell’umana condizione contemporanea, in cui si fa tanto chiasso per arrivare al nulla. Se non fosse per la diva flanée, dea ex machina della vicenda, non si arriverebbe a nessuna conclusione, come ci si aspetta durante la lettura del romanzo, che ha tutte le caratteristiche di un incubo notturno, in cui si gira a vuoto trovando porte e finestre sbarrate. Infatti, sono cose che succedono la notte, tra buio e tempeste di neve, tra queste una rapina e uno stupro subiti dall’uomo, che tuttavia non si smuove dalla sua apatia e quasi ringrazia per la violenza di cui è stato vittima. Accompagna la storia un senso di morte , incarnata dalla signora, ma estesa a tutta la vicenda. Sembrano fantasmi che cercano di darsi una forma, che ogni volta sfugge nel paradosso del divenire e l’impermanenza di tutte le cose, mentre l’Hotel ci fissa in un tempo assoluto, di un antico fasto. Tutti questi fantasmi semi-viventi sembrano non avere relazione tra di loro, ma usciti da vecchi film; eppure, ciò che li accomuna è il desiderio di sottrarsi all’ovvietà e alla convenzione: ciascuno è un’isola che si lega alle altre soprattutto nell’equivoco, mentre la lingua sconosciuta certo non aiuta la comunicazione. E’ un testo di una bellezza inconfrontabile, perché tutto sui generis, ci fa precipitare nell’abisso di esistenze cieche e irrisolte, che si muovono come pedine di un progetto che sfugge, Tra le altre cose, è anche un romanzo esistenzialista che ci interroga e si interroga sul senso della nostra vita; il che ci tocca da vicino e ci induce a riflettere. Si rimane nel buio della vita col fiato sospeso e un groppo alla gola, mentre tutto precipita verso l’ineluttabile morte, da cui risorge il pianto di Simon, il bambino dell’orfanotrofio.
Senza dubbio, un libro consigliatissimo per chi si mette a rischio in una avventura improbabile e pur vera.
Giovanna Albi
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Peter Cameron
Cose che succedono la notte
pp.241
euro 19
Adelphi 2020