Un’autobiografia personale che però, per certi versi, ambisce ad esserlo di una Nazione, sia di quella coeva dell’autore sia delle generazioni successive.
Pagine davvero dense della consapevolezza dell’etimologia più profonda ma anche “lineare” di politica, che vale, diremmo forse generalizzando un po’, “arte che riguarda il governo della città (stato)”, indipendentemente dalle ideologie di fondo (ammesso che ancora esistano o che comunque esistano come ai tempi in cui Casini mosse i suoi primi passi nell’agone) dalle quali ciascuno di noi è mosso.
Dalla prima elezione (alla Camera dei Deputati) nel 1983, anno stesso in cui il grande aretino Amintore Fanfani, tra i principali notabili democristiani nonché artefici della ricostruzione italiana post-Secondo Conflitto Mondiale rassegnò le proprie dimissioni all’ultima conferma (al Senato della Repubblica) il settembre dello scorso anno: quarant’anni di politica parlamentare continuativa, quindi, compiuti proprio quest’anno, in pieno governo Meloni, “il governo più a destra della storia repubblicana” e anche il primo in assoluto ad essere guidato da una donna.
La militanza democristiana a Bologna “la rossa” (che oggi, al massimo, è rimasta rosata) in un tempo in cui le dicotomie politiche erano virulentemente sentite ma sempre di avversari si parlava, mai di nemici (quasi commovente il racconto del giovane Pier Ferdinando, studente di Giurisprudenza presso l’Alma Mater Studiorum felsinea e già militante di spicco del movimento giovanile democratico cristiano che, deciso ad organizzare nel capoluogo emiliano una Festa dell’Amicizia – il corrispettivo democristiano delle Feste dell’Unità comuniste e di quelle dell’Avanti socialiste, – si reca presso la sezione PCI cittadina per chiedere consigli logistici e attrezzature in prestito ai compagni avvinazzati e circondati da nuvole di fumo toscano o cubano, i quali, dopo un primo momento di sicuro smarrimento, si dimostrano ben disposti nei confronti del “giovane democristo”); la scelta di campo per il centrodestra alle soglie della Seconda Repubblica, poi i tentativi da solista “in pieno centro” e infine l’ultima scelta, quella del centrosinistra – forse in mancanza di meglio? – in occasione delle consultazioni elettorali del 2018 e 2022.
Di primo acchito quanto sopra riportato potrebbe venir giudicato segno di trasformismo nel senso più deteriore del termine; un risvolto interparlamentare del famoso “Franza o Spagna purché se magna!”, e anche chi scrive per un periodo di tempo abbastanza esteso l’ha pensata così, vuoi per tradizione famigliare, vuoi perché il periodo in cui Casini ricoprì il suo massimo ruolo istituzionale (la presidenza della Camera dei Deputati durante i governi Berlusconi II e III, 2001 – 2006) ha immediatamente preceduto quello della mia adolescenza, allorquando iniziai ad “avvicinarmi” (virgolette d’obbligo, perché – fra l’altro – ora vorrei tanto allontanarmici ma proprio non ci riesco) alla politica, e, dalla parte da cui sono entrato io, Berlusconi e compari erano la rappresentazione plastica di ciò che bisognava perentoriamente addirittura odiare!
La lettura di queste pagine mi ha invece piacevolmente smentito in molti convincimenti (chiaramente non in tutti, altrimenti non scriverei a cuore così leggero queste righe: detesto avere torto), e sedimentato in me la convinzione che Pier Ferdinando Casini davvero racchiude in sé il senso più profondo di quel che ha significato e tuttora significa l’essere democristiani (al netto di scontri fra correnti e giochi di potere vari): altri come lui sono migrati (alcuni pure diverse volte, con in tasca, con tutta evidenza, dei biglietti a/r) dal centrodestra al centrosinistra passando per il centro-centro, appoggiato governi dell’una e dell’altra parte e pure tecnici, eppure Casini lo ha fatto mantenendo una coerenza di fondo tale da poter essere definito esplicitamente “la memoria storica degli ultimi quarant’anni di politica italiana”. Se una persona non fosse stimata, rispettata e apprezzata super partes certo il suo nome non apparirebbe fra i papabili per il Quirinale (è accaduto nel recentissimo 2022), né sarebbe stato accolto, al suo ingresso in Montecitorio per votare il bis di Sergio Mattarella, da un caloroso applauso proveniente da tutto l’emiciclo parlamentare; “Quell’accoglienza calorosa è stata come il pezzo mancante di un puzzle che completa il quadro, regala l’immagine finale, la soddisfazione di aver compiuto il proprio dovere fino in fondo” spiega il diretto interessato.
Un puzzle formato da numerosissimi pezzi, personaggi più o meno positivi e più o meno negativi, da Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti a Marco Biagi fino a Silvio Berlusconi e i suoi conterranei Romano Prodi e Gianfranco Fini e che però, visto nella sua completezza e da distante, ha per titolo “Istituzioni” e per colori i tre della nostra bandiera.
Alberto De Marchi
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Pier Ferdinando Casini, “C’era una volta la politica – Parla l’ultimo democristiano”, Piemme Editore 2023, 255 pagine, euro 18,90